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[b]Magdi Allam messo all'indice
due editoriali sull'appello pubblicato da Reset

Testata:Corriere della Sera – Il Foglio
Autore: Pierluigi Battista – la redazione
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Plauso a Pierluigi Battista per l'edioriale del CORRIERE della SERA del 19 luglio 2007 sull'appello contro Magdi Allam pubblicato dal numero di luglio della rivista RESET e frimato, tra gli altri, da Paolo Branca, Angelo d'Orsi , Enzo Bianchi.

[b]Condividiamo le considerazioni di Battista e quelle dell'editoriale del FOGLIO riportato più in basso.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere a Magdi Allam nel suo forum nel sito del CORRIERE per esprimergli solidarietà (per partecipare al forumoccorre iscriversi, gratuitamente).
Ecco l'indirizzo:

Ecco il testo:[/b]

Cosa mai possono concretamente sperare le (così dicono) «centinaia di firme» apposte a un documento che si scaglia contro un libro, quello di Magdi Allam? Forse indurre l'autore ad abiurare? L'editore a ritirare il volume? I librai a disfarsene? A dichiarare fuori legge un saggio per aver violato chissà quale articolo del codice penale? Oppure, come è più probabile ma non meno inquietante, a rinchiudere il bersaglio di tanta ardente indignazione in un recinto infetto, fare terra bruciata attorno a lui, insomma a procurare un effetto intimidatorio su chi si è macchiato della grave colpa di aver scritto quel libro?
Il documento in questione (un appello, una petizione, un manifesto, o comunque si voglia chiamare questa ennesima testimonianza di un'abitudine molto italiana degli intellettuali ad aggregare le loro firme in vista di qualche sempre commendevole «mobilitazione » e nobile Causa) compare sull'ultimo numero di «Reset», la rivista di Giancarlo Bosetti sempre vivacemente presente negli snodi cruciali del dibattito culturale. Sottoscritto da numerosi studiosi di vaglia tra i quali Paolo Branca e David Bidussa, Angelo d'Orsi e Ombretta Fumagalli Carulli, Patrizia Valduga ed Enzo Bianchi, se la prende con un libro, «Viva Israele» di Magdi Allam, per via della sua «sfrontatezza», per di più «lontanissima dallo spirito e dai valori di una democrazia costituzionale », indice di «un preoccupante imbarbarimento dell'informazione» cagionata, par di capire, dall'attacco molto duro che Allam avrebbe riservato a due docenti universitari italiani. Ma il documento-anatema non si articola come difesa di qualcuno che si ritiene ingiustamente attaccato, bensì come un «no» al libro, un «contro Allam», una «critica» ad personam. Una scomunica collettiva, non una confutazione di una tesi. Una mozione che segnala l'arruolamento a una posizione ideologica, non una critica al merito di un libro.
È difficile comprendere cosa abbia indotto tanti intellettuali a una deroga così grossolana e stupefacente di alcuni princìpi basilari della libera discussione politico-culturale attorno a un libro. La consuetudine vuole infatti che un libro venga criticato, anche ferocemente, ma da un singolo, non da una schiera vociante di «centinaia di firme». Che un libro possa anche essere stroncato, demolito, fatto (intellettualmente) a pezzi, ma solo da chi porta la responsabilità intellettuale in un conflitto di idee modulato su argomenti che si contrappongano aspramente ad argomenti, tesi contro tesi, documenti contro documenti. I firmatari dell'appello contro Allam non fanno nulla di tutto questo. Bersagliano un libro per il solo fatto che esiste e il suo autore perché accusato di «tifare» per le ragioni di Israele (e se anche fosse, dov'è il reato, o il peccato?). Firmano in gruppo credendo di rafforzare la loro credibilità con il numero delle adesioni e non con la vis persuasiva di un argomento. Fossero state migliaia anziché centinaia, le firme, ci sarebbe forse qualche ragione in più per considerare ancor più negativamente il libro mandato simbolicamente al rogo? Da quando in qua la scientificità di un libro viene misurata così brutalmente sui diktat della «dittatura della maggioranza»?
Nella moltitudine di appelli e di manifesti che ha scandito in modo così ripetitivo la vita culturale dell'Italia repubblicana, i firmatari del documento di «Reset» hanno deciso di dar vita a un unicum, non conoscendosi, a memoria, precedenti di una raccolta di firme esplicitamente indirizzate contro un libro e contro un saggista. Ma se questa nuova tipologia di appelli non assomiglia alla (legittima) stroncatura di un libro o al (sacrosanto) dissenso nei confronti di tesi giudicate sbagliate o infondate, resta la sgradevole sensazione che nel tutti contro uno messo in scena da una rivista si produca attorno a un libro il marchio della «pericolosità», del discredito, della delegittimazione preventiva e dunque sleale. Qualcosa che ha il sapore dell'intimazione al silenzio, o comunque di un trattamento speciale che genera allarme sociale attorno a un libro e un effetto di intimidazione su un autore e sul suo editore chiamati, per così dire, a una maggiore prudenza nel futuro. Una deriva di arroganza che, anche se animata dalle migliori intenzioni, nella storia ha sempre condotto alla tentazione censoria e alla messa all'indice. Sempre.

[b]Di seguito, l'editoriale del FOGLIO, da pagina 3:[/b]

Tra i firmatari c’è anche Angelo D’Orsi, uno che ha la scomunica facile quando si prova a mettere in discussione la vulgata dell’antifascismo come religione civile. Magdi Allam è abituato a vedersi scomunicare pubblicamente. Gira con la scorta, accerchiato da tre uomini armati, minacciato di morte. Cosa sarà mai un dossier polemico di Giancarlo Bosetti? L’intellettuale islamista Tariq Ramadan gli ha dato del “cristiano” in un dibattito pubblico con Daniel Pipes. Equivale all’accusa di blasfemia. Ora un appello di duecento intellettuali, pubblicato dal contenitore amatiano Reset, intende screditare il suo nobile lavoro di sradicamento della cultura della persecuzione dal nostro paese. Criticare un giornalista arabo che ha rotto con l’omertà tribale, venuto in Italia a denunciare l’infiltrazione fondamentalista nelle nostre moschee trasformate in centrali dell’odio, che scrive inni alla dignità della persona contro il negazionismo endemico che assedia come la peste una parte del mondo islamico, mettere in dubbio la sua apologia dell’occidente come destino di libertà, tutto questo è ovviamente lecito e ammissibile. Non lo è mostrificare Magdi Allam. Perché lui non è un analista qualunque, ma un pezzo importante di una guerra culturale che durerà decenni. Forse il gran censore Angelo D’Orsi pensava ad altro all’epoca, ma noi ci ricordiamo il trattamento in occidente dei dissidenti sovietici. E quest’appello ha tutto il sapore dell’umiliazione pubblica leninista.


www.corriere.it
www.ilfoglio.it

 

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