Fonte:

[b]Il polverone contro Tzahal si sta dissolvendo
Giulio Meotti intervista Dan Segre

Testata: Il Foglio
Data: 28 marzo 2009
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Attaccando Israele l'Europa attacca ciò a cui ha rinunciato»

Il polverone sollevato dalle presunte accuse contro Tzahal si sta dissolvendo, come era prevedibile. Eppure ha riempito pagine su pagine dei nostri giornali, chi risarcirà Israele del danno subito ? Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/03/2009, a pag. 2. l'intervista di Giulio Meotti a Dan Segre, che mette ordine nella disinformazione. Ecco l'articolo, dal titolo "Attaccando Israele l'Europa attacca ciò a cui ha rinunciato", parla Segre:[/b]

Roma. “Quando nel 1939 facevo la guardia alla mia scuola di agricoltura, l’ordine era di sparare solo se attaccati”. Vittorio Dan Segre, veterano della guerra d’Israele del 1948, è d’accordo con il capo di stato maggiore, Gabi Ashkenazi, quando dice che le Forze di Difesa israeliane hanno il più alto standard morale al mondo. Il Jerusalem Post pubblica dichiarazioni di alti esponenti dell’esercito secondo cui le testimonianze di attacchi gratuiti contro i civili a Gaza, che hanno fatto il giro del mondo, sono “categoricamente false”. Lo dimostreranno. Con Dan Segre, scrittore e a lungo diplomatico israeliano, parliamo dell’unico esercito che impone al soldato di disubbidire se riceve ordini disumani. E’ Tsahal, l’esercito ebraico. “A mia conoscenza, non c’è un solo caso in cui un soldato ha detto: ‘Ho fatto’. E’ tutto riferito. Questa campagna non è partita dagli amici d’Israele, ma da una scuola premilitare alla testa della quale c’è Dani Zamir, noto per idee antisraeliane. E’ incredibile poi che le denigrazioni provengono da un’Europa che ha cessato di combattere e fa dei suoi eserciti degli specialisti. Israele è un paese dove ancora si è disposti a morire per la patria e lo si fa in libertà. L’Europa, o forse bisogna dire l’Eurabia, attacca quello cui ha rinunciato. C’è molta invidia, non c’è niente di peggio di vedere che qualcuno che non si ama ha ragione”. I soldati israeliani sono educati al Tohar HaNeshek (“purezza delle armi”), usare le armi secondo regole morali. L’espressione fu coniata dal pioniere socialista Berl Katzenelson. “Gli israeliani in sessant’anni non hanno commesso un solo stupro di donne palestinesi. E’ incredibile. Israele è l’unico paese che da cento anni è in guerra non per conquistare miniere, ma per difendersi. Il nome dell’esercito è Forze di difesa d’Israele, l’idea nasce dalla Haganah, il principio assoluto era la difesa, non l’attacco. Durante la rivolta araba del 1936 ebbe un nome specifico: Havlagah, ‘controllati’, non diventare come gli altri. C’è un elemento tolstojano nella tradizione collettivista israeliana, riprende il concetto gandhiano per cui il rapporto con il nemico è come quello dell’uomo col serpente: se lo si guarda si diventa prima o poi come lui. Nel dna del sionismo c’è l’idea che siamo qui per costruire qualcosa di diverso. E’ difficile in una guerra di cent’anni mantenere la purezza dei principi, le armi non sono mai pure, nessuno è mai nato in battaglia. Ma l’esercito è alla ricerca, come il paese, di un equilibrio fra opposte tendenze. Come si fa ad avere una democrazia in guerra? Come si fa a combattere senza odiare?”. Da più parti, come Christopher Hitchens, a lungo legato a Edward Said, si accusa l’esercito israeliano di essere teocratico. “Sciocchezze, l’esercito è il riflesso della popolazione. Non si può continuare a dire che si vuole uno stato ebraico ma che debba essere ateo e idolatra. I soldati religiosi sono l’espressione militare di quello che si vede davanti al Muro del Pianto, si passa dallo stato nazionale degli ebrei allo stato nazionale ebraico. Cento paracadutisti religiosi hanno abbandonato una festa perché una donna cantava. Si stupisce solo chi ritiene che sia obbligatorio vedere ogni giorno in tv la copulazione. Non vedo ragione per allarmarsi se qualcuno dice: ‘A me non piace questo schifo e me ne vado’”. E’ il problema mai risolto dell’identità israeliana. “Uno stato nazionale che secondo alcuni è nato nel 1948 con una legittimità fissata da un voto di maggioranza dell’Onu, che come dicono gli arabi, è stato ‘creato’ e quindi può essere ‘eliminato’. Come si è cercato di fare. Israele è invece nato prima della Shoah e prima del voto delle Nazioni Unite. Come dice il suo atto fondativo, Israele è la realizzazione del sogno profetico di un popolo che ha quattromila anni di vita e un messaggio universale di monoteismo aristocratico morale. Ciò disturba chi considera il divino e la morale esclusi dalla politica. E’ l’eterna lotta fra il monoteismo e l’idolatria. In un momento in cui l’occidente diventa sempre più ostile all’idea stessa del divino concentra l’odio su quel paese che ha realizzato la marcia inversa dell’Europa. Dando un significato nuovo a due ideologie idolatriche: il socialismo e il nazionalismo, riunite dal nazionalsocialismo nella distruzione totale di un popolo che voleva dare a queste due idee, come Mazzini e Tolstoj, una dimensione di doveri superiori ai diritti”. Segre parla della fine della “rivoluzione francese ebraica”. “Israele aveva creato una società di ebrei non sacra. Come la Francia. Il sionismo è stato la rivoluzione francese ebraica. Ma questa società ebraica non sacra non è più accettabile. E si passa allo stato ebraico, Israele come laboratorio straordinario di coesistenza fra il sacro e il non sacro nella democrazia”. Nel 1948 l’esercito nacque con un’autentica ossessione del legame col popolo: umano, egualitario e giusto. “E’ un’armata popolare, per lunghezza della leva e riserva, è un esercito-scuola che assorbe immigrazione. Israele non ha militarismo, l’uomo a cavallo, non ha accademie e non le ha mai volute. Gli ufficiali vengono dalla gavetta e vanno in pensione a 45 anni”. Eppure stampa e intellettuali fanno lauti paragoni fra Tsahal, le SS e l’Oas francese. “E’ la continuazione, sotto forma differente, della fobia contro l’ebreo. Sempre diverso dagli altri, soprattutto in guerra. I soldati israeliani non sono le bande del Sudan, non sono i brutalizzatori della Cecenia, non sono i caschi blu olandesi a Srebrenica. Nessun paese al mondo durante la guerra porterebbe i nemici nei propri ospedali”. Come a Gaza. L’idea che l’ebreo armato sia diverso è forse legato al mistero della sopravvivenza. “E’ la tradizione antimilitare ebraica, è dall’esposizione nei secoli alla sofferenza che nasce la sensazione del dover usare le armi per pura difesa. Arnold Toynbee disse che uno dei maggiori crimini del nazismo è aver obbligato gli ebrei a vivere con le armi in mano”.

 

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