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[b]Abbiamo il piacere di trasmettervi un articolo scritto dalla prima giovane italiana che ha seguito il corso estivo di Sci-Tech che si è svolto in agosto a Haifa.

Ci auguriamo che moltri altri giovani italiani possano seguire il suo esempio.

con i migliori saluti.

A I A T[/b]

Studentessa di Liceo Classico, estate del secondo liceo. Mare, mare, mare?

No, scienza. Studio. Israele. Lontana da qualunque base, lontana dalla quotidianità, lontana dalle beghe da scuola superiore. Decidere di partire, mollare tutto per tre settimane, lingua, amici, relax.

Non perché soffocanti o negativi. Nessuna ragione apparente se non la voglia di mettersi in gioco,

la voglia di capire per tempo cosa voler diventare. I corsi preuniversitari? Tardivi. L’orientamento? Nebuloso. E questa scienza, da sempre qualcosa di fuori, qualcosa “che tanto qui in Italia non si può fare”. Fuga di cervelli, ma perché? Partire.

Università? No, Technion. Chiara fama, chiaro impegno, sudore, fatica. Sull’aereo i primi dubbi,

ce la farò? Non sono ebrea, non parlo ebraico (nonostante qualche sforzo prepartenza). Il programma è in inglese ma dovrò relazionarmi in qualche modo con quello che c’è fuori dal campus. Voglio imparare a 360°. E la gente? Secchioni, sicuro, gobbi, spocchiosi, saccenti. No, non sono né sarò abbastanza. Sì, sono bravina, mi hanno selezionata, dopo tutto, ma continuo a non essere convinta. Carattere competitivo e determinato, tanta passione non basteranno, non lì.

E invece?

Scoprire che imparare non è ricevere nozioni dall’alto, non è ripetere, non è frustrante. Scoprire che imparare è mettersi in discussione, tutti insieme. Scoprire che la scienza è una, un progetto di fisica mi può interessare e il mio progetto di ricerca (Bioinformatica, del tutto teorico, del tutto nuovo) può interessare te. Capire già solo dai propri coinquilini (due ragazze ebree tanto diverse nel modo di intendere la religione, una ragazza araba velata, una cattolica praticante canadese e me, né carne né pesce) la non importanza di pregiudizi, di discriminazioni tanto ovvie e banali a parole ma così complesse (a quanto pare) da mettere in pratica. Ho imparato tanto, non solo a livello scientifico, non solo su come si porta avanti un progetto, su come stendere una pubblicazione scientifica, su come tenere una conferenza. Essere incoraggiata, spronata, messa alla prova ma allo stesso tempo valutata, stimata (è decisamente gradevole sentirsi ripetere d’essere un’eccellenza mondiale, che sia vero o meno ai posteri l’ardua sentenza). Capire, conoscere. La curiosità e la pazienza dei madrelingua inglese, ritrovarsi sotto le stelle della Terra d’Israele a discutere dei propri percorsi e acquisire quel pizzico di razionalità e pragmatismo anglosassone che è sempre mancato. Perdersi per Gerusalemme, decidere di rivedersi anche durante il weekend libero e andare insieme a Tel Aviv, tutto il gruppo. Imparare soprattutto a risolvere problemi, dilemmi, per rimettere un po’ in ordine quel caos emozionale di cui tanto tutti parlano, questa adolescenza che tutti tanto pretendono di capire e di saper affrontare da fuori. Adolescenza in dirittura d’arrivo, ma, dopo, dopo cosa dovrei fare, dopo cosa succede? Nessun analista, niente. Solo tante risate, tanta gentilezza, un perfetto melting pot in cui inserirsi, farsi trascinare e coinvolgere. Poter, ora, andare ovunque nel mondo, dalla Bulgaria al Canada e poter conoscere il Mondo andando a trovare amici, uniti da rapporti tanto più sorprendenti perché profondi da subito. Intese perfette, se siamo qui è per uno stesso motivo, per una stessa identità. Accettarsi, non tollerarsi.

Sento d’essere formata come cittadina, sento di avere in mano le chiavi per cambiare tutto quello che non è mai andato, nel mio piccolo e nel grande.

Sento d’aver avuto l’opportunità di conoscere (e amare) un mondo scientifico che, purtroppo, in Italia è relegato a qualcosa da “fare dopo”.

Sento d’essere la prova vivente che anche al liceo si può e si deve fare di più, con coraggio.

http://www.scitech.technion.ac.il/[/link]

 

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