Commenti di La Stampa, Il Foglio, Anna Momigliano

[b]"1600 nuove case a Gerusalemme Est"
Schiaffo di Israele, l'ira di Joe Biden
10.11.2010
La Stampa[/b]

[b]Perchè Israele ha annunciato ora la costruzione di nuove case a Gerusalemme
«Israele farà le case fra tre anni, ma la pressione su Obama è ora»
10.11.2010
La redazione del Foglio[/b]

[b]Israele si “scusa” con gli americani ma le costruzioni nelle colonie proseguono
blog.panorama.it
annamomigliano
Giovedì 11 Marzo 2010[/b]

[b]"1600 nuove case a Gerusalemme Est"
Schiaffo di Israele, l'ira di Joe Biden

La Stampa[/b]

L’ombra di un nuovo lotto di 1.600 alloggi, destinati a infoltire l’espansione degli insediamenti ebraici di Gerusalemme est – area a maggioranza araba la cui annessione a Israele non è riconosciuta dalla comunità internazionale -, torna ad allungarsi stasera sulle vaghe speranze di ripresa del dialogo israelo-palestinese.

Ad annunciarne il via libera è stato il ministero dell’ Interno israeliano, con un provvedimento che per alcuni oppositori ha il sapore della provocazione e che è stata condannata, fra gli altri, dalla Casa Bianca e dall’Autorità palestinese. E che appare anche uno schiaffo al vicepresidente Usa, Joe Biden, in visita oggi a Gerusalemme.

Il vice di Obama, che è a Gerusalemme nel tentativo di rilanciare il processo di pace dopo l’annuncio di ieri del mediatore George Mitchell dell’avvio di una tornata di negoziati indiretti (proximity talks) dopo un anno e mezzo di gelo, ha condannato con decisione la scelta di Israele: «Per la sostanza – ha detto Biden – e il momento scelto per l’annuncio, in particolare con il varo dei colloqui indiretti, è esattamente il tipo di atto che mina la fiducia di cui ora c’è bisogno».

L’iniziativa è stata resa pubblica dal ministero – affidato nel governo di Benyamin Netanyahu a uno dei leader della destra religiosa, Eli Yishai, del partito Shas – con uno scarno comunicato dai toni burocratici. Le 1.600 «unità abitative» – vi si legge – sono previste nell’insediamento ebraico ortodosso di Ramat Shlomo, lo stesso nel quale nel 2008 erano già state autorizzate 1.300 case, e il 30% sarà «riservato a giovani coppie». L’area – come hanno riconosciuto fonti ministeriali – è ben al di là della cosiddetta linea verde, ma è annessa al territorio municipale di Gerusalemme. Cosa che, stando alla linea del governo in carica, la rende parte inalienabile della «capitale eterna e indivisibile d’Israele».

Per ora il permesso – rilasciato dalla commissione per la programmazione edilizia del dicastero – non risulta essere esecutivo, ma ha comunque già il placet del ministro Yishai. Secondo le fonti del ministero, la tempistica del provvedimento è «casuale». Altri, tuttavia, non la pensano affatto così. Da Ramallah il capo negoziatore dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Saeb Erekat, ha messo l’accaduto immediatamente in relazione con la visita di Biden, affermando che l’annuncio è parte «di una politica sistematica volta a distruggere il processo di pace». Da parte sua il presidente palestinese, Abu Mazen, ha invocato provvedimenti da parte della Lega Araba.

Critiche severe e accuse di sabotaggio sono venute pure da esponenti dell’opposizione israeliana e di movimenti pacifisti come Peace Now. Per Meir Margalit, capogruppo del Meretz (sinistra radicale sionista) al consiglio comunale di Gerusalemme, «la scelta dei tempi e il fatto che Yishai non abbia voluto aspettare neppure 2 o 3 giorni non sono per nulla causali»: si tratta piuttosto di «una prova di forza» della destra religiosa con lo stesso Netanyahu, «colpevole» d’aver detto sì ai colloqui indiretti promossi dagli Usa.

«Il comunicato del ministero dell’Interno – ha denunciato Margalit – è un schiaffo in pieno viso al vicepresidente Biden», assestato nel giorno dei suoi colloqui ufficiali a Gerusalemme e all’indomani dell’invito esplicito, rivolto dal dipartimento di Stato a israeliani e palestinesi, a evitare di disseminare di ulteriori «ostacoli» il percorso negoziale. Uno schiaffo che, a parere dell’esponente del Meretz, non può non essere accolto come «una provocazione tanto dagli Stati Uniti, quanto dal primo ministro Netanyahu».

[b]Perchè Israele ha annunciato ora la costruzione di nuove case a Gerusalemme
«Israele farà le case fra tre anni, ma la pressione su Obama è ora»
10.11.2010
La redazione del Foglio[/b]

Gerusalemme. Benjamin Netanyahu visita gli Stati Uniti e puntuale da Israele si annuncia l’approvazione della costruzione di nuove case a Gerusalemme est e nella Cisgiordania. E’ diventata quasi una prassi stuzzicare la sensibilità americana sugli insediamenti, che Washington ha più volte definito un ostacolo alla pace, a ogni appuntamento del premier israeliano con la leadership della Casa Bianca. Netanyahu, in visita a New Orleans per partecipare all’assemblea delle organizzazioni ebraiche nordamericane, ha incontrato il vice presidente Joe Biden domenica e vedrà il segretario di stato Hillary Clinton giovedì a New York. Nel frattempo, le autorità locali in Israele hanno approvato piani edilizi in due delle aree più contese nel conflitto. A Gerusalemme est, che i palestinesi rivendicano come capitale di un loro futuro stato, sorgeranno ottocento nuove abitazioni nei quartieri di Ramot e Har Homa. Altre mille case saranno costruite ad Ariel, la più grande città israeliana nei territori, sorta nel cuore della West Bank. Passeranno almeno due o tre anni prima che le ruspe inizino davvero a lavorare, ma l’annuncio è bastato a far infuriare la Casa Bianca, che da mesi preme su Netanyahu per prolungare il congelamento degli insediamenti, scaduto a settembre e considerato necessario per favorire la ripresa dei negoziati con i palestinesi. Il presidente Barack Obama, in viaggio in Indonesia, ha parlato di una decisione “che non aiuta i negoziati” mentre il dipartimento di stato si è detto “profondamente deluso”. L’incidente sembra la fotocopia di quello avvenuto a marzo, quando durante una visita di Biden in Israele, il governo approvò dei piani edilizi a Gerusalemme est, scatenando una crisi diplomatica fra i due alleati. A seguito dei nuovi piani annunciati lunedì, si punta il dito contro Eli Yishai, l’influente ministro dell’Interno, membro del Partito ultraortodosso Shas e contrario al rinnovo della moratoria sugli insediamenti, uno dei punti principali dell’agenda del viaggio di Netanyahu negli Stati Uniti. Una fonte governativa ha dichiarato al quotidiano Yedioth Ahronot che secondo un accordo tra Yishai e il premier, l’annuncio delle nuove costruzioni sarebbe dovuto arrivare già il 20 ottobre, ma che “per ragioni non chiare” aveva subito un ritardo. L’impressione è di un sabotaggio da parte di Yishai per imbarazzare il premier mentre tenta di rinsaldare i fragili rapporti con Obama. Difficile credere però che Netanyahu sia talmente ostaggio dei suoi, pur riottosi, alleati di destra da non poter bloccare un ministro già uso a queste mosse. Dopo la gaffe durante la visita di Biden, Netanyahu aveva messo sotto il suo controllo ogni decisione sui progetti edilizi a Gerusalemme est, dimostrando di saper frenare i suoi alleati. In realtà, l’annuncio di lunedì capita a proposito per fare pressione su Washington in un momento in cui la Casa Bianca sembra distaccarsi dai grandi temi che preoccupano Israele; soprattutto il nucleare iraniano. Nell’incontro con Biden a New Orleans, Netanyahu aveva avvertito che per convincere Teheran a fermare la sua corsa verso l’atomica è necessario prospettare la possibilità di un attacco militare. Inaspettata è arrivata la risposta del segretario alla Difesa Robert Gates, che pur ripetendo il mantra secondo cui “tutte le opzioni sono sul tavolo” si è detto in disaccordo con Netanyahu, perché “una minaccia militare credibile non è l’unico modo” per convincere l’Iran. “E’ l’ennesima dichiarazione contraddittoria dell’Amministrazione Obama – dice al Foglio Eytan Gilboa, professore di scienze politiche all’Università Bar Ilan – Netanyahu era pronto a fare concessioni ai palestinesi finché pensava di poter ottenere di più sul fronte iraniano ma questo incentivo sembra ormai svanito”.

[b]Israele si “scusa” con gli americani ma le costruzioni nelle colonie proseguono
blog.panorama.it
annamomigliano
Giovedì 11 Marzo 2010[/b]

Anna Momigliano è una scrittrice e giornalista milanese. Per Marsilio ha scritto Karma Kosher.

Scusateci tanto per l’imbarazzo causato, però andiamo avanti con le costruzioni a Gerusalemme Est. Le dichiarazioni del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu suonano un po’ strane, e sono indice di un malcelato imbarazzo tra Stati Uniti e Israele proprio sulla questione delle colonie.

Netanyahu infatti ha porso le sue scuse al vicepresidente americano Joe Biden, che ha appena colcuso una visita ufficiale in Israele. Durante la visita di Biden, avevano creato non poco imbarazzo le dichiarazioni da parte del ministro degli Interni Eli Yishai, che aveva annunciato la costruzione di 1600 appartamenti a Gerusalemme Est.

Biden aveva pubblicamente condannato le dichiarazioni di Yishai. Netanyahu si è poi scusato a nome del suo ministro, riconoscendo che il tempismo dell’annuncio è stato molto infelice… ma non per questo ha fermato le costruzioni.

Da dove nasce la controversia? La risposta è semplice: da mesi ormai gli Stati Uniti stanno facendo pressioni su Israele affinché interrompa le costruzioni nei cosiddetti insediamenti, o colonie. Secondo l’amministrazione Obama infatti le colonie costituiscono l’ostacolo principale alla ripresa del processo di pace tra israeliani e palestinesi (io personalmente credo che sia una visione un po’ semplicistica: semmai, è uno dei tanti problemi, ma su questo tornerò più tardi).

A dire il vero, il governo Netanyahu aveva già annunciato lo scorso novembre una moratoria sulla costruzione di nuove case negli insediamenti.

Ma esiste un problema di fondo: dal punto di vista degli israeliani, Gerusalemme Est non è un insediamento. Gli israeliani considerano insediamenti, o colonie, solo i villaggi ebraici costruiti in Cisgiordania, ossia nei cosiddetti Territori palestinesi occupati, che non fanno parte del territorio israeliano. Gerusalemme Est invece è stata annessa formalmente al territorio israeliano, con un’apposita legge di 30 anni fa.

Peccato che la comunità internazionale (e in particolare gli Usa) la vedano in un altro modo. Per loro Gerusalemme Est è un Territorio occupato tanto quanto la Cisgiordania: di conseguenza, qualsiasi costruzione israeliana in quella zona è da considerarsi una colonia.

Insomma, sembra un dialogo tra due persone che parlano due lingue completamente diverse.

Gli israeliani non sembrano molti convinti della possibilità di riprendere il processo di pace con i palestinesi. E anche gli arabi sono molto scettici della mediazione americana, come si capisce anche da questo servizio di al-Jazeera.

Anna Momigliano
Giovedì 11 Marzo 2010

http://blog.panorama.it/mondo/2010/03/11/israele-si-scusa-con-gli-americani-ma-le-costruzioni-nelle-colonie-proseguono[/link]/

 

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