[b]Ugo Volli
Moked.it[/b]

L’opinione pubblica sul Medio Oriente, e in particolare il mondo ebraico, si divide oggi fra quelli che capiscono che è in atto una guerra contro Israele e quelli che non l’hanno compreso o preferiscono calare la testa sotto la sabbia per non vederlo. Affermare che è in corso una guerra e non una semplice serie di campagne di opinione e di azioni dimostrative richiede di capire che guerra oggi non è semplicemente lo scontro fra due eserciti ben definiti e inquadrati, ma un fenomeno molto più complesso e frammentato che dissemina “l’uso della violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà” (Carl Von Klausewitz) in una serie di episodi separati nello spazio e nel tempo, in cui ha larga parte l’uso della simulazione e della dissimulazione, la persuasione e la conquista di alleanze nell’opinione pubblica.

Per fortuna negli anni ‘80 non si è combattuta una guerra frontale fra “campo socialista” e mondo occidentale (altri scontri nella periferia dei rispettivi imperi, in Asia, Africa e America Latina si sono svolti prima), ma si può ben dire che quest’ultimo abbia vinto la “guerra fredda”.
Una guerra è in corso in Medio Oriente da quasi un secolo, con forme e alleanze diverse, con diversa intensità e diversi strumenti. Israele finora ha vinto tutte le battaglie principali, come si vede dalla sua esistenza, dato che la posta in gioco è proprio questa. Ma oggi la situazione è profondamente cambiata: parte delle condizioni che hanno consentito a Israele una superiorità tecnologica e politica negli ultimi cinquant’anni (l’appoggio del mondo occidentale, il sottosviluppo tecnologico e militare dei suoi avversari, la prevalenza tecnica dei mezzi offensivi su quelli difensivi) si sono dissolti. E però Israele conserva un vantaggio sul terreno che i suoi nemici hanno ancora paura a sfidare. Lo scontro si è dunque spostato per il momento su un terreno più politico e propagandistico si è sminuzzato in mille episodi di logoramento e di delegittimazione e ha assunto le forme di una guerra d’attrito spirituale, di un duello infinito. Ancora Clausewitz: “La guerra non è che un duello su vasta scala. La moltitudine di duelli particolari di cui si compone, considerata nel suo insieme, può rappresentarsi con l’azione di due lottatori. Ciascuno di essi vuole, a mezzo della propria forza fisica, costringere l’avversario a piegarsi alla propria volontà; suo scopo immediato è di abbatterlo e, con ciò, rendergli impossibile ogni ulteriore resistenza… [Le teorie tradizionali della guerra] rivolgono l’attenzione solo alle grandezze materiali, mentre tutta l’attività bellica è compenetrata di influenze e forze spirituali.” Per difendersi efficacemente bisogna saper individuare queste influenze come parti della guerra, individuarne il disegno generale.
Nell’età di Internet gli effetti della globalizzazione e dell’espolosione comunicativa rendono spesso più importanti gli effetti propagandistici di quelli concreti – almeno fuori dallo scontro diretto in cui alla fine la guerra ritrova le sue forme tradizionali. E’ importante che chi appoggia Israele cerchi di pensare tutta la situazione mediorientale (la vicenda delle trattative, l’azione delle organizzazioni internazionali e della Ong, la propaganda della stampa, gli atteggiamenti degli stati terzi, le posizioni “pacifiste”) come una trama di azioni che si svolgono all’interno di questo quadro di guerra non convenzionale e ridefinisca di conseguenza le nozioni di tattica e strategia, di vittoria e sconfitta, di alleanza e di tradimento, di resistenza e di resa. La difesa di Israele non può non essere oggi un sofisticato esercizio di intelligenza, una lucida capacità di entrare in questo gioco e di vincerlo, ben lontano dalle giaculatorie delle “persone di buona volontà” che rifiutando il discorso della guerra finiscono solo per subirlo.

Ugo Volli

http://moked.it/blog/2010/07/11/davar-acher-la-guerra-senza-eserciti/[/link]

 

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