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[b]Hamas “forza popolare”
di Stefano Magni[/b]

“Movimento terrorista, ma anche popolare, che rappresenta tanta parte del popolo palestinese”: colpiscono queste affermazioni del Ministro degli Esteri D’Alema pronunciate alla Festa dell’Unità di San Miniato lo scorso 16 luglio.

Hamas sarebbe una forza popolare? A parte la contraddizione di un partito totalitario “popolare” (anche Hitler, seguendo lo stesso criterio, visto che fu eletto nel 1933, potrebbe essere definito “popolare”?), a Gaza Hamas ha conquistato il potere con la forza, dopo sette mesi di guerriglia metropolitana, rifiutandosi di affrontare le elezioni anticipate chieste dal presidente Abu Mazen il 15 dicembre 2006. Elezioni che il partito islamista avrebbe molto probabilmente perso. Infatti Hamas, soprattutto a causa della sua politica religiosa estremamente repressiva, aveva già bruciato buona parte del consenso palestinese conquistato negli anni precedenti con una forte campagna moralizzatrice contro la corruzione dell’Autorità Palestinese. Hamas, insomma, ha ripetuto la strategia di un partito che D’Alema conosce molto bene: quello bolscevico di Lenin che, vista la mala parata elettorale, sciolse con la forza l’Assemblea Costituente e prese definitivamente il potere nel gennaio del 1918. Con questa strategia la democrazia c’entra ben poco. Hamas, nella sua conquista del potere, non ha badato al rispetto dei diritti dei Palestinesi. Secondo la denuncia di Human Rights Watch, non solo molti militari fedeli ad Al Fatah sono stati passati per le armi dopo che si erano arresi, ma nel corso dei combattimenti del golpe di Gaza anche centinaia di civili inermi sono stati usati come scudi umani, non sono stati rispettati neppure i feriti e gli ammalati (con gli ospedali occupati e usati come basi) e i Palestinesi non musulmani sono stati perseguitati. I cristiani, in particolar modo, hanno dovuto subire il saccheggio e la devastazione di chiese, scuole e asili.
Secondo D’Alema “La comunità internazionale deve evitare che movimenti come Hamas e Hezbollah possano finire tra le braccia di Al Qaeda”. Dovremmo dunque turarci il naso nel nome di una strategia del “divide et impera”? Niente affatto, perché, stando allo stesso presidente palestinese Abu Mazen, è proprio Hamas che sta facendo da apripista ad Al Qaeda. Il primo a complimentarsi per la vittoria golpista del partito islamista a Gaza è stato Al Zawahiri, leader ideologico della rete del terrore. Sul piano formale il premier di Hamas, Haniye, ha rinnegato il sostegno dichiarato di Al Zawahiri e anche la liberazione del giornalista Johnston della BBC viene fatta passare come vittoria di Hamas su Al Qaeda. Ma le parole di Abu Mazen, pronunciate il giorno prima del suo incontro con Romano Prodi, non lasciano spazio a dubbi: “Il movimento di Hamas protegge Al Qaeda e le sta permettendo di infiltrarsi nella striscia di Gaza”.
D’altra parte sia Hamas che Al Qaeda condividono la stessa visione radicale sunnita dell’Islam, lo stesso disegno strategico per la rinascita di una nazione islamica unita. “Il fondamento profetico è il messaggio del profeta Maometto: l’Islam entrerà in ogni casa e si diffonderà in tutto il mondo” affermava l’ex ministro degli esteri di Hamas, Al Zahhar, lo scorso 25 marzo. E il portavoce parlamentare del partito islamista, il 20 aprile scorso pronunciava pubblicamente questa preghiera: “Rendici vittoriosi sugli infedeli. Allah, sconfiggi gli Ebrei e i loro alleati, sconfiggi gli Americani e i loro alleati, contali e uccidili tutti fino all’ultimo uomo, non lasciarne vivo nemmeno uno”. Questa ideologia comune di Hamas e Al Qaeda, tra l’altro, demolisce un altro dei cardini della politica estera dalemiana: sedersi attorno a un tavolo con forze estremiste e armate come Hamas. Sono proprio i movimenti islamisti che non hanno mai accettato la trattativa. Il partito islamico palestinese non ha mai accettato gli accordi di Oslo del 1993 e solo il 9 aprile scorso, il portavoce ufficiale di Hamas dichiarava che: “Libereremo la Palestina, tutta la Palestina. E la Palestina non sarà liberata con negoziati, comitati e decisioni politiche, ma solo con il fucile e con i razzi Qassam”. E anche sul quotidiano di partito Al Risalah, il 23 aprile scorso, si poteva leggere chiaramente una difesa ad oltranza della strategia della violenza: “Abbiamo sentito più di una volta condanne o denunce contro le operazioni di resistenza armata e le bombe di Hamas e delle altre branche della resistenza palestinese. Tutti devono sapere che noi commettiamo questi atti perché è il nostro Signore a comandarli, non li commettiamo secondo la nostra volontà. E il popolo deve sapere che lo sterminio degli Ebrei è un bene per gli abitanti del mondo”.
Le dichiarazioni di D’Alema che legittimano Hamas (che tuttora rientra nella lista nera europea delle organizzazioni terroristiche) sono solo il frutto di un macroscopico errore di percezione? Il momento in cui sono giunte fa pensare piuttosto a una scelta politica ben precisa: il giorno stesso, infatti, il presidente Bush proponeva una conferenza di pace per il Medio Oriente che escludesse i movimenti estremisti. Pur di dare addosso all’“alleato” di Washington, D’Alema ha fornito una legittimazione non richiesta al movimento di Hamas, abbandonando anche i tradizionali alleati della sinistra italiana: i Palestinesi “laici” e “progressisti” di Al Fatah, eredi di Arafat.

 

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