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[b]Da l'OPINIONE del 6 ottobre 2007, un articolo di Stefano Magni:[/b]

Chi di guerriglia ferisce, di guerriglia perisce. Hamas è sempre stato un partito armato specializzato in tecniche di destabilizzazione, ma adesso sta subendo una strategia analoga condotta da Al Fatah. Almeno stando a quanto viene denunciato dagli stessi leader del partito islamista a Gaza. Negli ultimi due mesi, Al Fatah ha organizzato proteste popolari nella città conquistata militarmente dal golpe di Hamas.

Lo scorso 7 settembre, migliaia di militanti fedeli ad Abu Mazen hanno pregato all’aperto, fuori dalle moschee, contro il regime imposto dagli islamisti. Hamas ha deciso di reagire con la forza, sguinzagliando le proprie forze di sicurezza contro i fedeli raccolti in preghiera: sono seguiti numerosi scontri tra fazioni per le vie di Gaza, che hanno provocato una ventina di feriti e non poche preoccupazioni per il leader islamista Haniyeh.

Tre dirigenti di Fatah sono stati arrestati dalle forze di sicurezza di Gaza, in quel frangente. Ma quella protesta pacifica non è sfociata in un’insurrezione generale, come forse a Ramallah (sede dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Al Fatah) speravano. E’ per questo che Hamas, tutt’oggi, è convinta che in seguito al fallimento della rivolta di piazza, a Ramallah abbiano pianificato una campagna di attentati ispirata alla strategia della guerriglia anti-governativa e anti-americana in Iraq. Martedì scorso, un veicolo che trasportava tre miliziani delle Brigate Martiri di Al Aqsa (braccio armato di Al Fatah), è esploso in prossimità
di una sede delle forze di sicurezza di Hamas. Il regime islamico di Gaza ha subito accusato Ramallah di aver tentato un attacco terroristico: i tre sarebbero esplosi mentre trasportavano esplosivo dentro la città per condurre un attentato. Ramallah, come prevedibile, ha negato ogni coinvolgimento, mentre le Brigate Martiri di Al Aqsa hanno rovesciato l’accusa, dichiarando che i suoi tre uomini sono stati uccisi dai miliziani di Hamas mentre stavano preparandosi a compiere un’azione jihadista contro Israele.

E tra i due partiti palestinesi, evidentemente, parlare di attacchi terroristici contro gli israeliani è un salvacondotto morale per qualsiasi azione criminale, il che la dice lunga sul “moderatismo” di Al Fatah! Il giorno dopo, cioè mercoledì scorso, un’auto delle forze di sicurezza di Hamas è stata distrutta da una bomba. Dei tre poliziotti che vi erano a bordo, uno è ferito gravemente. Anche in questo caso, il regime di Haniye ha accusato subito Al Fatah di aver organizzato l’attentato e un attivista del partito di Abu Mazen è stato arrestato il pomeriggio stesso. Giovedì scorso, invece, è avvenuto un primo episodio di esportazione della guerra civile palestinese anche nelle comunità della diaspora. Infatti sono scoppiati scontri a fuoco tra miliziani di Hamas e dimostranti fedeli ad Al Fatah in Libano, nel campo profughi di Sidone. Si sarebbero risolti con un solo ferito, prima che le forze di sicurezza interne al campo (gestite da Hamas) ripristinassero l’ordine, ma questo scontro è un segnale che l’ostilità fra le due fazioni palestinesi è molto profonda.

Secondo i vertici di Hamas, sarebbero 14 gli atti di terrorismo pianificati da Ramallah nel corso del mese di settembre. Gli obiettivi prescelti riguardano sempre le forze di sicurezza. Khaled Abu Hilal, un esponente di Hamas che un tempo faceva parte di Al Fatah, ha dichiarato al quotidiano israeliano Jerusalem Post che: “Questi crimini riflettono la mentalità terrorista degli assassini e di coloro che impartiscono loro istruzioni da Ramallah”. E sullo stesso quotidiano, un giornalista palestinese intervistato fa notare come sia “ironico che Hamas stia descrivendo gli attacchi di Al Fatah, come ‘atti di terrorismo’”.


 

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