[b]La Siria impone a Beirut la «stabilità» iraniana
Il Giornale, 3 agosto 2010[/b]

[b]Venti di guerra tra Israele e Libano
Il Giornale, 4 agosto 2010[/b]

[b]Risposta all'interrogazione sulla Ong IHH[/b]

[b]La Siria impone a Beirut la «stabilità» iraniana
Il Giornale, 3 agosto 2010[/b]

Niente suona più futile della parola «stabilità» usata ad abbondanza dall’inusuale duo saudita siriano mostratosi in visita a Beirut la settimana scorsa: Hezbollah si frega la mani, mentre cadono missili terroristi su Eilat in Israele e su Aqaba in Giordania, mentre su Hamas piomba un missile che fa 24 feriti di probabile provenienza Hezbollah, mentre palestinesi e israeliani si agitano sulla eventuale ripresa di colloqui. E insieme, strana coppia, si presentano a Beirut Abdullah, il re saudita, e Bashar Assad, il presidente siriano, per una perorazione comune che secondo loro dovrebbe salvare il Libano: «Chiediamo di non pubblicizzare le scoperte del tribunale incaricato di scoprire chi è l’assassino di Rafik Hariri, pena uno scontro micidiale che travolgerà il Libano». Insomma: salviamo Hezbollah, principale fonte di instabilità a Beirut.

Perché i due vengono insieme a tentare di bloccare le rivelazioni del tribunale di Antonio Cassese, dopo essersi già incontrati giovedì in un altro inconsueto appuntamento a Damasco per parlare fitto fitto prima della mossa libanese? I due rappresentano fronti opposti, Bashar Assad, amico intimo dell’Iran e suo tramite nell’armare di missili il maggiore braccio mediorentale di Ahmadinejad, Hezbollah, e anche nell’ospitare e aiutare l’altro migliore amico dei mullah, Hamas. Nuova di zecca, anche un’amicizia di forte segno antioccidentale e antisraeliano con la Turchia. Abdullah siede sulla sponda opposta, sia pure con le contraddizioni legate a una sua simpatia per il fondamentalismo islamico: egli è tuttavia parte basilare del fronte moderato sunnita anti-iraniano, amico dell’Egitto e della Giordania, sostenitore dell’egemonia americana. I due insieme costituiscono un’illusione di compattezza che potrebbe salvare il Libano da una guerra civile fra sunniti e sciiti, con l’inclusione di cristiani e drusi.

Perché guerra civile? Perché si sa che il tribunale è pronto con un’incriminazione da terremoto: il colpevole principale sarebbe infatti Mustafa Badr Al Din, alto rappresentante di Hezbollah, cugino e cognato del famoso terrorista Imad Mughniye eliminato nel febbraio 2008 probabilmente da Israele. Hezbollah verrebbe così di fatto indiziato dell’omicidio che uccise il capo sunnita, oppositore della Siria, amico dell’Occidente. La sua morte esacerbò i rapporti fra Damasco e Riad, di cui Hariri era amico. La rivolta che segnò la sua morte portò alla coalizione del 14 marzo e alla Rivoluzione dei Cedri e al ritiro siriano. Ma Bashar Assad ha mantenuto una presenza tramite il segretario generale del Partito di Dio, Nasrallah, grato dei continui rifornimenti d’armi e affratellato dal rapporto con l’Iran.

Nasrallah è così forte in Libano che il figlio di Rafik, Saad Hariri, giovane, sballottato premier, ha richiesto al tribunale di rimandare ogni comunicazione sugli assassini del padre. Anzi, Nasrallah, in una rara conferenza stampa in cui raccontava di essersi incontrato con Hariri, confermava la sua presa sul governo: «Anche Hariri ha detto che semmai si tratterebbe di membri di Hezbollah sparsi, gente confusa che ha compiuto un’azione cui l’organizzazione è estranea». Ma le indagini del tribunale dicono, sembra, che si sia trattata di una imponente impresa che non potrebbe mai essere compiuta da personaggi casuali. Abdullah ha pensato di presentarsi con Assad a Beirut per suggerire un giuoco di recupero della Siria al fronte moderato, gradito agli Usa; e Assad suggerisce, vicino al saudita, un grande giuoco di potere filo iraniano e comunque per allargarsi sempre di più nel Libano, cui non ha mai rinunciato.

Insomma, due furbi autocrati. Hariri sa, e lo sanno anche i suoi sponsor sauditi, che sarebbe spazzato via in un momento da uno scontro con Hezbollah. E i sauditi, che dovrebbero proteggerlo, sono là a proteggere la «stabilità» dando una mano all’omertà. Questo è quello che si prepara per il Libano: una stabilità iraniana, checché ne pensi l’Arabia Saudita: l’Iran ha gambe economiche, militari, istituzionali larghissime a Beirut. E gli Hezbollah, i loro migliori amici sempre pronti a una cosa sola: la guerra e il potere imposto con la forza sul governo libanese. La vogliamo chiamare stabilità? Allora riformiamo il vocabolario.

[b]Venti di guerra tra Israele e Libano
Il Giornale, 4 agosto 2010[/b]

Convocato il Consiglio di sicurezza. Il premier Netanyahu: «Il governo di Beirut è responsabile». Hezbollah minaccia: «La prossima volta spareremo anche noi»

L’incidente più grave che il confine israelo-libanese abbia conosciuto dalla guerra del 2006 e che ha causato un morto israeliano più un ferito grave e quattro morti libanesi, ha qualcosa di surreale: un attacco a fuoco da parte dell’esercito libanese, non di Hezbollah, di cui è difficile vedere le ragioni se non in una crisi d’odio tipica del conflitto arabo-israeliano, o in un piano molto sofisticato che promette guerra.

Le guerre qui nascono fra i cespugli delle montagne e la polvere di strade sterrate con spari e rapimenti inaspettati. Così fu il 12 luglio del 2006 vicino a Zarit; stavolta, e speriamo non sia guerra, a metà della caldissima giornata di ieri, l’esercito libanese ha reagito con l’artiglieria alla presenza di una pattuglia israeliana in una delle enclave vicino al kibbutz Misgav haAm, fra la linea blu, il confine stabilito dall’Onu, e la barriera di sicurezza israeliana: nelle enclave Israele ha il permesso di entrare, ma data l’incertezza dell’appartenenza, entrarvi è sempre un rischio, come si è visto in un simile incidente nel 2007. Stavolta si trattava di ripulire da cespugli e alberi per garantire la visibilità, e pare che l’esercito israeliano sia entrato anche con macchine fotografiche molto sgradite ai libanesi.

L’esercito libanese, secondo la versione israeliana ha dunque mitragliato la pattuglia israeliana. Forse è stato allora che i colpi libanesi hanno ucciso il comandante delle riserve israeliano Dov Harari, che pure era completamente in territorio israeliano, e sono stati feriti altri due soldati, di cui uno gravemente. La dinamica non è chiara. Si sa dal portavoce dell’esercito che allora gli israeliani hanno attaccato la postazione dell’esercito libanese che sparava ai suoi, uccidendo tre soldati libanesi e un giornalista che era con loro.

Il Libano sostiene che Israele ha torto perché era entrato nel suo territorio. Sia il Libano che Israele si sono rivolti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per ottenere la condanna; Bashar Assad ha telefonato al presidente libanese Suleiman per dichiarargli di essere al fianco del Libano, una metafora davvero interessante da parte di chi l’ha occupato per trent’anni e oggi tiene un piede oltre la porta tramite Hezbollah; i leader arabi non hanno perduto l’occasione per condannare «l’aggressività di Israele».

L’Unifil, la forza di interposizione istituita dopo la guerra del 2006 dall’Onu, ancora non si pronuncia sulle responsabilità, ma certo avverte, come ultimamente quando è stata assalita dagli amici di Hezbollah in vari villaggi del Sud, la sua intrinseca debolezza dovuta alle regole di ingaggio. Israele sostiene che proprio all’Unifil ha notificato, senza obiezioni, le sue operazioni di sistemazione nell’enclave vicino a Taibe. Il comandante della Forza dell’Onu, Sante Bonfanti, si è fatto un giro d’elicottero per verificare che le cose tornassero tranquille, e dice che adesso sembra tornata la normalità. Ma il Libano in questo momento soffre di una pesante crisi di instabilità, e l’Unifil risulta più disarmata che mai. Tutto può succedere.

L’esercito libanese, che dovrebbe essere il garante della calma nella zona sud occupata da Hezbollah con i suoi 50mila missili, conta parecchie divisioni completamente sciite, amiche di Hezbollah: per questo all’esercito non piace sorvegliare il confine per frenare gli uomini di Nasrallah. E oggi Hezbollah, organizzazione sciita legata all’Iran e alla Siria, ha tutto l’interesse a che si crei un poderoso diversivo in Libano, perché il Tribunale internazionale ha annunciato la sua incriminazione per l’assassinio del primo ministro Rafik Hariri.

Il Libano è nella morsa armata di Hezbollah, che ha anche impedito il positivo sviluppo della Rivoluzione dei Cedri seguita all’assassinio di Hariri nel 2005. Stavolta è rimasto in seconda fila, anche se in serata Nasrallah ha detto: «Al prossimo attacco risponderemo con le armi». Il generale Gadi Eisenkot ha definito l’evento «un agguato pianificato» e il premier Netanyahu ha detto di ritenere il governo libanese responsabile della provocazione.

È legittimo chiedersi se lo scontro di ieri sia correlato ai missili sparati nel week-end su Sderot e Ashkelon e a quelli che lunedì hanno colpito Eilat e Aqaba: il terrorismo sunnita e sciita agisce insieme più di quanto non sia mai stato; l’Iran intende tenere Israele occupata mentre procede nel programma nucleare; Hamas vuole impedire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Tutti questi scoppi parlano di parecchie armi e di molta aggressività nell’aria. Non c’è che da sperare che il governo libanese sia forte più di quanto non usi.

[b]Risposta all'interrogazione sulla Ong IHH[/b]

Cari amici,
giovedì scorso ho ricevuto una risposta dal goveno sulla richiesta di adoperarsi perché l'IHH (Insani Yardim Vakfi, ovvero la Ong turca che ha organizzato la spedizione tutt'altro che pacifica della Mavi Marmara lo scorso maggio) sia messa fuori legge. La risposta del sottosegretario Alfredo Mantica in Commissione Estera è stata prudente ma abbastanza positiva e io a mia volta ho risposto di non essere d'accordo con la sua posizione.
In generale comunque la questione è stata posta, è agli atti della Camera ed è stata presa molto sul serio cambiando così completamente i termini della vicenda della flottiglia e anche quelli del suo rapporto con la Turchia, che infatti è stato trattato nel contesto della risposta. Il punto base del governo era che l'origine dell'organizzazione è umanitaria, che essa si ritrova in Bosnia e che è molto difficile rintracciare tutti gli elementi che la consegnano senza ombra di dubbio all'ambito terroristico. Tuttavia Mantica ha ammesso che ci sono molti elementi oscuri e problematici e ha ripetuto, come riporto nell'interrgazione, che la Germania ha espulso l'IHH, senza commenti.
Collegando il tema dell'IHH a quello della Turchia senza tuttavia esserne richiesto, Mantica ha detto che qui sono sopravvenuti altri nuovi problemi, che la Turchia si è assunta un ruolo nuovo in Medio Oriente, che è grave la sua rottura con Israele ed evidente il suo nuovo atteggiamento islamista, che l'Europa ha le sue colpe a causa della lunga sospensione dell'ammissione in Europa e che l'Italia farà di tutto per restaurare un rapporto che riporti la Turchia all'antico ruolo di interlocutore dell'Europa, moderato e mediatore con l'Islam.
Ce la possiamo fare? Io ho sostenuto che la Turchia dà segni di profondo distacco dall'antico binario e ho anche sottolineato come l'uso che fa della denigrazione e dell'azione anti-israeliana sia funzionale alla sua nuova relazione con l'Iran e alla ricerca di un ruolo in Medio Oriente. Sull'IHH, ho ripetuto che se non ci spicciamo a fermarla, ce la ritroverema su un'altra flottiglia con i medesimi intenti violenti e che la prossima potrebbe partire dall'Italia.
Insomma, la questione è stata ben ascoltata, presa in coniderazione e certo siamo uno dei pochi parlamenti in cui questo è accaduto.

 

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