L’aggressione a Dounia Ettaib da parte di due fanatici maghrebini non è “solo” un atto vigliacco di due uomini che se la prendono con una donna.

E’ molto di più, è l’attacco a un simbolo dell’emancipazione femminile: benissimo ha fatto il nostro sindaco a solidarizzare con la rappresentante delle donne marocchine. I problemi delle immigrate restano però gravi. Dounia è stata minacciata perché si occupa di difenderle e di integrarle nel nostro paese. Era lei infatti che guidava le donne che manifestavano di fronte al tribunale di Brescia giovedì mattina, in occasione della prima udienza per il processo agli assassini di Hina. Con lei, a ricordare la ragazza di origine pachistana trucidata dal padre perché voleva vivere all’occidentale, c’erano un centinaio di donne. Alcune di queste hanno vissuto storie personali agghiaccianti: prese a pugni, sfregiate, o con i seni tagliati dai loro stessi mariti.
C’è però qualcosa di più, che ancora ci sfugge, nel caso dello sgozzamento di Hina: quella sorta di solidarietà “culturale” da parte di alcune minoranze islamiche nei confronti del carnefice, invece che della vittima. Basti pensare alle frasi che i due maghrebini hanno rivolto a Dounia Ettaib: “perché difendi Hina? Perché è una puttana come te!”. Questi fanatici difendevano la facoltà del padre di Hina ad ucciderla, senza neppure conoscerlo. Di fronte a “solidarietà attive” di questo genere – figlie di tradizioni misogine di fronte alle quali non dire niente significa di fatto avallarle – è necessario rivedere anche gli strumenti da mettere in campo per proteggere meglio le donne delle comunità straniere presenti a Milano. Certo servono più finanziamenti alle organizzazioni anti-maltrattamenti, ma anche una migliore opera di educazione e prevenzione. Nel caso delle donne immigrate il problema dell’informazione è – a causa della lingua – ancora più grave. Per esempio, molte donne extracomunitarie vittime di violenza da parte del marito sposato nel paese d’origine, non sanno nemmeno che in Italia possono chiedere il divorzio.
Ma oltre alla pubblicità, c’è anche un’opera di “moral suasion” di cui il sindaco dovrebbe farsi carico:
quello di stimolare all’interno delle tante comunità etniche e religiose presenti a Milano un’opera di informazione e di prevenzione nei confronti della violenza e degli abusi. Coinvolgere le donne nella classe dirigente e parlare dei loro diritti – nei luoghi di culto come nei centri culturali – deve diventare un dovere civico, oltre che morale. E’ così che si può aiutare l’emancipazione femminile all’interno delle varie comunità.
Coloro che ostacoleranno tali attività devono sapere che ci sarà un prezzo da pagare: il deterioramento dei rapporti con l’amministrazione comunale. Le istituzioni infatti non possono essere arbitro imparziale tra chi giustifica o tace di fronte alla sopraffazione ai danni delle donne, e chi predica invece pari diritti. Non dopo l’uccisione di Hina, né tanto meno dopo l’aggressione a Dounia.

Davide Romano

 

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