Riceviamo e pubblichiamo più che volentieri questo pezzo molto bello a firma del professor Lorenzo Catania che, per ricordare i cinquant’anni dalla stesura de [i]Il giardino dei Finzi-Contini [/i](pubblicato da Einaudi nel febbraio del 1962), recupera dal passato un racconto di Giorgio Bassani del 1945 che probabilmente costituisce il primo nucleo del futuro romanzo.
[di Lorenzo Catania]

“Qualche settimana fa, riordinando delle vecchie carte, mi è capitato di mettere le mani su questo abbozzo di racconto (Frammento 1942) del quale avevo completamente dimenticato l’esistenza. Sono pagine buttate giù attorno al ’42, direi, sotto l’emozione di un fatto realmente accaduto: la morte di un amico; e rappresentano senza dubbio il primo tentativo di scrivere Il giardino dei Finzi-Contini. Sebbene steso fra il ’58 e il ’61, il romanzo ha dunque avuto un’incubazione lunghissima: vent’anni giusti”.

A dispetto di questa dichiarazione di Giorgio Bassani, forse il primo tentativo di scrivere Il giardino dei Finzi-Contini (1962) non risale a Frammento 1942 e nemmeno all’altro testo intitolatolo Il giardino dei Finzi-Contini (Primo appunto), uscito nel “Caffè Politico e Letterario” del febbraio 1955. Più probabilmente, il primo nucleo del futuro romanzo è presente nel brevissimo racconto Mia cugina, ancora oggi pressoché sconosciuto, pubblicato nel numero del 29 settembre 1945 di “Il Costume Politico e Letterario”, una delle tante riviste nate nel clima culturalmente euforico dell’immediato dopoguerra, affamato di idee e di libri. In verità, molti anni fa il racconto non era sfuggito all’attenzione di Enzo Siciliano, il quale dando notizia dell’esistenza di questa prosa “già decisamente individuata” nel saggio L’anima contro la storia. Bassani, la considerava come un avantesto delle storie ferraresi. Documento ignorato dagli studiosi di Bassani, questo elzeviro del 1945 aleggia in maniera evidente attorno al testo del Giardino dei Finzi-Contini.

Contiene l’idea originaria, la storia del bacio non dato, da cui prende spunto l’esile vicenda del Giardino dei Finzi-Contini, poi ampliata con blocchi narrativi ispirati all’esperienza umana e civile del Ferrarese, dalla sua sensibilità per la storia e l’arte. Anticipa luoghi e ambienti del futuro romanzo: la villa, il “posto tranquillo” equivalente della rimessa in cui si svolgerà una scena importante della storia d’amore irrisolta tra Micòl e l’io narrante; certi oggetti simbolo ricchi di significato: l’automobile, la bicicletta; alcuni personaggi: la cugina tredicenne dalle gambe sensuali come Micòl fanciulla, il padre del narratore un po’ distaccato, estraneo, non in perfetta sintonia con gli altri, come poi nelle pagine del romanzo. Scritto in forma di confessione autobiografica, resa ancora più plausibile dalla identità anagrafica tra autore reale e narratore (“Nel 1927 – avevo allora undici anni …”), ambientato in uno spazio periferico lontano dal traffico moderno, secondo gli schemi di certa narrativa italiana dei primi decenni del Novecento, il testo di Mia cugina racconta ricordi di momenti di vita vissuta e trasfigurati nella stagione dell’adolescenza intesa come alterità e incomunicabilità. Asseconda l’inclinazione dello scrittore allo scavo nel passato. Mia cugina, infatti, è la ricostruzione retrospettiva di una gita in villa e la rievocazione di un quadro familiare della borghesia di provincia non ancora caratterizzata dalla identità ebraica, socialmente distante dalla gente modesta e proletaria che si muoverà poi nelle Cinque storie ferraresi. Nella dimensione ovattata della campagna “bassa e piatta”, attraversata da un’atmosfera un po’ uggiosa, una gita in villa – preannuncio della gita domenicale che dà l’avvio al Prologo del Giardino dei Finzi-Contini e delle visite nel parco di Micòl -, è l’evento che favorisce l’incontro tra due adolescenti.

Un ragazzo un po’ inerte e ripiegato in sé stesso, torturato dalla solitudine e dalla timidezza, da una disperazione privata che richiama alla mente la psicologia del liceale protagonista del romanzo Dietro la porta e la cugina tredicenne, fanciulla in fiore sensuale e sportiva, sicura di sé, ma anche dal comportamento contraddittorio e inafferrabile come quello di Micòl e di altri personaggi più compiutamente costruiti nei racconti di dopo. Sollecitato dalla intraprendenza della cugina, dai suoi gesti e dalle sue parole, che creano un clima vagamente erotico, l’avvicinamento tra i due adolescenti si realizza tramite l’immagine dell’automobile, che funziona come spazio che predispone all’intimità e alla conoscenza tra i due sessi: “Mia cugina mi prese per mano e mi condusse in fondo al parco… In un posto tranquillo, quasi buio, era ferma una automobile grigia, scintillante di cristalli e di acciai nichelati … Mia cugina aprì lo sportello e sedè sul divano di lana grigia. ‘Sali anche tu,’ mi disse, e batteva una mano sul panno del divano… Mia cugina chiuse lo sportello… Sembrava d’essere in un salotto: un piccolo salotto soffocante. Mia cugina mi prese per le spalle e mi fissò… ‘Hai gli occhi celesti anche tu; tutti in famiglia abbiamo gli occhi celesti’, disse. Poi si volse; e gli occhi, che figgeva oltre il vetro del parabrezza, le brillavano di cattiveria.”
All’interno dell’automobile gli sguardi dei due adolescenti, nel loro incrociarsi, si scoprono estranei, le loro bocche non si uniscono a sigillare la gioia di un momento.Confuso, incapace di una parola, di un gesto, il ragazzo non incontra la richiesta di complicità della cugina attirata dagli “occhi celesti” di lui, in seguito connotato caratteristico del protagonista del Giardino dei Finzi-Contini e oggetto dello sguardo ironico e del provocante ammiccare di Micòl. L’intimità, vissuta con disagio, non crea una tensione al desiderio e così l’apprendistato erotico dei due adolescenti sfuma, la scoperta della sessualità cede alla irritazione. La ragazza, frustrata nella sua vitalità, nel suo tentativo di creare una situazione liberatoria all’interno dello spazio chiuso e prevedibile della villa, ferita dall’assenza del suo interlocutore, fissa altrove il suo sguardo ostile e si rifugia nel silenzio: “Mia cugina mi prese per le spalle e mi fissò.[…] Poi si volse; e gli occhi che figgeva oltre il vetro del parabrezza, le brillavano di cattiveria”. Anni dopo, manipolando e utilizzando immagini e ricordi che si succedono e si sovrappongono, dialogando fra loro, il narratore desideroso di rivisitare quella sua esperienza di incomunicabilità bruscamente interrotta, elabora il finale inconcluso di Mia cugina e si inventa il luogo del giardino e il viaggio al suo interno, come a volere risarcire la ferita inferta alla ragazza e a decifrare il non detto del suo silenzio che infligge sentimenti di colpa, insinua anche il dubbio del disprezzo. “…nel giugno del ‘29”, riallacciandosi in particolare al tema del bacio non dato, il protagonista del Giardino dei Finzi-Contini si sovrappone alla figura del ragazzo di Mia cugina e ne rovescia la passività, l’innocenza ancora infantile. Mosso dall’impulso a riconciliarsi con la figura femminile che lo ha colpito, il narratore vuole mettersi alla prova per sentirsi meno chiuso e isolato e riprendere il filo della sua esperienza mal vissuta. Immaginando perciò di accettare l’invito della tredicenne Micòl a scavalcare il muro di cinta della villa, l’io-narrante, sia pure nella realtà altra della fantasticheria, taglia il cordone ombelicale che lo tiene legato agli adulti e realizza la sua autonomia. Allontana temporaneamente la sua paura di baciare (amare). Quasi dieci anni dopo, in un episodio chiave del Giardino dei Finzi-Contini, durante un pomeriggio di pioggia che spinge i due giovani protagonisti a rifugiarsi nella rimessa “dentro la carrozza prediletta dal Perotti,” il silenzio, le parole, i gesti, il viso, gli occhi che hanno turbato un tempo, ritornano nella replica palese della scena finale di Mia cugina: “Aprì uno sportello [Micòl], montò, sedette; infine, battendo con la mano sul panno del sedile…mi invitò a fare lo stesso… Pareva davvero di trovarsi dentro un salottino: un piccolo salotto soffocante… Mossa da un impulso imprevedibile si era scostata bruscamente da me… Ora guardava davanti a sé, corrugando le sopracciglia, i tratti del viso affilati da un’espressione di strano livore.” Il passato mai trascorso svela dunque lo stato d’animo del narratore che non riesce a riappacificarsi con la propria memoria e il suo comportamento di eterno adolescente narciso che, sensibile solo alla propria immagine più che all’oggetto del desiderio, si tira indietro, ancora una volta non sa dare “un vero bacio” che piegherebbe l’ineffabilità del personaggio femminile e suggellerebbe in maniera meno infelice la storia d’amore che lo coinvolge.

Lorenzo Catania (Catania, 1952) è professore d’Italiano e Storia nella scuola media superiore. Ha collaborato con la rivista “Otto/Novecento scrivendo su Bassani, Corazzini, Pavese, Brancati. Ha scritto di letteratura, cinema e canzoni sulle pagine culturali dei giornali “La Sicilia”, “la Repubblica-Palermo”, “la Repubblica-Napoli”.

da: http://stilos.it/

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