«Dei dieci film tratti dai miei libri questo è il primo che mi ha reso felice». [i]Il responsabile delle risorse umane[/i], dal romanzo omonimo di Abraham B. Yehoshua, ha fatto incetta di Ophir, i massimi premi del cinema in Israele, che lo ha scelto come suo candidato all´Oscar. Tra i riconoscimenti, il premio del pubblico all´ultimo Festival di Locarno. [b]Il film esce il 3 dicembre [/b]per la Sacher distribuzione.
Girato da [b]Eran Riklis [/b](Il giardino dei limoni), affronta un tema caro allo scrittore israeliano: gli effetti devastanti che derivano da colpe anche lievi.

da www.informazionecorretta.it – intervista di Arianna Finos

Il manager di un grande panificio deve rispondere alle accuse, mosse all´azienda da un giornale, di mancanza di umanità: nessuno si è accorto che una dipendente è morta, da giorni, in un attentato kamikaze a Gerusalemme. Per rimediare, l´uomo (l´attore Mark Ivanir) è costretto ad accompagnare la bara della donna alla sepoltura nel villaggio natio, in Romania. Un´avventura on the road su fortunosi mezzi di trasporto: da un vecchio furgone Volkswagen a un carro armato ex sovietico, che diventa un viaggio alla riscoperta dell´umanità perduta.
Yehoshua, 74 anni, racconta al telefono della casa di Haifa il suo coinvolgimento nel film: «Ho solo annotato suggerimenti a margine della sceneggiatura, volevo che la storia non divagasse, restasse lineare sulla trama. Ma l´opera è frutto indipendente del regista Eran Riklis».
Cosa le ha regalato di nuovo il film rispetto al libro?
«Un protagonista meraviglioso. Mark Ivanir è riuscito a penetrare nell´anima di un burocrate alienato e attaccato alla sedia, per poi trasformarlo in un uomo capace di provare pietà e infine amore per il corpo che trasporta. È bella la parte on the road, l´umorismo con cui Riklis restituisce gli aspetti primitivi, la dissenteria, il freddo, i disagi, del viaggiare in luoghi sperduti».
Progetta di scrivere per il cinema?
«Ho adattato per gli Stati Uniti il mio Un divorzio tardivo: ora racconta di una famiglia non è più israeliana ma ebrea americana. Aspetto un produttore e un regista. E il cinema è al centro del mio prossimo romanzo, Spanish grace, esce tra un mese in Israele. Affronta il conflitto tra un regista della mia età e il suo giovane sceneggiatore».
Che ricorda del film di Roberto Faenza, L´amante perduto?
«Malgrado la buona volontà, è difficile per un regista straniero mettere in scena qualcosa di intimamente connesso ai codici di comportamento di un altro paese. Per questo spero di essere più coinvolto nel progetto di Gianni Amelio su Fuoco amico, evitando errori e fraintendimenti».
Il responsabile delle risorse umane rappresenterà Israele agli Oscar.
«I premi non sono un criterio oggettivo. Mi gratifica di più la reazione degli amici, che hanno apprezzato il libro e sono rimasti soddisfatti dal film».
Che ne pensa dell´industria di Hollywood?
«Sono fuori dal sistema. I film che mi sono piaciuti quest´anno sono romeni, turchi, iraniani. Ammiro opere che vengono dai nostri nemici: Iran e Turchia. Che posso farci? Spero che anche loro possano amare il cinema del nemico israeliano».
E di film che hanno vinto Oscar parlando di Shoah, come Schindler´s list e La vita è bella?
«Roberto Benigni è un uomo speciale, con uno stile speciale. Il suo modo umoristico di descrivere la Shoah è unico, La vita è bella è uno spartiacque tra i tanti sull´argomento che ci sono stati e che ci saranno. Schindler´s List ha uno stile più da documentario, ma è riuscito. Fare film sulla Shoah è difficile. Ce ne sono già tanti, eppure gli autori continuano a cercare il confronto, perché è un modo per confrontarsi sull´arte. E d´altra parte l´arte è il modo migliore per perpetuare il ricordo della Shoah».
L´Oscar alla carriera a Jean-Luc Godard suscita polemiche. Il regista è accusato di antisemitismo.
«Se discriminassi gli artisti antisemiti dovrei farlo con Dostoevskij e Pound e Cechov, che lo erano. Non m´interessa entrare in queste considerazioni. Di Godard ricordo due o tre film belli, ma non è tra i miei francesi preferiti».
Lei e i suoi colleghi Grossman e Oz siete da tempo impegnati nel processo di pace in Medio Oriente. L´arte può cambiare il mondo?
«Neanche un uomo della statura di Barack Obama può cambiarlo, perché dovrebbe farlo l´arte? Comprendere i comportamenti e i rapporti umani, questo è l´umile traguardo raggiungibile da cinema, letteratura, musica».
Il responsabile delle risorse umane descriveva, nel 2003, un paese in cui gli attentati kamikaze erano diventati agghiacciante quotidianità. Com´è la situazione, oggi?
«Calma. Le autorità palestinesi in Cisgiordania controllano totalmente il terrorismo, con l´aiuto del nostro esercito. E avanzano economicamente. Sono pronti, e lo meritano, a creare lo stato palestinese, un processo che va realizzato subito. L´ho detto al mondo: bisogna spingere Israele a un serio negoziato. È l´atto morale che noi dobbiamo ai palestinesi».
Il governo israeliano ha dato il via a nuove costruzioni a Gerusalemme Est.
«Male, male, male. Bisogna fermarsi».
E la mediazione di Obama?
«È un uomo buono che cerca di riparare i tragici errori del suo predecessore. Pretendono che faccia sparire i mali come fosse un mago. Ma due anni sono pochi per un bilancio. Gli americani devono credere ancora in lui».
Il libro e il film regalano un finale di speranza: lei è ottimista sulla natura dell´animo umano.
«Non ho scelta. Ho tre figli e sei nipoti. Meritano un futuro in cui possano vivere in pace e sicurezza. No, non posso permettermi di essere pessimista».

 

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