Tutto nello spazio di un giorno, dall’accoglienza alla separazione dallo Shabat.
Un’introduzione – attraverso le danze, la recitazione, la musica – alla storia, alla cultura e al credo degli ebrei ai quali la Shoah ha inferto ferite mortali al corpo e al cuore

Sabato 24 Gennaio 2009

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Tutto nello spazio di un giorno, dall’accoglienza alla separazione dallo Shabat.
Un’introduzione – attraverso le danze, la recitazione, la musica – alla storia, alla cultura e al credo degli ebrei ai quali la Shoah ha inferto ferite mortali al corpo e al cuore senza però cancellarne l’identità e il mandato del ricordo “La memoria è la nostra forza. Fate vivere e danzare i ricordi” si proclama.
E allora danzata ecco la vita in Europa anteriore all’orrore: studio e danza gioiosa attorno alla Torah che si ritira all’evocazione degli arresti e del viaggio dei deportati.
Un tempo dove la danza è sostituita dal gemito: dalle invocazioni a Colui che libera dalla morsa dei persecutori tratte dal Salterio, alla recita dal Kiddush per i bambini senza figli di Thomas Simcha Jelinek, alla morte insieme nella camera a gas del tedesco Bruno e dell’ebreo Shmuel tratta dal romanzo Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne.
Ma c’è anche un tempo per la pace, per la nascita di un luogo, di un paese che ospita le cerimonie che incoronano la vita: l’entrata nell’età adulta con il Bar Mitzvah, Sukkot, la festa delle capanne, le danze del deserto e la celebrazione del matrimonio.
E siamo già alla fine dello Shabat con una menorah, albero della vita, ai cui piedi sono deposte per sempre le valigie, tombe dei deportati, la polvere e i sassi della memoria.
L’attesa, non ancora compiuta, verso quel tempo per la pace che Israele, insieme al mondo, sospira.

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