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[b]commenti e cronache[/b]

Testata:Libero – Il Giornale – Corriere della Sera
Autore: Angelo Pezzana – R.A. Segre – Alan Dershowitz – Davide Frattini
Titolo: «Shimon Peres, un presidente di prestigio per rilanciare Israele – La svolta d'Israele con Peres e Barak – PERES, NON SOLO UN SIMBOLO – Shimon Peres presidente di Israele a 83 anni «Cercherò di riconciliare una società divisa»»

Da LIBERO del 14 giugno 2007, un commento di Angelo Pezzana:

Shimon Peres ha vinto al secondo round, e dal 15 luglio sarà il nono presidente dello Stato d’Israele. Era dal dicembre del 1980, un mese dopo l’elezione di Ronald Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, che non vinceva un’elezione. Se non ce l’avesse fatta, e se nel Guinness dei primati ci fosse una categoria dedicata ai perdenti, i maligni dicono che vi sarebbe entrato. Eppure la carriera politica di Peres è l’opposto di quella di un "perdente", se per politica si intende dedizione alla patria,onestà e intelligenza. Dopo essere stato fra i più stretti collaboratori di David Ben Gurion, era entrato nella Knesset (parlamento) nel ’59, e da allora sempre rieletto nelle fila laburiste. E’ a lui che si deve la realizzazione del programma nucleare, malgrado non avesse un passato militare. Nel 2000 si era già candidato alla presidenza dello Stato, ma gli fu preferito Moshè Katsav, una scelta dimostratasi poco felice, una sconfitta, allora, risarcita con la vittoria di oggi.

Di Shimon Peres si può affermare che è, di fatto, l’ultimo dei padri fondatori, una figura nobile del laburismo israeliano, il partito di tutta la vita, lasciato soltanto per aderire a Kadima, la coalizione creata dal nulla da Ariel Sharon, che coinvolse destra e sinistra per realizzare la separazione tra Israele e Stato palestinese. Veniva giudicato un visionario, un appassionato di progetti che non si trasformarono mai in realtà. E’ vero, ma la sua concezione di un nuovo Medio Oriente, una sorta di federazione di Stati legati da una comune visione economica, si era arenata e disciolta per la mancanza di partners, non certo perché non fosse valida. Sicuramente in buona fede, e grazie anche alla sua lunga frequentazione delle cancellerie mondiali, Peres aveva una visione del mondo dove bastava la buona volontà per cambiarne le sorti. La realtà era diversa, e lui ne ha sempre pagato il prezzo. Adesso è presidente, una carica puramente rappresentativa, ma in questo momento strategica per Israele, che ha disperato bisogno di una figura di alto livello che la rappresenti.

"Sono stato alla Knesset per 48 anni e nemmeno per un solo istante ho perso fede e speranza in Israele", ha dichiarato dopo che 83 hanno votato a favore, 23 contro e 10 si sono astenuti. "Nessuna altra nazione è riuscita a realizzare in sessant’anni ciò di cui è stato capace Israele ", ha continuato, " darò tutto me stesso al paese". Gli sconfitti al secondo turno, Reuven Rivlin, candidato del Likud e Colette Avital, laburista e prima donna candidata alla presidenza, si sono congratulati con lui dopo l’elezione, così come ha fatto Bibi Netanyahu, leader dell’opposizione.

L’elezione di Shimon Peres a presidente potrà persino produrre quella scossa politica che quasi tutti in Israele si augurano ma della quale non si capiva come, e da dove, potesse iniziare. Ebbene, la novità arriva da un politico di lungo corso di 83 anni, e non è detto che proprio dalla sua presidenza non inizi quel cambiamento che il rapporto Winograd – nel prossimo ottobre lo si conoscerà nella sua interezza- ha reso non più rinviabile.

Il commento di R.A Segre dal GIORNALE:

Per i politici israeliani la notizia che conta è l'elezione di Ehud Barak alla testa di quello che resta del partito laburista di Ben Gurion. Per la nazione israeliana e per la diaspora ebraica la notizia che conta è l'elezione di Shimon Peres alla presidenza dello Stato.
C'è qualcosa di simbolico in questo doppio evento elettorale interno d'Israele: il ritorno sulla plancia di comando della navicella dello Stato ebraico di due personaggi. Per Barak che ha battuto di poco il suo opponente – l'ex comandante della marina e del servizio di sicurezza interno Amy Ayalon – al timone dello Stato – a cui mira di giungere – non è ancora arrivato. Ma poiché è probabile che il Premier Olmert (da lui profondamente disprezzato) lo chiami alla testa del ministero della Difesa (posto occupato senza competenza e onore dal precedente capo del partito laburista – Amir Peretz – durante la seconda guerra del Libano) Barak si troverà molto vicino a quel vertice del potere che dovette cedere a Sharon dopo la disordinata evacuazione unilaterale del Libano meridionale e il fallimento dei negoziati con Clinton e Arafat nel 2001.
L'ipotesi che non accetti una coabitazione «temporanea» col primo ministro e ritiri il partito laburista dalla coalizione (come invece avrebbe probabilmente fatto il suo avversario Ayalon) è poco probabile. Una decisione del genere – non condivisa del resto da molti laburisti che si sono assicurati poltrone ministeriali nella presente coalizione – comporterebbe una crisi che tanto gli ambienti militari come quelli finanziari e gran parte dei politici, vorrebbero evitare. Ma cosa più grave renderebbero inevitabili delle elezioni anticipate che quasi sicuramente darebbero la vittoria all'opposizione di destra guidata dal partito Likud e da Netanyahu. Non sarà però una coabitazione facile – ammesso che si realizzi – con Olmert. Barak è un valente soldato, è stato capo di stato maggiore, un ministro degli Esteri per un breve tempo e un primo ministro che ha fallito nella guida politica dello Stato e ha creato un forte antagonismo per la sua arrogante condotta personale. Ne è conscio è ha avuto l'onestà di ammetterlo affermando di aver molto imparato dai suoi insuccessi. Una lieve maggioranza nel suo partito gli ha creduto ma non c'è dubbio che il Paese è lieto di ritrovare sulla scena politica attiva e soprattutto militare un uomo di cui apprezza le qualità e l'esperienza. Più importate del successo elettorale partitico di Barak è quello elettorale – quasi plebiscitario – parlamentare di Shimon Peres alla presidenza dello Stato. Per questo ormai vecchio delfino di Ben Gurion, che tante volte nel corso della sua lunga carriera politica venne sorpassato da chi valeva molto meno di lui, questa elezione – «l'ultimo servizio che posso offrire allo Stato», ha detto – è molto più di un atto personale di giustizia storica. È la restituzione al Paese della dignità di una suprema magistratura violata dal suo predecessore, è un segno, per molti che Israele ritrova in lui il simbolo di valori che sembravano perduti e sui cui lo Stato degli ebrei è stato creato e cresciuto.

Dal CORRIERE della SERA, il commento di Alan Dershowitz:

L'elezione di Shimon Peres alla presidenza di Israele è un avvenimento che apporterà cambiamenti sia per la carica stessa che nel ruolo di Israele nel mondo. Finora la presidenza israeliana ricopriva un ruolo largamente simbolico. Venne offerta ad Albert Einstein. Poi a Chaim Weizmann. E via via ad altre personalità di spicco.
Con un compito precipuo: unificareilPaese. Ilpresidente di Israele era un po' come il re o la regina d'Inghilterra, senza naturalmente l'aspetto ereditario. L'elezione di Peres potrebbe cambiare tutto questo. Perez è davvero nel novero dei più grandi e lungimiranti leader mondiali. E' stato uno dei fondatori dello Stato di Israele e ha servito il suo Paese in pressoché tutte le funzioni nel corso della storia nazionale. L'ha aiutato a vincere le sue guerre difensive e a firmare gli accordi di pace, per i quali è stato insignito del Nobel.
Conosco Peres da anni e non posso immaginarlo in un ruolo simbolico e passivo. E' un uomo animato da passioni profonde, brillanti intuizioni e una volontà ferrea. Il suo costante obiettivo è stato quello di firmare la pace con i palestinesi e con le nazioni arabe e musulmane del mondo. La pace che persegue attivamente da tanti anni è fondata sull'equità, sulla giustizia e soprattutto sulla sicurezza reciproca. Non si presta ad assecondare l'opinione pubblica, ragion per cui non è mai stato troppo apprezzato dall'elettorato israeliano, quanto dai capi di Stato, dai diplomatici e dagli intellettuali all'estero.
Certamente avvertirà, nel suo sforzo verso la pace, le costrizioni imposte dal ruolo. Ma egli sale alla presidenza in un momento nella storia di Israele in cui il governo è debole e il suo premier è scivolato al punto più basso nei consensi. Di conseguenza, potrà godere di maggior autorevolezza,implicita piuttosto che esplicita, rispetto ai suoi predecessori. Immagino che sarà un presidente non rinchiuso neiconfini nazionali.Girerà il mondo, per esplorare le opzioni di pace. Da solo tuttavia non sarà in grado di portare la pace, ma forse sarà più capace, rispetto ad altri leader israeliani, di favorire l'intervento di tutti coloro che potranno contribuire al processo di pace. E' il momento ideale per Peres, che potrà presentare al mondo il vero volto di tutto Israele: è un leader rispettato, persino amato, in molte parti d'Europa enegli Usa,e pochi possono mettere in dubbio il suo appassionato impegno per la pace. Spero che il governo israeliano sappia apprezzare le qualità di Peres nel suo nuovo ruolo, concedendogli spazio di manovra, proprio per la sua esperienza e il suo prestigio, rispetto ai presidenti che l'hanno preceduto.
Questo è un momento critico nel conflitto tra Israele, palestinesi, arabi e musulmani. L'autorità palestinese è nel caos, la guerra civile incombente. Hamas tenta di annientare i moderati, mentre Israele continua a pagare le conseguenze della sua guerra contro Hezbollah dell'estate scorsa. Nel frattempo agli Usa manca una forte leadership, capace di guardare avanti, e l'Onu sembra impotente davanti alla minaccia nucleare iraniana.
Imomentidi crisispessooffronolemiglioriopportunità. E questa è un'opportunità imperdibile per un'audace
leadership israeliana. Israele ha offerto la pace alla Siria. Ha offerto la possibilità di uno Stato ai palestinesi. Sta tessendo nel frattempo valide alleanze con l'Arabia Saudita e gli Emirati. Eppure accademici e giornalisti britannici continuano a puntare il dito contro Israele, invocando boicottaggi. Gli attacchi contro Israele si sono fatti più insistenti e ingiuriosi. Peres sarà capace di contrastare questi attacchi e presentare al mondo una nazione che non merita questi insulti.
Anni fa Peres fu sconfitto nella corsa alla presidenza. Venne eletto un uomo privodistaturainternazionale e poco stimato in patria. Non aveva le capacità per realizzare quello che Peres si prefigge. Speriamo che i limiti imposti per tradizione alla carica presidenziale in Israele non ostacoleranno troppo Peres nel suo tentativo di metter fine al conflitto mediorientale con la soluzione dei due Stati.
Traduzione di Rita Baldassarre

La cronaca di Davide Frattini:

GERUSALEMME — In un cassetto segreto nell'ufficio di Tel Aviv, Shimon Peres tiene le poesie che scrive nei momenti di ispirazione. «Preferisco i versi ai ricordi. La gente ama il passato, perché coltiva l'illusione che una volta fosse meglio. Io invece non guardo mai gli album fotografici, non sono nostalgico». In un giorno, l'ultimo dei Mohicani — come lo chiamano i giornali — ha cancellato i brutti ricordi. Quelli di sette anni fa, quando non era diventato presidente per il «tradimento» dei partiti religiosi. E quelli degli ultimi trent'anni, che Maariv ha voluto rievocare in prima pagina: otto sconfitte elettorali, a partire dal 1974 contro Yitzhak Rabin per la guida del Labour. L'album fotografico inscenato dal quotidiano gli ha portato fortuna. Peres è il nono presidente israeliano, 86 deputati su 120 l'hanno scelto al secondo voto, dopo che era rimasto in corsa contro se stesso: la laburista Colette Avital e Revuen Rivlin del Likud si sono ritirati e hanno espresso il loro sostegno per il vicepremier. Che questa volta ha ottenuto le preferenze dello Shas, i deputati ultra-ortodossi irreggimentati da una decisione del leader spirituale, il rabbino Ovadiah Yosef.
Il 15 luglio Peres entrerà nella residenza a Gerusalemme per sedere a 83 anni sull'unica poltrona che gli mancava. Arrivato in parlamento nel 1959, considerato il padre dell'atomica israeliana, ha ricoperto tutte le cariche, da premier a ministro della Difesa, dalle Finanze agli Esteri. Primo ministro tre volte senza L'auto del deputato antisiriano distrutta dall'esplosione sul lungomare di Beirut
mai aver vinto un'elezione: ha guidato il governo nel '77 dopo le dimissioni di Yitzhak Rabin, negli anni '80 a rotazione con l'avversario Yitzhak Shamir e infine dopo l'assassinio di Rabin, nel novembre del 1995.
L'età non è stata considerata uno svantaggio. I deputati e gli israeliani sperano che Peres possa «restituire dignità alla presidenza», come scrive nell'editoriale il quotidiano

Haaretz.
«Il presidente è innanzitutto una figura simbolica. La maggior parte dei cittadini devono potersi identificare nella sua visione del mondo e nelle sue attività pubbliche. La profonda delusione con gli ultimi due capi dello Stato ha reso questa sfida ancora più importante e difficile».
Gli ultimi due sono Moshe Katsav, che si è autosospeso alla fine di gennaio in attesa di capire se verrà incriminato per molestie sessuali, ed Ezer Weizman, costretto alle dimissioni nel 2000 dopo essere stato implicato in uno scandalo per corruzione. «Il ruolo del presidente — ha proclamato Peres nel primo discorso — non è essere coinvolto negli scontri tra i partiti, ma rappresentare quello che ci unisce. Farò di tutto per riconciliare la società israeliana divisa».
In questi mesi, si è impegnato a riconciliarsi con i partiti ultraortodossi per essere sicuro di non avere sorprese. Laico da sempre, ha infarcito i suoi proclami di invocazioni devote. Ha usato la parola Dio tre volte, quando ha annunciato la candidatura al comitato centrale di Kadima, il partito dove è approdato da transfuga dopo aver perso le primarie laburiste contro Amir Peretz, nel 2005. «Cerca di convincere i religiosi che lui e il Signore sono in buoni rapporti — ha commentato Uri Orbach sul quotidiano Yedioth Aharonoth
—. Tutte queste dichiarazioni sono ipocrite, un uomo della sua età che usa il nome di Dio all'improvviso e così di frequente si macchia di un peccato». «Dopo aver vissuto 83 anni — ha replicato il portavoce di Peres — ha il diritto di ringraziare Dio».

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