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Testata:Il Giornale – Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein – Angelo Panebianco [b][/b]

[b]Dal GIORNALE del 19 luglio 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:
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Cinismo: pensiamo che alla base delle recenti dichiarazioni di D’Alema e di Fassino su Hamas ci sia principalmente questo. Tuttavia, prima di cercare ancora di far ragionare il ministro degli Esteri e quella brava persona che è sempre stata in politica mediorientale Piero Fassino, segretario dei Ds, ci sono due novità che la cronista ha il dovere di raccontare.
La prima è che D’Alema, nello stesso discorso di San Miniato in cui lunedì ha ribadito l’idea che si debba parlare con Hamas in quanto «forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese», si è anche espresso in un modo che rende chi come me si occupa da tanti anni di Medio Oriente un povero reietto. Infatti il ministro ha bollato i giornalisti che hanno scritto della sua passeggiata a braccetto con gli Hezbollah, montando, a suo dire «una campagna», chiamandoli, né più né meno che «dei deficienti». Finalmente sappiamo ciò che siamo. Ma siamo contenti almeno che il titolo abbia valore mondiale, dato che sia la foto della passeggiata che lo stupore che ne è derivato hanno costellato parecchi giornali, in molte lingue, in tutto il mondo. Ma il disprezzo di D’Alema per chi non ammira la sua politica è una sua antica abitudine. «So let it be with Caesar».
La seconda storia, ed entriamo in argomento, è che un’indagine recentissima della Near East Consulting, compiuta a Gaza in questi giorni, dimostra che il consenso di Hamas è in discesa, mentre quello di Fatah cresce: gli schiaffi della messa in mora internazionale cominciano a fare effetto. Hamas ha ora il 23 per cento dei consensi a fronte del 29 del mese scorso, Fatah è salito dal 31 al 43. Il 66 per cento di quelli che hanno votato per Hamas oggi voterebbe per Fatah. Il margine di errore è valutato al 3 e mezzo per cento. Ismail Haniyeh con il 37 per cento è oggi nettamente sotto Abu Mazen che ha il 63 per cento. Questo significa che le stragi compiute da Hamas dopo le elezioni, la percezione (secondo Jamil Rabah, capo del Near East Consulting) del boicottaggio internazionale di Gaza, i disagi della popolazione, la disapprovazione per il comportamento criminale di Hamas hanno ottenuto quei risultati che D’Alema e anche Fassino, quando ripetono che Hamas è una forza «democraticamente eletta» e quindi indispensabile alla pace, ritengono evidentemente impossibili. La sviolinata su Hamas come forza maggioritaria eletta in libere elezioni, anche evitando ovvi paragoni, per esempio quello con Hitler, è del tutto irrilevante: elezioni e democrazia non sono sinonimi, soprattutto quando la forza eletta dichiara ripetutamente che disprezza il sistema democratico come espressione della cultura blasfema dell’Occidente, e che quindi usa le elezioni come puro veicolo di affermazione. La democrazia è un pacchetto complessivo, che prosegue anche il giorno dopo le elezioni: se una forza «democraticamente» eletta si avvale del consenso elettorale per imporre un regime teocratico e sanguinario, qualcuno mi deve spiegare dove è rintracciabile la sacralità del patto con le forze di minoranza.
Inoltre, non è affatto vero, come sostiene D’Alema, che Hamas venga consegnata ad Al Qaida se non ci si parla. Hamas nasce nel ventre di Al Qaida e viceversa, i loro legami sono molteplici e intrinseci, come ha detto anche Abu Mazen, e nel passato ne abbiamo dato conto parecchie volte nei particolari, con le date e i nomi. Infatti, queste due organizzazioni non hanno nessun’altra ragione sociale se non quella religiosa messianica antioccidentale, ovvero la jihad. Non esisterebbero senza. Basta leggere la Carta di Hamas e, se poi non convince perché si pensa che siano tutte chiacchiere, basta dare un’occhiata alle gesta del Movimento, sia sul fronte del terrorismo sia su quello della guerra interna. La mostruosa (ripeto, mostruosa) crudeltà dell’organizzazione descrive pienamente le sue potenzialità politiche. Esiste già, con Hamas, un dialogo che riguarda le questioni indispensabili, quelle degli aiuti umanitari e quelle dello scambio dei prigionieri. Per il resto è semplicemente masochista e persino un po’ folle immaginare come strumento di pace la promozione degli estremisti nel momento in cui tutta l’idea della ricostruzione di un processo di pace mediorientale è basata sulla nuova costruzione della rilevanza dei moderati. Per questo Bush ha proposto la nuova conferenza di pace, per questo vuole conferire all’Autorità di Abu Mazen 190 milioni di dollari, per questo intende fare di questa conferenza un appuntamento che contesti e anzi spinga fuori l’egemonia iraniana, che (ma D’Alema non lo sa?) da Hamas è auspicata e utilizzata, uomini, danaro, armi. Tony Blair non accetterà, nel suo nuovo ruolo, la strategia italiana, George Bush riterrà un attacco diretto alla sua strategia la posizione del nostro ministro degli Esteri. Inoltre, non la accetteranno i nostri figli, cui insegniamo che non uccidere è il primo comandamento, e che poi invitiamo a sedersi con degli assassini patentati.

[b]Dal CORRIERE della SERA, l'editoriale di Angelo Panebianco:
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Hamas, per bocca del suo leader Haniyeh ( La Repubblica di ieri), ha ringraziato il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema per le sue parole («Hamas è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese »). La presa di posizione del ministro italiano è il seguito di una iniziativa (la lettera a Tony Blair) assunta da dieci ministri europei, francese e italiano inclusi, e tende alla legittimazione di Hamas di fronte alla comunità internazionale. Come, con sentimenti opposti, ha colto anche l'ambasciatore israeliano Gideon Meir (nell'intervista al Corriere di ieri), Hamas ha così segnato un punto nel braccio di ferro con il presidente Abu Mazen, la cui posta è il diritto di rappresentanza dei palestinesi. Una parte d'Europa, dopo il colpo di stato a Gaza, sembra voler riconoscere il fatto compiuto e accettare gli integralisti di Hamas come interlocutori al posto del moderato Abu Mazen. L'ambasciatore Meir ha ragione quando ricorda a D'Alema che anche Hitler vinse, come Hamas, democratiche elezioni e che quello dunque non può essere un argomento buono per legittimare dei fanatici estremisti, ma difficilmente questa constatazione può far cambiare idea alla parte di Europa più interessata a normalizzare i rapporti con i movimenti integralisti del Medio Oriente che alla sicurezza di Israele.
C'è un'Europa che, scambiando per realismo le proprie illusioni, pensa di poter trattare con chiunque, anche con il diavolo, trovandovi comunque un tornaconto. Essendo secolarizzata essa non registra il fatto che movimenti politico-religiosi come Hamas o Hezbollah non hanno nulla in comune con i vecchi «movimenti di liberazione nazionale ». La dimensione religiosa (e il fanatismo che essa alimenta) di questi gruppi sfugge alla sua comprensione. E favorisce l'illusione di poter negoziare con essi con reciproca soddisfazione.
Lasciamo da parte il caso della Francia che in questo momento sta lanciando messaggi contraddittori (la firma del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner nella lettera dei dieci, in effetti, è in contraddizione con le posizioni del «Quartetto» di cui la Francia fa parte). E' possibile che Sarkozy non abbia ancora messo definitivamente a punto la sua posizione sul Medio Oriente, come sembrerebbe indicare la presa di distanze di Kouchner dalle parole di D'Alema.
Prendiamo invece il caso dell'Italia il cui governo, grazie soprattutto all'attività del ministro degli Esteri, ha indubbiamente una posizione coerente. C'è continuità fra le diverse iniziative del governo Prodi sulla scena mediorientale. Fin dai tempi della guerra del Libano (luglio 2006) quando D'Alema si dimostrò assai meno indulgente nei confronti di Israele che dei suoi nemici integralisti. Allora D'Alema legittimò Hezbollah con parole simili a quelle ora usate per Hamas: è una forza popolare, disse, radicata nella società libanese. Giudizio descrittivamente ineccepibile da cui veniva tratta l'eccepibile conclusione che il «dialogo» con Hezbollah fosse necessario. Il tutto sullo sfondo (è l'aspetto più importante) delle ottime relazioni che l'Italia ha instaurato con l'Iran e con la Siria, gli stati-sponsor di Hezbollah e di Hamas. La coerenza è certa ma è lecito dubitare che l'arrendevolezza nei confronti degli estremisti e dei loro sponsor serva alla stabilità del Medio Oriente e, quindi, agli interessi dell' Italia e dell'Europa.
Per fortuna, molte partite sono ancora aperte. C'è spazio per la resipiscenza. Per riconoscere, ad esempio, che buttare a mare i moderati (come oggi Abu Mazen) e legittimare gli estremisti è sempre stata, fra tutte le politiche concepibili, la peggiore.

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