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Autore: Maurizio Caprara – Monica Ricci Sargentini[/b]

[b]Dal CORRIERE della SERA del 18 luglio 2007, l'intervista di Maurizio Caprara a Gideon Meir, ambasciatore d'Israele in Italia:

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ROMA — L'intervista non è neppure cominciata che la prima domanda la fa l'intervistato. «Qual è la politica estera italiana?» chiede Gideon Meir, l'ambasciatore di Israele a Roma. Non è una persona impulsiva, Meir. Ha ben presenti i limiti che suggeriscono a un diplomatico di rinunciare in pubblico a lanciare attacchi diretti. Però non gli pare nemmeno il caso di stare zitto di fronte al giudizio che Massimo D'Alema, il ministro degli Esteri del Paese nel quale è accreditato, ha dato su uno dei peggiori nemici di Israele: «Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare». Un movimento che vinse le elezioni e che D'Alema teme possa essere spinto nelle braccia di Al Qaeda dal rifiuto occidentale di considerarlo legittimato a governare.
Di fronte a questo, Meir pone una domanda che di fatto, benché non sia nominato, ha come destinatario Romano Prodi, protagonista la settimana scorsa di una visita a Gerusalemme e Tel Aviv giudicata un successo dalla diplomazia israeliana.
Ambasciatore, D'Alema sostiene che Hamas e Hezbollah non vanno indotti ad allearsi con Al Qaeda. A lei un'intesa tra le tre formazioni non pare un rischio?
«Per me, Hamas e Hezbollah sono gruppi guidati dall'Iran che hanno l'obiettivo di distruggere lo Stato di Israele. Al Qaeda usa gli stessi mezzi degli altri due e la sua scuola di pensiero viene dal terrorismo palestinese. Dal mio punto di vista di ebreo, di israeliano e di uomo dell'Occidente non vedo differenze. La brutalità è la medesima, gli atteggiamenti verso la vita umana sono identici. Ma io vorrei premettere…»
Che cosa?
«…che io cerco di non dialogare con le personalità politiche e istituzionali italiane attraverso i media. Soltanto che quando leggo sul giornale di certe posizioni, non ho scelta: come rappresentante dello Stato di Israele e come ebreo devo dire in pubblico quello che sento».
E che sente?
«Primo, che continuerò a dialogare direttamente e senza passare per i mezzi di informazione…».
Prendo atto e prendo nota. Ma a parte questo si vede che lei è arrabbiato.
«Frustrato e deluso, direi».
Perché frustrato e deluso?
«Perché appartengo alla seconda generazione dopo la Shoah. I miei genitori vennero in Israele negli anni '30 dalla Germania nella quale Hitler era stato democraticamente eletto alla guida del Paese dal popolo tedesco».
Pagina feroce della storia. Ma il nesso con le vicende attuali?
«Eccolo. Una settimana fa ho accompagnato Prodi al nuovo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto. Ogni volta che ci vado il messaggio per me è: "Ricorda. Non dimenticare". Noi ebrei sentiamo il peso terribile delle azioni di quel governo democraticamente eletto. Il mondo pensò di potersi mettere d'accordo con Hitler e di poterci vivere in pace. Noi sappiamo com'è andata ».
D'Alema ha sottolineato che «Hamas rappresenta tanta parte del popolo palestinese» e ha vinto le elezioni.
«Appunto. La mia risposta è in quanto stavo dicendo».
Resta il fatto che Hamas è un problema irrisolto: anche per l'Unione Europea è un gruppo di terroristi, ma è il primo partito tra i palestinesi. Ha visto che dieci ministri degli Esteri dell'Ue, italiano compreso, hanno chiesto di aprire una via per negoziarci?
«La lettera spedita dai dieci a Tony Blair ci sembra un ritorno ai vecchi giorni nei quali chiamavamo "politica del megafono" la linea europea sul Medio Oriente. Negli ultimi anni il dialogo con l'Ue è stato produttivo. Vorremmo che l'Europa, e l'Italia, rafforzassero i moderati».
E Hamas?
«Hamas è dalla parte degli estremisti. Capisce soltanto una cosa: va combattuta. Quelli non sono uomini come noi, che difendono la vita altrui. Guardiamo quanto hanno fatto a Gaza un mese fa: ucciso i propri fratelli. Hamas vuole uno Stato religioso e fanatico in tutto il Medio Oriente. Senza Israele».
Crede che per rafforzare i palestinesi moderati l'Italia debba fare di più?
«Parlare ad Hamas o dare l'impressione che sia un'entità legittima significa insidiare il presidente Abu Mazen, il premier israeliano Ehud Olmert e il processo di pace. Quando Abu Mazen legge certe posizioni italiane si porrà la stessa mia domanda. Qual è la politica estera italiana? Non è stupefacente? Noi, lui e la stessa domanda».
La linea di Prodi le sembra meglio di quella di D'Alema?
«Non mi addentro su differenze di posizioni, se ci sono, nel governo italiano. Ho in Israele tre figli e tre nipoti. Il processo di pace è la cosa più importante della mia vita. Io spero che l'Italia rafforzi i palestinesi moderati».
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La cronaca delle reazioni del mondo politico italiano alle dichiarazioni di D'Alema:[/b]

MILANO — Non gettare Hamas nelle braccia di Al Qaeda. Non chiudere la porta al dialogo con una forza che gode di un vasto consenso popolare. L'altro ieri il ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D'Alema ha lanciato il sasso, proprio alla vigilia della visita a Roma di Tony Blair, nuovo inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente. E dall'opposizione è arrivato un coro indignato di proteste. «Parole gravissime e irresponsabili » ha subito attaccato il leader di An, Gianfranco Fini, che di D'Alema è stato il predecessore. «Hamas non ha mai ripudiato il terrorismo come strumento di lotta. Lo pratica tuttora e si rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele». D'altra parte, fa notare l'ex vicepremier, non è un caso che la Ue abbia inserito il partito di Haniyeh nella lista delle organizzazioni terroristiche. «Prodi ha il dovere di dire con chiarezza — ha concluso — se le affermazioni di D'Alema sono condivise e sono la linea del governo». È la stessa domanda che pone anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: «L'Italia non può aver alcun ruolo in Medio Oriente se segue questa politica ambigua del doppio binario. Spero che il presidente del Consiglio ribadisca che la nostra posizione è quella europea». Mentre il senatore di Forza Italia, Giuseppe Pisanu, invita D'Alema a chiarire al più presto «e in sedi ufficiali il senso delle sue gravi dichiarazioni».
Da Palazzo Chigi nessuna replica. La polemica, spiegano alla Farnesina, «è strumentale». Una montatura bella e buona. La linea del dialogo «difficile», anche con chi è isolato internazionalmente come la Siria, è stata sostenuta da Prodi non più di dieci giorni fa, alla vigilia del suo viaggio in Israele.
Dov'è lo scandalo?
Non lo vede Ugo Intini, viceministro degli Affari Esteri con delega per il Medio Oriente. «D'Alema — spiega al Corriere — ha detto una cosa giusta ed è una linea che abbiamo perseguito da sempre, insieme con la Lega Araba. Oggi tutti condannano ciò che Hamas ha fatto a Gaza, però tutti sperano che la strada dell'unità si riapra. Anche Blair ha definito terroristi per decenni i nordirlandesi ma poi ha stipulato con loro un accordo. Certo bisogna appoggiare Abu Mazen senza mezzi termini ma allo stesso tempo non bisogna escludere il dialogo con l'altra parte ». Ancora più netto Lamberto Dini, presidente della Commissione Esteri del Senato, a capo della Farnesina dal 1996 al 2001. «Credo che il nostro ministro degli Esteri — dice al Corriere — abbia voluto sottolineare l'importanza di ricercare tutte le possibilità per far ripartire un dialogo fra Hamas e Fatah. Blair è stato nominato proprio per questo. Tutti sappiamo che Hamas utilizza la forza e al momento non riconosce Israele. Ma ha anche vinto elezioni democratiche. Non mi sembra che la Ue la consideri un'organizzazione terroristica, pensa che Blair ci andrebbe a parlare se fosse così?». E poi, aggiunge, il partito di Abu Mazen «ha perso le elezioni perché era considerato estremamente corrotto». D'accordissimo con il ministro degli Esteri la sinistra radicale. Come il presidente della Camera Fausto Bertinotti che afferma lapidario «se c'è la guerra, la pace si fa tra nemici». Ma il ministro della Difesa Arturo Parisi ricorda una precondizione non di poco conto: il reciproco riconoscimento. «L'affermazione di D'Alema è condivisibile ma non posso non rilevare che il riconoscimento della controparte israeliana non è a nostra disposizione». E i radicali della Rosa nel pugno fanno notare che nell'Unione «prevale una posizione che nega qualunque legittimità politica a Hamas e Hezbollah». Oggi non si direbbe.

[b]I commenti di Josè Maria Aznar e Giulio Tremonti sulle dichiarazioni di D'Alema:[/b]

ROMA — La domanda sull'argomento del quale si parlava anche in altri tavoli l'ha posta a José Maria Aznar il vocione di Riccardo Pacifici, vicepresidente della Comunità ebraica Romana: «Che ne pensa della tesi di Massimo D'Alema secondo la quale Hamas non va regalata ad Al Qaeda e di quella lettera di dieci ministri europei favorevoli a trattare con Hamas?». Abito blu e cravatta blu nel caldo della terrazza di un attico dei Parioli a ora di colazione, l'ex presidente del governo spagnolo non ci ha pensato su nemmeno un istante.
«La politica europea è tonta » ha risposto Aznar in italiano e con un aggettivo spagnolo che non ha bisogno di traduzioni. Pacifici: «Javier Solana, l'alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, ha preso le distanze dalla lettera». Aznar: «Solana difende le sue competenze». Pacifici: «E la lettera?». Aznar: «Mentre Ehud Olmert deve incontrare Abu Mazen e si apre un nuovo tipo di confronto, è un grande favore ad Hamas».
Era una colazione offerta per presentare i programmi romani della fondazione «Respublica» quella di ieri a casa di Roberto Haggiag, 50 anni, imprenditore nella finanza e nel settore immobiliare. Aperitivi e litri di acqua minerale in un soggiorno con quadri di de Chirico, Burri, Balla, Chagall. Di fronte a un arazzo cinquecentesco, un Feuille de Choux, l'avvocato Barbara Pontecorvo ha salutato i promotori di questa fondazione diretta da Giulio Tremonti.
Johanna Arbib, presidente della sede romana del Keren Hayesod, fondazione ebraica di dimensioni internazionali, si è augurata una collaborazione tra le due organizzazioni. Aznar ha indicato un obiettivo: «Dobbiamo difendere l'Occidente dalla minaccia del fondamentalismo e del relativismo». Poi tutti al buffet con il riso e il carpaccio di pesce. «I cibi sono preparati kosher con latte sotto nostra sorveglianza» garantiva un certificato del catering.
Oltre ad Haggiag, di religione ebraica molti degli invitati, dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni al principe dell'ortopedia Lamberto Perugia con il figlio-collega Dario. Poi deputati di Forza Italia, da Fabrizio Cicchitto a Donato Bruno, nomi dell'economia come Giancarlo Elia Valori. La domanda di Pacifici è arrivata al momento del gelato in un tavolo con Maria Teresa Venturini Fendi. Su D'Alema, Tremonti non era stato meno caustico: «Molto meglio Andreotti. Si diffidi della merce contraffatta».


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