[b]Stefano Magni
L'Opinione 24 marzo 2010 – 20.07[/b]

Israele offre un rifugio unico nella storia per il popolo ebraico. La nascita dello Stato ebraico non comporta la fine della persecuzione e dell’odio anti-ebraico. Comporta semplicemente la possibilità per gli ebrei di difendersi dalle aggressioni. L’Iran minaccia di distruggere la patria degli ebrei con una sola bomba atomica, nel caso riesca a dotarsi di testate nucleari. Hezbollah e Hamas appoggiano questo disegno. “Il vantaggio che esista uno Stato di Israele è che in questo modo non dobbiamo dare la caccia agli ebrei in tutto il mondo” ha detto apertamente il leader di Hezbollah. Gli ebrei non sono in Israele da coloni, ma da cittadini del loro Paese. Israele ha diritto di essere trattato come tutte le altre nazioni. Gerusalemme non è un “insediamento”, è la capitale dello Stato di Israele. Qualsiasi nazione ha il diritto di costruire case nei quartieri della propria capitale.

Questa serie di affermazioni sono il succo del discorso di Benjamin Netanyahu, nella serata del 22 marzo, a Washington, presso la conferenza dell’Aipac, American-Israeli Public Affairs Committee, ovvero la lobby americana filo-israeliana. C’era bisogno di ricordare la storia dello Stato ebraico a un pubblico che con Israele è di casa? Evidentemente sì. Perché ad ogni crisi, sembra che in Europa e talvolta anche negli Stati Uniti (e mai come in questo periodo è evidente) venga effettuato una sorta di “reset” nella memoria. Viene ricordato sempre l’Olocausto, sono meno ricordati i pogrom, ancora meno le lotte combattute dagli ebrei nel Medio Oriente per difendere la loro stessa esistenza. Ma ad ogni crisi in quell’angolo del mondo, i media occidentali ricominciano a considerare lo Stato ebraico come una “colonia” occidentale, un invasore, un aggressore, un corpo estraneo in terra islamica, un Paese sfruttatore, ogni stereotipo, insomma, della retorica dei movimenti di liberazione nazionale di stampo terzomondista. Netanyahu ha dovuto ricordare tutto questo a un pubblico che considera, praticamente, “casa sua”, perché nella stessa sede, poche ore prima, il segretario di Stato Hillary Clinton (che si era sempre schierata per la sicurezza dello Stato ebraico) ha ricordato che “gli insediamenti” sono un ostacolo alla pace e che Israele deve prepararsi a fare “concessioni dolorose”.

E’ stato Netanyahu a dover ricordare che Gerusalemme non è un “insediamento”. E che le concessioni non possono essere unilaterali: i posti di blocco rimossi, il congelamento degli insediamenti in Cisgiordania, il riconoscimento del futuro Stato palestinese cosa hanno ottenuto come risposta? Che i palestinesi (non Hamas, come ha erroneamente detto la Clinton, ma l’Autorità Nazionale Palestinese) intitolassero una piazza a un terrorista, Mughrabi, responsabile per la morte di 38 civili israeliani, fra cui 13 bambini. E’ questo ciò che Netanyahu ha voluto ricordare. Ma la notizia che ha avuto più eco, in tutta la sua relazione all’Aipac, è la manifestazione dei pacifisti di Code Pink, che lo hanno accolto con lo striscione: “Costuite la pace, non gli insediamenti”. Insediamenti: eccoli di nuovo.

Stefano Magni
L'Opinione 24 marzo 2010

 

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