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I mass media scelgono solo le notizie negative e gli scandali, nessuno parla mai dei successi.
È un fenomeno interessante. Israele è un Paese di cui nessuno conosce veramente la storia o la realtà. Al contrario di qualsiasi altro Paese, la cui copertura si basa su reali caratteristiche locali, eventi fuori del normale che fanno notizia, storie umane e politiche, dibattiti culturali, Israele viene coperta secondo uno stretto criterio di negatività. Guerra, corruzione, sconcerto, errori, rottura di miti, lapsus e falli della classe dirigente, episodi di crudeltà.

Nell'immaginario collettivo, Israele e il sionismo sono esattamente il contrario della loro realtà. Di Israele si ha un'immagine che è esattamente il contrario della sua realtà. Non si sanno cose fondamentali. Non si conosce la pure interessantissima sessantennale costruzione di un uomo solidale, attentissimo ai suoi diritti, ipercritico della classe dirigente, eroico quando bisogna. eppure sembra davvero il tempo giusto per farlo. L'informazione su Israele toglie al cittadino il diritto di sapere una cosa fondamentale per il nostro stesso futuro: una democrazia sul fronte di una guerra di difesa come la fronteggia, come si trasforma, quali sono i pregi e i difetti che sviluppa? Qualche giorno fa sedevo con la mia amica Petra Heldt, pastore luterano ordinato, una signora tedesca che giunse in Israele a ventisette anni con lo scopo di vivere nello stesso Paese in cui è vissuto Gesù; Gesù era un buon ebreo, e lei, che è una teologa rinomata autrice di parecchi testi accademici, membro di svariate commissioni di studio, e che ha grandi occhi curiosi e un sorriso molto comunicativo, ha voluto concedersi l'emozione di vivere la sua vita fra i fratelli carnali di Cristo, che come lui recitano lo Sh'ma Israel tutti i giorni e amano Gerusalemme dello stesso amore, dice Petra. Per Petra amare gli ebrei è sempre stato un fatto naturale. Strano? A lume di logica non dovrebbe esserlo, ma se si pensa quanto poco i nostri cattolici siano invece consapevoli del fatto che Gesù fosse un buon ebreo che amava, conosceva, viaggiava per la sua terra e la viveva per il suo significato ebraico in ogni luogo, da Nazareth a Gersualemme, a Betlemme, al lago di Tiberiade, ai monti della Galilea, certo che è strano. Strano che i cristiani lascino passare le tesi islamiste che il tempio in cui Gesù cacciò i mercanti non sia mai esistito. Così strano anche che la maggior parte dei pellegrini che vengono in Israele accompagnati dai loro parroci o da organizzazioni cattoliche varie, non facciano quasi nessuna mossa per capire e conoscere gli ebrei proprio quando vengono nella loro Terra, tanto che i viaggiatori tornano a casa avendo fatto esperienza quasi esclusivamente degli abitanti arabi di Gerusalemme e del Paese degli Ebrei in genere. In genere, essi non vengono in Israele, ma "in Palestina".
Quanti hanno letto una storia di questo genere sui giornali europei? Quanti conoscono le continue storie di eroismo che caratterizzano la costruzione dell'uomo israeliano? Del cameriere ventenne che al cafè Cafit di Gerusalemme ha tolto la borsa dalle spalle del terrorista che cercava di entrare e l'ha portata lontano dai clienti del caffè e poi mi ha risposto: "Che c'è di strano, scusi? E' ovvio che era molto meglio che morissi io, da solo, piuttosto, che tutte quelle persone ai tavoli..". Chi conosce le storie degli eroi moderni come le decine di guidatori di autobus, di camerieri, di casuali guardiani studenti da pochi shekel l'ora che si gettano col proprio corpo, unica barriera di difesa per i propri concittadini, sui terroristi? Quanti episodi conoscete delle centinaia di storie di eroismo militare di ragazzi ventenni, dell'ufficiale che è morto gridando Sh'ma Israel mentre si lanciava su una bomba a mano per difendere i suoi soldati; del soldato Michael Levin, uno dei tanti ventenni venuto da solo da Philadelphia come migliaia di altri per difendere Israele caduto nella guerra contro gli hezbollah; o di Or Ben On che ha perso tutte e due le gambe a Marun al Ras il 20 di luglio (salvato dal suo comandante che l'ha sfilato dal carro armato e poi l'ha difeso dal fuoco nemico fino a che non sono arrivati i soccorsi) e che adesso è tornato a suonare la chitarra nel suo gruppo rock, e si ritiene fortunato? Che cosa si sa del coraggio, della disperazione, della solidarietà, della fede, della difesa della propria casa cercando, anche se a volte si sbaglia, di mantenere la purità delle armi? Che si sa dello sforzo enorme messo dall'esercito per insegnare ai soldati standard di salvaguardia del nemico sconosciuti in tutti gli altri paesi del mondo costretti alla guerra? Sappiamo solo quando si compiono errori, o supposti tali, e non si esita a accusare di immoralità e anche di crimini di guerra.
Lo sapete che in Israele la cura per l'Alzheimer è in fase di ricerca oltremodo avanzata? Che la costruzione di passerelle, strutture, canali di inserimento delle persone disabili è una priorità? Lo sapete che proprio in questi giorni, mentre in vari atenei negli USA e in Canada una inverosimile quanto consueta settimana "contro l'apartheid in Israele" mette in scena sgangherati comizi che descrivono Israele come Paese razzista, proprio qualche giorno fa lo stesso Riccardo Muti ha donato tutti i proventi della sua serata con la filarmonica di Tel Aviv il 15 di febbraio in memoria di Arturo Toscanini a un ospedale pediatrico, lo Schneider di Petah Tikva che si occupa di oncologia in cui il trenta per cento dei bambini ospitati sono arabi? "Un ospedale pieno di colori e di giuoco, in cui si vede come si possa fare scaturire anche dal dolore un senso di vita e di interna pace, e anche un significato di esperienza comune" ha commentato Muti. E non c'è ospedale israeliano in cui la presenza di pazienti arabi non sia immediatamente percepibile. (Fiamma Nirenstein, Shalom marzo 2007)

 

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