[b]La sfida in Sudan

di Luca Meneghel
6 Ottobre 2009 [/b]

Lo scontro diplomatico sulla rincorsa iraniana al nucleare è solo una faccia delle complesse dinamiche che oppongono l’Occidente – Stati Uniti e Israele in testa – al regime degli ayatollah. Parallelamente alle periodiche riunioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ai report dell’Aiea, infatti, Israele e Stati Uniti combattono Teheran e le sue mire egemoniche anche al di fuori del Medio Oriente, per mezzo di attacchi mirati e complesse trattative diplomatiche. È questo il quadro che emerge da un articolo pubblicato ieri sul “Corriere della Sera” e intitolato “L’Iran e le nuove rotte delle armi”, in cui Guido Olimpio presenta gli scontri in atto tra Occidente e Iran sul suolo africano.

E' un tasto molto delicato. In un mondo globale, infatti, difficilmente i focolai di tensione restano ingabbiati in una singola area geografica: nel caso dell’Iran, ad esempio, per raggiungere i propri obiettivi il regime di Teheran cerca da qualche anno di estendere la propria influenza nel continente africano. Osservando una cartina geografica, la strategia di Ahmadinejad emerge chiaramente: stringendo rapporti economici e diplomatici con i Paesi africani ed influenzando le comunità mussulmane del continente, l’Iran spianerebbe la strada ad un più efficiente traffico di armi verso la Striscia di Gaza via mare e via terra, passando per il Sudan e per l’Egitto.

Il piano iraniano – e, specularmente, quello israeliano – è celato dietro ad accordi bilaterali di facciata. Nel 2009, anno definito dal ministro degli Esteri iraniano Mottaki “una pietra miliare” nei rapporti tra Teheran e il continente africano, l’Iran ha firmato accordi diplomatici ed economici con Paesi come Eritrea, Kenya, Tanzania e Sudan; dietro a queste intese, però, si celano spesso iniziative di altro tipo. La marina iraniana, ad esempio, ha inviato alcune navi per contrastare la pirateria: in questo modo, però, avrebbe anche creato un vero e proprio scudo militare per favorire il passaggio di mercantili carichi di armi dirette a nord.

Stati Uniti, Israele ed Egitto – preoccupato che l’influenza dei pasdaran sui beduini egiziani possa accendere gli animi degli islamisti – sono ben consapevoli di questi traffici, e non stanno certo a guardare. Citando fonti d’intelligence, Guido Olimpio racconta ad esempio dell’assassinio di quattro contrabbandieri iraniani nell’area sudanese di Karthoum; negli stessi giorni, siamo nel gennaio 2009, a Port Sudan velivoli senza pilota avrebbero poi distrutto 28 camion e un mercantile sospetto: “Si scoprirà” scrive il giornalista “che i raid sono stati condotti dall’aviazione israeliana”. Attacchi mirati, dunque, e guidati dalle informazioni riservate che giungono dai servizi segreti schierati in Sudan e nei paesi adiacenti.

Al di là delle complesse operazioni d’intelligence, ciò che più colpisce in questa storia è la corrispondenza delle iniziative diplomatiche, economiche e militari messe in campo da Iran e Israele nel continente africano. A fronte degli sforzi iraniani per estendere la propria egemonia politica e militare in Africa, negli ultimi mesi Israele ha risposto con le stesse carte: spedizioni diplomatiche nel continente, accordi economici e militari bilaterali, tentativo di estendere il proprio peso specifico in un’area del mondo – come ha recentemente sottolineato Benedetto XVI – a rischio per la crescita del fondamentalismo religioso e del terrorismo.

All’origine delle iniziative israeliane vi è il grande attivismo del suo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman. A fine agosto, di ritorno da un viaggio nell’America latina, il ministro ha puntato gli occhi sull’Africa spiegando che “sfortunatamente, per troppi anni, Israele è stato assente dai due continenti – America latina e Africa – limitando la sua presenza in quelle terre”. Di lì a poco, l’annuncio del tour africano compiuto nella prima metà di settembre: “Voglio dire ai leader che incontrerò che l’Africa è importante per Israele: non dobbiamo trascurarli, specialmente a fronte degli sforzi di alcuni Paesi, come l’Iran, che cercano di influenzarli e di stabilirsi in quelle aree”. La strategia è chiara: viaggiando in Africa, Lieberman ha voluto far sentire anche la “versione israeliana” a quei leader africani che già avevano incontrato Ahmadinejad o altri diplomatici iraniani.

A dimostrazione del peso dato da Israele al continente africano, il corrispondente del quotidiano “Haaretz” Yossi Melman ha sottolineato come il viaggio di Lieberman – cinque Stati in nove giorni – rappresenti l’iniziativa più importante da quando Golda Meir, per prima, riconobbe l’importanza dell’Africa per un Paese come Israele. Prima tappa del viaggio è stata l’Etiopia, un Paese fondamentale nella complessa strategia iraniana: ufficialmente, Israele ha firmato accordi di assistenza medica e ambientale, per parlare poi segretamente della crescente influenza iraniana nella regione. Lo stesso copione è stato seguito anche con gli altri leader: davanti ai riflettori, si è parlato di sviluppo, medicina, acqua; dietro le quinte, di Iran, controllo dei traffici di armi e di terrorismo internazionale.

In ultima analisi, la duplice strategia israeliana – aiutare l’Africa, da un lato, contrastare l’Iran, dall’altro – emerge chiaramente osservando la delegazione che ha accompagnato Lieberman nel suo viaggio: insieme a rappresentati della società civile e dell’impresa, col ministro degli Esteri hanno viaggiato funzionari del ministero della Difesa e del Mossad. Ufficiosamente, conclude Yossi Melman, dietro alla spedizione africana c’era dunque “la speranza di sviluppare relazioni d’intelligence e cooperazione contro elementi del jihad internazionale e contro le attività dell’Iran in alcuni di questi Paesi”. Le stesse speranze di cooperazione, pochi mesi prima, avevano portato anche Teheran a muoversi con interesse verso i leader africani.

Solo il tempo dirà quale dei due Paesi – l’Iran o Israele – ha tessuto una relazione diplomatica più efficace con i Paesi africani. Ciò che risulta chiaro sin d’ora è che gli scontri tra l’Occidente e gli ayatollah iraniani non si limitano certo alle ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, o agli ultimatum prodotti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In altri campi, lontani dai riflettori, già si combatte trasferendo armi ai nemici di Israele, colpendo camion e mercantili, ricercando informazioni preziose e costruendo alleanze per evitare che alcuni Paesi africani si consegnino nelle mani dell’Iran e del terrorismo internazionale.

 

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