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25/11/2007, a pag.23, del CORRIERE della SERA, nella cronaca di Erika Dellacasa.[/b][/size]

GENOVA — «Mi sento in guerra, lo sarò fino a quando Israele dovrà difendersi da chi la vuole distruggere. Lo abbiamo giurato allora: mai più un'altra Auschwitz». Yossi Harel, 87 anni, sarà per sempre «il comandante di Exodus», la nave che nel 1947 sfidò il blocco britannico tentando di raggiungere la Palestina con un carico di sopravvissuti ai campi di concentramento, 4.515 fra uomini, donne e bambini.

Sessant'anni dopo Harel, invitato dalla città, è tornato a La Spezia da dove «Exodus» salpò per la terra che non era ancora Israele. «Mi piace pensare — dice il comandante — che Israele nacque allora, su quelle navi gremite di profughi considerati immigrati illegali. Quelle navi hanno portato gli ebrei non solo in Palestina ma anche nella Storia ». Ventottenne, un passato nell'esercito inglese nell'Africa del Nord, finita la guerra Harel comandò quattro navi ma la più famosa— la leggenda, cui si sono ispirati un libro e un film di Otto Preminger con Paul Newman — è stata quella che non è mai arrivata. «Exodus » fu cannoneggiata e speronata dagli inglesi al largo di Haifa dove, con morti e feriti a bordo, Harel si dovette arrendere. Era il 18 luglio. I profughi vennero riportati a Amburgo.
«Ci hanno mandati indietro in quattromila — dice Harel — ma noi siamo tornati in quindicimila, non sono riusciti a fermarci. Gli inglesi ci hanno attaccato senza umanità, volevano ammazzarci e affondare la nave, furono momenti durissimi». Le sue parole sono tradotte con un sorriso affettuoso dal genero Sir Ronald Cohen, che vive fra Londra e Tel Aviv. Un semplice fatto che misura il tempo passato, anche se la memoria di chi li visse non si può allontanare da quei giorni. «Non furono gli inglesi a voler fare del male — dice un giovane nipote di Harel — la colpa fu del primo ministro che faceva gli interessi di un Impero che non c'è più». Quel viaggio terribile, «senza spazio, con poca acqua rugginosa, pochi viveri, poco carburante, schiacciati uno sull'altro come sardine » continua a rivivere nelle parole di Harel. «Quando partimmo — dice — tutti intonarono la canzone che è diventata l'inno di Israele. Ho nella mente le loro voci. Ma quello che non potrò mai dimenticare sono le lame di luce che entravano sotto coperta e si riflettevano sui numeri tatuati con l'inchiostro violetto sui polsi». Harel ha voluto rivedere i luoghi della memoria e appena ha messo piede ai cantieri di Portovenere li ha riconosciuti: «Qui — ha detto — lavorarono giorno e notte per trasformare un vecchio battello fluviale americano nella nostra nave, in Exodus. La Spezia era una città distrutta, ovunque c'erano macerie, eppure tutti ci aiutarono, ci portarono acqua, cibo. Sessant'anni dopo, voglio dire grazie».
Il capitano Yossi Harel
«Non dimenticherò mai le lame di luce che si riflettevano sui numeri tatuati sui polsi» Nel 1947 Exodus, la nave che sfidò il blocco britannico tentando di raggiungere la Palestina

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