[b]Alfredo Mordechai Rabello
giurista, Università ebraica di Gerusalemme[/b]

I rapporti fra i due fratelli biblici hanno avuto, nella nostra lunga storia, pochi alti e molti bassi, ed ogni volta l'incontro deve essere preparato come si deve, comprendendo naturalmente anche la preghiera con l'invocazione dell'aiuto divino.
L'impero cristiano romano-bizantino viene chiamato Edom, nome di Esaù, appunto fratello di Jaakov-Israel. Nell'incontro fra i due fratelli-avversari, i Saggi di Israele hanno visto un'allusione alla storia futura: Edom-Esaù è assunto a simbolo dell'Impero romano, di quello bizantino ed infine del Cristianesimo; Jaakov-Israel a simbolo del popolo ebraico. L'incontro-scontro fra i due fratelli è assunto così a prototipo dell'incontro-scontro fra il Cristianesimo e l'Ebraismo: la storia non è iniziata il 2 di Shevat 5770, il 17 gennaio 2010.

Dobbiamo osservare che per i Cristiani la nomenclatura è esattamente l'opposto, cioè Giacobbe rappresenta la Chiesa ed Esaù gli ebrei (si veda per esempio l'inno di Giacobbe benedetto da Isacco, composto da Romano il Melode, strofa 19).
Rabbì Yannai, che secondo alcuni visse circa ai tempi di Giustiniano, ha parole di dura disapprovazione per l'impero bizantino: «Gli piace il sangue (dam) onde il suo nome è Edom // ricorda o Signore ai figli di Edom la distruzione che ha fatto la figlia di Edom…» (chiaro riferimento alla distruzione del Santuario di Gerusalemme per mano dei Romani). E il poeta prosegue impiegando vari versetti profetici contro Edom e pregando per l'avvento della redenzione: si tratta di espressioni ben comprensibili sullo sfondo della situazione politico-legislativa degli ebrei nella Palestina sotto la dominazione cristiano-bizantina.
Il poeta mette in risalto il contrasto fra la triste situazione della Palestina e la prosperità di Bisanzio. «Le luci di Edom si sono rinforzate ed aumentate/ le luci di Sion diminuite e distrutte… le luci di Edom si sono estese ed hanno illuminato, le luci di Sion si sono ristrette e si sono spente». È certo un eco della reazione ebraica alle restrizioni della Chiesa nei confronti dell'Ebraismo; è una reazione ben differente di quella che abbiamo trovato nei primi secoli E.V. quando veniva effettuato il proselitismo. La reazione dell'Ebraismo ai tempi di Yannai è di chiusura in se stesso: «Non venite nelle case di chi ci disprezza, non mettete piede negli appartamenti in cui risplendono religioni straniere, non contaminatevi con preda impura che sbrana per macello, non entrate nelle chiese…». Ma Yannai mette in guardia da reazioni violente e da rivolte vere e proprie: «Non lottate contro chi ci beffa per cacciarli, non affrettatevi a lottare, non offendete chi ci disprezza…», eppure vedendo la comunità cristiana in Palestina prosperare e la popolazione ebraica ridotta in tristi condizioni, il poeta esclama: «Le luci di Edom splendono sul morto, le luci di Sion scendono in oblio come un morto».
In vari altri poemi Yannai esprime il suo ardente amore per il Signore, lo invita a guardare la sorte del popolo ebraico, ma conviene aspettare con fiducia tempi migliori, finché non arrivi il tempo della redenzione, finché non giunga il tempo dell'usignolo, finché dal Monte degli ulivi non venga l'annuncio del Redentore.
È un tenere viva la speranza senza cadere nella disperazione per la tristezza dei giorni presenti, mantenere la fiducia in un tempo migliore, ma già ora «dinanzi a Te è uguale la preghiera dello schiavo o del suo padrone…», «sappiate, vi è Uno, e non vi è a Lui secondo, unico e speciale; senza figlio o fratello».

Per un esame più particolareggiato, con citazione di fonti e ricerche vedi A.M.Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giuridiche. Milano, 1987, vol. I, pp. 471 ss.

Siamo ben consapevoli che senza l'insegnamento e il conforto dei Maestri, senza la prontezza a sopportare obrobri e pene, tradimenti e silenzi, per secoli interi e durante la Shoà che abbiamo vissuto, non saremmo potuti arrivare a discutere sul valore e significato di visite pontificali nel Beth Hakeneset del Sign-re.
In particolare in questo frangente abbiamo presente l'insegnamento di Elia Benamozegh: «Credo che il cristianesimo e l'islamismo siano grandi avviamenti all'organamento definitivo religioso dell'umanità, la quale sarà perfetta solo quando accetterà dalle mani dell'antico Israele la semplice religione laicale e razionale detta Noachide, o di Noè di cui l'ebraismo è custode, e quando Israel sarà riconosciuto come Sacerdote del genere umano, soggetto alla regola più rigida e ieratica del Mosaismo, alla quale egli solo è obbligato, appunto come a regole speciali sono sottoposti i sacerdoti.» (E.Benamozegh, Il mio Credo, a cura di L. Amoroso, Pisa, 2002).

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università ebraica di Gerusalemme

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