[b]Tranquilli, continueremo a gratificarci con uno Stato
Cratoline da Eurabia, di Ugo Volli

Testata: Informazione Corretta
Data: 17 ottobre 2010[/b]

Cari amici, leggendo i giornali di ieri, anche se in ritardo, ho imparato un paio di importanti verità.
E non fa meraviglia, visto che l'insegnante è un grande vecchio dell'ebraismo italiano, Amos Luzzatto, già presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche e adesso (come premio di consolazione, immagino) ancora presidente di quella piccola ma nobile cui appartiene da sempre, quella di Venezia.

Intervistato da Galezzi sulla Stampa a proposito del divieto che forse c'è stato e forse no per i tifosi di portare la bandiera con la stella di Davide allo stadio di San Siro per una partita di calcio, Luzzatto esprime alcune simpatiche innocenti utopie, come che non bisognerebbe andare allo stadio con le bandiere a fare il tifo ma solo godersi tutti insieme lo spettacolo, come quando si va all'auditorium a sentire suonare Beethoven non si issa la bandiere danese (?) "perché chi esegue la musica viene dalla Danimarca". Cose così, ognuno utopeggia come può e come sa.

Ma prima di spiegarci che il calcio è come la suonata "Al chiaro di luna" o la sinfonia "Eroica" o così dovrebbe essere, il nostro buon presidentissimo ne infila un paio più grosse. Di verità, voglio dire.
Leggete qui: "Amos Luzzatto – gli chiede il giornalista – è giusto vietare la bandiera israeliana negli stadi? «C'è da chiarire un'ambiguità. La bandiera bianco-azzurra (i colori dell'antico manto rituale ebraico) ha al centro la stella a sei punte, un simbolo orientale adottato dagli ebrei solo da qualche secolo. Lì dentro è contemporaneamente racchiuso un doppio significato, ossia un equivoco che durerà ancora qualche decennio. In pratica quella bandiera è anche il simbolo del movimento sionistico mondiale (quello che voleva ridare una patria agli ebrei), oltreché il vessillo di Israele dopo la realizzazione storica dello stato ebraico». Fino a quando durerà questa ambiguità? «Ancora un paio di generazioni, cioè finché gli ebrei di tutto il mondo sentiranno il bisogno di gratificarsi con uno stato degli ebrei che mancava da due millenni. Insomma, i tempi non sono maturi per dividere la stessa bandiera in due. Non dimentichiamo che il simbolo di Israele non è la stella a sei punte, bensì il lampadario a sette braccia."

A parte qualche inesattezza storica (che il manto rituale fosse in antico bianco e azzurro non è vero, come non è vero che la stella a sei punte venga dall'Oriente e sia stato adottato qualche secolo fa, in realtà è più recente e viene da pratiche magiche diffuse in tutt'Europa come mostra un saggio di Scholem recentemente tradotto (nel volume "L'idea messianica nell'ebraismo" Adelpi), l'idea interessante, tutta da apprezzare dal punto di vista eurarabo, è questa "ambiguità" che prima o poi fortunatamente si scioglierà "fra un paio di generazioni" o "fra qualche decennio" (Luzzatto, come tutti i veri profeti, non è particolarmente interessato alla precisa collocazione cronologica delle proprie previsioni).

In cosa consiste dunque questa perniciosa "ambiguità" da sciogliere prima che si può? Nella confusione fra ebraismo, movimento sionista e Stato di Israele, se capiamo bene le parole di Luzzatto, loro sì piuttosto ambigue.
Per Luzzatto l'ambiguità deriva dal fatto che "gli ebrei di tutto il mondo sentiranno il bisogno di gratificarsi con uno stato degli ebrei ". Si può sperare che prima o poi cresceranno e non bamboleggeranno più con questo giocattolino dello Stato, per dedicarsi magari al comunismo che è stata la passione vitale, ampiamente confessata e mai rinnegata, dello stesso Luzzatto. O magari al gioco degli scacchi o all'ermeneutica cabalistica, chissà. O a lustrare col brill le lampade a sette rami, loro sì simbolo storico dell'ebraismo (questo però è vero). Allora tutti saremo felici, non ci saranno più guerre in medio Oriente e nemmeno bandiere agli stadi.

Questa è la verità che Luzzatto ci insegna con grande autorevolezza e che è condivisa un po' da tutti, dai cardinaloni di curia e dagli ayatollah iraniani, dagli ultracomunisti del Manifesto e dagli statisti in stile Gonzales e D'Alema, da neri, verdi e rossi: se solo gli ebrei accettassero di tornarsene a quella condizione di infantile saggezza che piace così tanto a Moni Ovadia, se pregassero tutto il giorno e si arrangiassero con piccoli traffici, subendo mitemente le angherie di tutti, e piangendo i loro morti quando a qualcuno conviene produrre un pogrom, cercare un capro espiatorio o organizzare un'Inquisizione o una shoà – senza baloccarsi con Stati ed eserciti, senza pretendere di essere come gli altri; o se si integrassero del tutto, rinunciassero a un'identità separata, si convertissero, sparissero – be' come sarebbe tutto più facile! Grandi verità. Peccato solo che dai tempi della Bibbia noi ebrei siamo "di dura cervice", ostinati, e continueremo a cercare di "gratificarci con uno stato", se Dio vorrà, ben oltre i pochi decenni che Luzzatto ci assegna.

Ugo Volli

 

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