[b][size=14]Un articolo di Davide Romano
La Repubblica 27 gennaio 2008[/size][/b]

Anche quest'anno la comunità ebraica milanese porterà al corteo del Giorno della Memoria le bandiere israeliane. Ma qual è il legame tra lo sterminio di sei milioni di ebrei e lo Stato ebraico?
Molti credono che Israele sia "figlio della Shoah", una forma di risarcimento agli ebrei a seguito dell'Olocausto. La realtà è invece opposta: già dal 1917 l'Onu di allora aveva riconosciuto allo Stato ebraico il diritto di nascere. Se non lo si fosse impedito, Israele sarebbe stato il miglior "antidoto" alla Shoah.

Si pensi ai tanti ebrei disperati che dal 1938 – quando il regime nazista iniziò a bruciare le sinagoghe – facevano la fila davanti alle ambasciate straniere per i pochi visti disponibili. Se ci fosse stata un'ambasciata israeliana, avrebbe spalancato le porte alle centinaia di migliaia di ebrei che chiedevano asilo, salvandoli da Auschwitz.
C'è poi la storia di un mio conoscente, scomparso di recente, che forse aiuta ancora meglio a capire il legame tra ebrei, Israele, e Shoah.
Si chiamava Tuvia. Nato in Romania, giovanissimo fu catturato dai nazisti e deportato in un campo di concentramento, da dove riuscì miracolosamente a fuggire. Alla fine della guerra non aveva nulla: né una famiglia, né una casa dove tornare. L'unica speranza era partire per Tel Aviv per rifarsi una vita. Lo fece, ma da clandestino. L'Inghilterra infatti continuava a limitare fortemente, anche nel dopoguerra, l'immigrazione ebraica. La sua nave fu una delle tante che la marina britannica riuscì ad intercettare. Si ritrovò così internato, insieme a tanti scampati dai campi di concentramento nazisti, in un campo di raccolta a Cipro. Rimase detenuto in quell'isola fino al 1948, quando fu riconosciuta l'indipendenza di Israele. Quell'anno cambiò la storia: finalmente esisteva un rifugio per tutti gli ebrei del mondo. Tuvia poté così arrivare nello Stato ebraico, dove coronò il suo sogno socialista: fu infatti tra i fondatori del kibbutz (cooperativa socialista) Hafikim, nel nord del paese. Fu proprio lì che lo incontrai, qualche anno fa, quando mi accennò la storia della sua vita. Gli chiesi perché non avesse mai scritto un libro con le sue memorie. Mi rispose: "chi lo leggerebbe? Qui in Israele quasi ogni famiglia ha una storia simile".
È tragicamente vero. Israele è lo Stato ebraico, e in quanto tale è una nazione fatta di profughi. I primi ad arrivare furono gli ebrei che fuggivano dai pogrom dell'Europa dell'est e della Russia, a cavallo tra l'800 e il '900. Poi fu la volta degli scampati alla II guerra mondiale. E ancora, nel 1948, furono quasi un milione i profughi ebrei che lasciarono i paesi arabi per raggiungere Israele. Arrivò poi il turno degli ebrei persiani (con l'avvento di Khomeini), degli etiopi e infine, dal 1989, del milione di russi.
Per questo la bandiera israeliana sventola nel Giorno della Memoria: per ricordare come si sarebbe potuta evitare la morte di tanti di quei sei milioni di ebrei, e perché è la bandiera dei profughi più antichi e più moderni del mondo.

Davide Romano

 

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