[b]Lo schiaffo di Netanyahu: sì alla costruzione di nuove case nella Gerusalemme araba
di Eric Salerno
ilmessaggero.it[/b]

Un titolo discutibile nel nome di una pace ad ognoi costo
ndr

ROMA (16 ottobre) – Giorni fa, rispondendo a chi gli chiedeva come spiegare il comportamento del premier israeliano, il ministro laburista Issac Herzog disse più o meno: o Netanyahu si prepara a fare un grande balzo in avanti verso la pace, oppure no. Ieri il premier, invece di accettare le sollecitazioni della Casa Bianca per un blocco totale delle costruzioni nelle colonie, ha approvato i piani per 240 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, la parte araba della città che fu annessa da Israele dopo la guerra del 1967.

Le prime reazioni palestinesi sono scontate: «Un chiodo sulla bara dei negoziati». E il capo negoziatore Saeb Erekat ha aggiunto: «Sembra che Netanyahu abbia fatto la propria scelta: meglio gli insediamenti della pace». Delusione anche a Washington. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Philip Crowley ha detto che l’iniziativa «è in contrasto con i nostri sforzi per rilanciare negoziati diretti» tra israeliani e palestinesi.

Mentre dal Cairo arrivano conferme che entro un mese gli arabi potrebbero decidere di chiedere alle Nazioni Unite di riconoscere uno «Stato palestinese indipendente» anche se dichiarato unilateralmente (come fecero gli ebrei della Palestina nel 1948) nel territorio delimitato da quelle che erano le “frontiere” di Israele nel 1967. Sono proprio quelle frontiere – la cosiddetta linea verde – da cui devono partire i negoziati. E ieri ne ha parlato ancora Mahmoud Abbas in un incontro a Ramallah con un gruppo di parlamentari arabo-israeliani.

Netanyahu, l’altro giorno, ha offerto una moratoria di due mesi negli insediamenti se i palestinesi riconoscono Israele come stato ebraico. Per uno dei leader palestinesi più moderati, Abdel Rabbo, non ci sarebbe problema se in cambio «Israele riconosce uno Stato palestinese entro i confini del 1967». La questione dello Stato ebraico, ha invece insistito il presidente Abbas, non è all’ordine del giorno. «L’Anp ha riconosciuto l’esistenza di Israele nel 1993 e ora è Israele a dover riconoscere lo Stato palestinese entro i confini del 1967».

Nei negoziati condotti in passato tra le parti, era stato concordato uno scambio di territorio per consentire a Israele di conservare una parte delle colonie costruite illegalmente e che sono, ormai, vere e proprie città. Gli alloggi che Netanyahu ha approvato ieri sono previsti in due sobborghi di Gerusalemme, Pisgat Zèev e Ramot, sul lato palestinese della “linea verde”. E’ chiaro a tutti che faranno parte dello scambio.

Oggi, però, le nuove licenze appaiono come uno schiaffo in faccia ad Abbas e all’amministrazione americana. E non fanno che alzare ulteriormente il livello della tensione a Gerusalemme.

Di fronte allo stallo nei negoziati, si sono intensificati gli sforzi per riportare Israele e i palestinesi alle trattative annunciate con tanta pompa alla Casa Bianca. L’ex presidente Carter, premier Nobel per la pace mediata tra Egitto e Israele, sta per intraprendere un vasto giro nella regione mediorientale mentre l’Ue e gli Usa stanno coordinando i loro sforzi o meglio l’Europa si adopera per sostenere la politica americana come ha confermato il ministro degli Esteri Frattini. «Tutti sono persuasi che gli Usa abbiano la carta per convincere Israele a estendere la moratoria. Vogliamo aiutare gli Stati Uniti a usarla. Questo è il ruolo dell’Europa, di supporto».

 

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