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[size=12][b]Un articolo di Daniela Santus[/b][/size]

Insegno Geografia Culturale e Geografia dei Paesi Mediterranei
all'Università di Torino. I miei interessi di ricerca, ormai da
anni, si concentrano particolarmente sulla situazione mediorientale.
Dal momento che ho sempre ritenuto significativamente utile, per
gli studenti, potersi confrontare non soltanto con le parole della
docente titolare del corso, quanto anche con le testimonianze di
studiosi o scrittori o anche di persone comuni che vivono nei
Paesi mediorientali (con particolare attenzione per Israele e
Territori Palestinesi), negli anni ho invitato numerosissime
persone alle mie lezioni.

Penso a Joel De Malach (l'inventore
dell'irrigazione a goccia nel Negev), ai tre giovani pacisfisti
israeliani dell'organizzazione Israel at Heart, al reduce di
Auschwitz Nedo Fiano, alla scrittrice Nava Semel, all'economista e
diplomatico Elazar Cohen, al Rettore dell'Università Ebraica di
Gerusalemme prof. Rabinowich, al Rettore dell'Università
Palestinese di Al-Quds Sari Nusseibeh, al direttore dell'Istituto
Palestinese per il Monitoraggio dei Diritti Umani Bassam Eid.
Tuttavia dal 2005 a questa parte si è scatenata una vera e propria
"caccia all'israeliano". Boicottaggi accademici supportati da
firme di intellettuali di prestigio quali Vattimo, ad esempio, ma
anche vere e proprie intimidazioni contro la mia persona — rea di
essere sionista – come cartelloni e manifesti affissi per mesi e
mesi sulle bacheche universitarie senza che alcuno abbia mai avuto
il coraggio o la volontà di chiederne la rimozione.
Lo scorso anno una lettera di minacce di morte mi raggiunse in
Università, ma in questo caso la mia colpa non era quella di
essere "sionista", bensì di essere politicamente vicina a
Gianfranco Fini (l'unico politico italiano, a mio parere,
significativamente vicino a Israele e al popolo ebraico).
Ora c'è la Fiera del Libro. Io non sono un editore. Nè sono tra
gli organizzatori. Eppure nell'atrio del Palazzo Universitario,
quest'oggi, al fianco di una gigantesca bandiera palestinese e
accanto al banchetto dove si raccoglievano adesioni per il
boicottaggio di Israele e veniva pubblicizzata la contro-fiera,
veniva distribuito un dossier di poco più di venti pagine contro,
guarda che caso, la Santus sionista.
Questo dossier ripercorre le tappe degli incontri-scontri tra me e
gli autonomi in occasione dell'invito, nel 2005, di Elazar Cohen
(viceambasciatore dello Stato d'Israele). Ma non si tratta
soltanto di una rassegna stampa. Al suo interno compaiono lettere
da me inviate al Rettore, al Preside di quel tempo (quello che
disse ai giornalisti che non mi avrebbe dato la sua solidarietà),
a una giornalista de La Stampa. Lettere ottenute chissà come.
L'amarezza sta soprattutto nel pensare che, in fondo, in questi
due anni mi ero convinta di essere riuscita a instaurare per lo
meno un rapporto dialettico con questi giovani. Tanto che, prima
di notare quest'ennesima "colonna infame", avevo proposto loro di
seguire i dibattiti della "contro-fiera del libro" se avessero
accettato di invitare due scrittori palestinesi consigliati dal
dott. Bassam Eid (il palestinese che, appunto, dirige il Centro di
Monitoraggio per i Diritti Umani). Sarebbe stata una vera
occasione dialettica.
Invece ho capito che non si può parlare con questi giovani. Peccato.
Mi chiedo tuttavia come faccia il Rettore dell'Università di
Torino Ezio Pelizzetti a continuare a concedere loro spazi per
portare avanti una propaganda che, di fatto, va contro gli stessi
interessi del popolo palestinese, oppresso dalla corruzione
dell'Autorità Palestinese da un lato e dalla ferocia delle
esecuzioni sommarie di Hamas dall'altro lato. Mi chiedo come si
faccia a continuare a chiudere gli occhi di fronte all'odio che
generazioni di giovani palestinesi sono costretti a introiettare
grazie all'indottrinamento che i leaders impongono loro per farli
diventare martiri. Mi chiedo come si faccia a restare muti di
fronte al grido di aiuto che persone come Bassam Eid rivolgono al
mondo.
Eppure così è. E questi giovani monopolizzano e colonizzano tali e
tanti spazi universitari che nessun altro si sognerebbe di poter
ottenere. Cosa accadrebbe infatti se un gruppo di studenti facesse
la medesima cosa, ma al contrario? Cosa accadrebbe se al posto
della bandiera palestinese ci fosse quella israeliana e se sui
muri delle bacheche comparissero le foto dei bambini orrendamente
mutilati dagli attentati palestinesi contro gli scuolabus, nei
mercati, nei centri commerciali? Cosa accadrebbe se venissero
esposti cartelloni aggiornati con la conta dei lanci dei missili
palestinesi sulle città israeliane? O le foto dei sacchi neri di
plastica che coprono le vittime?
Ce lo siamo chiesti io e il collega Ugo Volli, entrambi colpevoli
di essere ebrei e di amare la Terra d'Israele. E' per questo
motivo che giovedì mattina, alle 9.00, ci presenteremo in
Università indossando una stella gialla sul petto — per ricordare
ciò che è stato — e una bandiera d'Israele sulle spalle come se
fosse un talleth, un manto di preghiera, per testimoniare che
mondo. E noi, anche se dovessimo rimanere in due soltanto, lo
difenderemo sempre.

*/Daniela Santus /*:

 

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