[i]Un servizio di Daniela Cohen[/i]

Primo Levi, il chimico italiano sopravvissuto all'orrore della Shoah e tornato vivo dai campi di Auschwitz, scrisse fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947 Se questo è un uomo, una storia vera raccontata con la mentalità di uno scienziato abituato ai laboratori e alle formule chimiche che cerca di spiegare eventi e avvenimenti, sentimenti e sensazioni che quasi nessuno è mai riuscito anche solo a ricordare o pronunciare per decenni. Il manoscritto, pubblicato con poco successo da editori minori, nonostante le ottime recensioni di critici letterari tra cui Italo Calvino, venne acquistato da Einaudi nel 1958 e pubblicato tra i 'Saggi'. Solo in tal modo il volume divenne un successo editoriale, ristampato e tradotto in tutto il mondo.

Luca Fusi ha realizzato e interpreta in prima persona il racconto di chi affronta le mostruosità umane che fanno tristemente parte della storia contemporanea europea. Al Teatro Arsenale di Milano fino al 25 maggio, con la collaborazione di Valentina Cotorni e la partecipazione degli studenti del II anno della Scuola di Teatro Arsenale, scene di Massimo Scheurer e accompagnamento dal vivo di Luca Rampini al pianoforte. Ne parliamo con Luca Fusi, il protagonista.

Come mai hai creato questo progetto?

Circolava in testa a me e al pianista Luca Rampini da un po'. Primo Levi per noi è un testo importantissimo perché è un esempio di letteratura necessaria. Perché è uno strumento per capire il mondo intorno a noi. Non sono molte le testimonianze così potenti e provenienti dall'interno della follia umana, una follia razionale.

Tu cosa ne pensi?

Gardando cosa ci dice lui e leggendo altro, penso che i tedenchi siano riusciti a fare una cosa in cui la logica circondava l'orrore e le cose che accadevano non avevano un aspetto immediato. Il loro lavoro poteva apparire 'normale' ma era talmente sfiancante da essere assassinio di massa. Un momento in cui spiriti maligni prendono il sopravvento sull'umanità, risultano inspiegabili a posteriori… Distorcono la coscienza dell'essere umano in modo da far parte delle orde dell'umano. Come agire per non far più suonare tali corde, come la follia omicida in Rwanda, Bosnia, eccetera? I riferimenti culturali sono diversi ma non cambia la sostanza.

Ci hai trovato anche altro?

Sì, questo testo è scritto benissimo ed è giusto vedere come la lingua possa essere spinta dalla necessità e dall'urgenza a un livello potente di estetica. L'uso della lingua oggi è quasi deprimente. Spesso la bella lingua è una questione accademica, mentre in questo caso la lingua deve essere potente per poter esprimere quanto si vuole descrivere. Una sola parola sbagliata e la comprensione di chi legge potrebbe sfuggire.

Ma perché allora portarlo in teatro?

Detto tutto questo, uno dei motivi per portare questa storia a teatro è perché noi due (Luca & Luca) siamo fra gli ultimi a cui i nonni racontavano questo storia in diretta. Quindi, un buono strumento per conservare questo storia poteva essere il teatro. Il sentimento con cui abbiamo lavorato di più è stato il rispetto. Non abbiamo voluto rappresentare Primo Levi con la potenza di quanto è avvenuto e nel modo in cui la dice. Abbiamo ripreso il testo e ne abbiamo mantenuto l'aspetto temporale. In fondo il testo è una narrazione in prima persona. Si può pensare che il nostro narratore sia Primo Levi oppure no, ma chiunque potrà condividere i temi e le parole, che abbiamo toccato il meno possibile anche se abbiamo fatto dei tagli.

Vuoi dire che lo avete generalizzato?

La struttura temporale è quella, il racconto della sua cattura… poi il tempo esplode e perde il senso, le immagini si accavallano, le figure, i personaggi avvengono non con una struttura temporale ma in una specie di brodo, di chaos, che aiuta a capire l'esperienza di chi vive in una stanchezza enorme, dove uno dice la squallida stanchezza del nulla… Poi, quanto tempo è passato, poi il tempo riprende una linearità. Quando cominciano i bombardamenti e lui faceva il chimico sembrava che le cose potessero cambiare. Invece si chiude col diario che finisce col giorno della liberazione. E i russi arrivano a scoprire il campo e offrono lo sguardo di qualcuno che non è uno che ci vive.

Il pianoforte è importante?

La musica c'è ed è molto importante, perchè il pericolo è l'assuefazione anche dell'orrore, in uno spettacolo. Mentre puoi lasciare il libro e pensarci con calma, qui ci volevano alcune pause e la musica si aggiunge alla parola, sempre creando un'ambientazione diversa.

Chi ha scelto le musiche?

La scelta della musica è stata fatta insieme alla drammaturgia, ovvero i tagli li abbiamo fatti assieme, in modo da ritrovare la parola-musica-pausa- ritmi del leggere.

Mi stai dicendo che in fondo è come un reading?

E' come un reading, se vogliamo, anche se è recitato e non letto e gli 11 ragazzi del coro partecipano con immagini e alcune parti lette insieme e sono sempre presenti come dei fantasmi, delle presenze che costringono i personaggi a riflettere. Nessuna scena realistica ci è sembrata corretta e non c'è. Ma lontanamente, il coro può rappresentare il destino, le regole inflessibili del campo, come un coro greco, le masse di persone ridotte a schiavi, talvolta anche in modo più simbolico, come immagini vere e proprie ma non sempre.

Tu hai realizzato anche la regia?

La regia è mia e io sono il narratore, Valentina Colorni è regia assistente.

[i]Il servizio è stato inviato da Daniela Cohen[/i]

 

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