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[b][size=12]Storia, archeologia, religione e demografia di Israele[/size]
nelle interviste a Dan Bahat e Sergio Della Pergola
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[b]FAMIGLIA CRISTIANA, nel numero 35 di questa settimana pubblica due interessanti interviste di Fulvio Scaglione , una all’archeologo Dan Bahat e l’altra al demografo Sergio della Pergola: la storia, l’archeologia, la religione, la demografia analizzati da due insigni studiosi israeliani.

Di seguito, l'intervista a Dan Bahat:[/b]

Ha scavato al Muro del Pianto, portando alla luce il tunnel che scorre alla sua base. Ha scavato a Masada. È stato per molti anni l’archeologo ufficiale di Gerusalemme. Il professor Dan Bahat, come un chirurgo, ha operato al cuore la storia di Israele e quindi anche la storia islamica e cristiana. «Nei primi anni noi ebrei eravamo ansiosi di portare le prove che questo è il nostro Paese. Ogni studioso voleva ritrovare almeno una sinagoga, l’archeologia era un cavallo attaccato al carro del sionismo. Quella fase, però, è finita per sempre. Un esempio: la mia tesi di dottorato era sulla Gerusalemme dei crociati, che per gli ebrei fu un olocausto. Venivano bruciati, annegati, venduti come schiavi, furono cacciati dalla città. Malgrado ciò, mi interessa il fatto storico e culturale. Ancora: sono israeliani alcuni dei massimi esperti di architettura e ceramica islamica. In ogni caso, per me scavare un sito ebraico, musulmano o cristiano è la stessa cosa».

Lei ha lavorato a Masada, baluardo della resistenza ai romani. Oggi pare più un simbolo politico che non un sito archeologico.

«No, proprio no. Masada è fondamentale per la scienza. Per molti anni gli archeologi hanno parlato di "epoca del secondo tempio", definizione che comprende i maccabei ed Erode fino alla distruzione del tempio, cioè dal secondo secolo a.C. al 70 d.C. Solo dopo la Guerra dei Sei giorni, e proprio grazie agli scavi a Masada, Gerico e nel quartiere ebraico di Gerusalemme, abbiamo capito che cosa riguarda i Maccabei, che cosa Erode e così via. Dal 67 fino al 73 Masada fu occupata dagli Zeloti: ogni ceramica o iscrizione trovata lì è decisiva per datare tanti altri siti».

E per lei, scavare a Masada, che cosa ha voluto dire?

«Mi piaceva il deserto, dormire nella tenda, guardare le stelle… Scherzi a parte: per me non era un monumento ma un luogo con moltissime cose da raccontare».

Anche al Muro del Pianto, solo scienza e niente sentimento?

«Non sono religioso, anzi. In Israele la religione è intrecciata con la politica e questo per me è male. E lo dico anche se, unico laico nel gruppo che si occupa del Muro, lavoro bene con le persone religiose. Ho appena scritto un articolo intitolato: "Da quando pregano gli ebrei al Muro del Pianto?" Ebbene, accade da non più di 300-400 anni. Per uno come me, che si sente anello di una catena cominciata nei giorni di Abramo, tre o quattro secoli non sono nulla. Visitate il tunnel ai piedi del Muro, vedrete che i pannelli parlano dei musulmani non meno che degli ebrei. Li ho scritti io così, perché credo che quel luogo rappresenti tutta la storia di Gerusalemme e i contributi di tutti coloro che vi hanno vissuto e operato. Piuttosto…».

Piuttosto?

«Quando vado al Muro del Pianto con amici cristiani, dico loro: quasi tutte le meraviglie che Gesù fece a Gerusalemme le fece qui, al Tempio. Vi posso mostrare il luogo dove insegnò ai rabbini quando aveva 12 anni. Ed è realtà, non come la Via Dolorosa, inventata dai francescani nel Trecento. Eppure qui venite ad ammirare l’arte islamica. Perché?».

[b]E quella a Della Pergola:[/b]

Professore, lei è ottimista? «Diciamo che lo sono a giorni alterni». Sergio Della Pergola vive dal 1966 in Israele, dove dirige la divisione di Demografia ebraica e statistica, dell’Università ebraica di Gerusalemme. Oltre a essere uno dei più insigni demografi del mondo, nel 2004 e nel 2005 ha coordinato il Rapporto strategico sul futuro del popolo ebraico, ed è stato tra i più diretti consiglieri del premier Ariel Sharon nel periodo del traumatico ritiro da Gaza. «È stato comunque un successo», dice ora Della Pergola, «per due ragioni. Intanto, un uomo politico ha messo da parte le proprie convinzioni e ha fatto una scelta coraggiosa e razionale, pragmatica e non ideologica, non nel proprio interesse, ma in quello del suo popolo. E poi, è stato forse il primo vero tentativo di impostare una strategia politica a lungo termine, fuori dalla logica dell’emergenza e del giorno per giorno».

Della Pergola, che incontrò Sharon ancora poche ore prima che questi fosse colpito dall’ictus, sul lungo periodo ha idee chiare (si veda, in proposito, il suo Israele e Palestina: la forza dei numeri, edito dal Mulino). D’altra parte è un demografo e, come dice un po’ beffardo, «il guaio della nostra scienza è che, per i prossimi vent’anni, i giochi sono già fatti». E in questo futuro demograficamente già scritto, lui vede questo: «Oggi, in Israele e Palestina vivono 10 milioni e mezzo di persone, di cui gli ebrei sono circa la metà. Se l’incremento demografico procederà ai ritmi attuali, entro il 2050 gli ebrei saranno appena il 35%. Quindi, lo Stato di Israele non potrà essere grande, ebraico e democratico nello stesso tempo. La scelta più saggia e responsabile è fare concessioni territoriali, ed è lì, infatti, che si sta andando».

Professore, dopo 42 anni in Israele, ciò che vede corrisponde a quanto si aspettava quando arrivò?

«Nella classifica Onu sulla qualità della vita, Israele è ventesimo su 180 Paesi. Abbiamo accolto un numero di persone pari a cinque volte la popolazione iniziale, e tutte hanno avuto un lavoro, una casa, un’automobile. Non ce la siamo cavata male, mi pare».

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