Esiste una forte interdipendenza tra sapere e condizioni di vita La crescita della conoscenza – inequivocabilmente fondata su caratteristiche oggettive e sensibilità soggettive rispetto a un dato contesto, immediato o remoto – è favorita dal tipo e dalla qualità delle esperienze, in tempi e luoghi diversi, dai collegamenti del nuovo con ciò che già si conosce, dal significato dato alle cose. La cognizione e lo sviluppo cognitivo sono l’esito di elaborazioni che dipendono dal quadro di riferimento con cui la persona dà significato e senso alla propria esistenza.

E’ legittimo, per tutto ciò, assumere che la formazione non si realizzi nel solo sistema educativo formale ma si basi su un’interdipendenza tra sapere e condizioni di vita: ogni individuo formula le proprie risposte alla realtà circostante in relazione al tipo di consapevolezza acquisita in ragione delle capacità di gestione e di controllo del proprio ambiente. Le persone operano reagendo di fronte a situazioni immediate scegliendo sulla base di diversi fattori che determinano l’insieme del processo di costruzione del sapere.

La conoscenza non è quindi l’esito di soli percorsi di istruzione formale né il risultato di un processo cumulativo e meccanico di acquisizione di contenuti volutamente trasmessi, ma il risultato di percorsi complessi. E’ il frutto di attività in cui persone e collettività ricostruiscono e ridefiniscono il proprio peculiare rapporto con la realtà, accettando o rifiutando valori, modi di essere e di pensare. E’ l’esito di condizioni sociali ed economiche, il prodotto di caratterizzazioni di sesso e di classe legate alla stratificazione e alla mobilità sociale. E’ una componente essenziale del processo di costruzione identitaria di singoli e gruppi, fattore decisivo nel connotare singoli e comunità.

Le forme della trasmissione culturale sono, per questo, materie di confronto e, a volte, di conflitto per la definizione di una società.

Una riflessione rigorosa sull’educazione implica per tutto ciò la comprensione del carattere globale e processuale delle trasformazioni, impone l’assunzione di una dimensione storica in cui collocare le dinamiche interne di ogni collettività, suggerisce di tenere conto delle forme con cui si sviluppa ogni gruppo che partecipa all’evoluzione delle società in cui si esprime.

In questo quadro un rilievo particolare rivestono la lingua, la memoria, l’identità, il contesto.

La lingua svolge una funzione mediatrice delle diverse percezioni, favorisce l’assimilazione delle esperienze individuali e di quelle consolidate della cultura di appartenenza, crea le condizioni perché la coscienza realizzata giunga a forme più articolate e complesse di elaborazione. Attraverso l’uso della lingua e l’esperienza linguistica, inoltre, il singolo fa proprio uno dei caratteri fondamentali della cultura, ne partecipa e contribuisce a modificarla. La lingua consente non solo processi di assimilazione dell’esperienza consolidata dalla cultura di appartenenza ma crea le condizioni affinché la consapevolezza ascenda a forme di sviluppo più complesse e articolate, strutturandosi e sedimentandosi nel campo percettivo e cognitivo. In questo modo i dati empirici e i contenuti indotti in molte forme, nel passato e nel presente, entrano a far parte del patrimonio culturale di ogni persona .

La memoria, in tale processo, gioca una particolare funzione organizzativa. Essa consente un’autodefinizione di sé, dalla forma più elementare, dell’avere un nome, un indirizzo, a quelle più complesse dell’avere una storia, che in parte permane a livello cosciente, in parte è dimenticata o rimossa.

La memoria non è solo importante in relazione alle categorie personali di elaborazione del nuovo, ma ha implicazioni cognitive, emotive e affettive, proporzionate alla forza con cui l’esperienza si radica nel pensiero.

Le memorie sono individuali ma anche collettive, condivise da famiglie, gruppi, organizzazioni e altre comunità mnemoniche. Piuttosto che un mero aggregato di ricordi personali dei suoi vari membri, la memoria collettiva di una comunità racchiude quelli condivisi dai suoi membri come gruppo. In quanto tale, essa evoca eventi di un passato comune. Lungi dall’essere qualcosa di strettamente spontaneo, ricordare è anche un’attività guidata da norme sociali, che ci dicono cosa dovremmo ricordare e cosa invece dimenticare.

Eventi “topici” di ogni gruppo e comunità sono le fonti della costruzione dell’identità collettiva. Il problema dell’identità quindi si caratterizza come questione che attiene lo sviluppo del sapere e la formazione. Il senso di identità consente di percepire la sopravvivenza di un sistema di valori, la salvaguardia di una propria cultura, la continuità di una memoria, la relazione, senza soluzione di continuitàcon un passato.

L’identità, in ogni caso, è premessa ed esito di ogni percorso formativo. Su questo legame appare utile soffermarsi. Nel corso del processo di modernizzazione e di crescente privatizzazione, si sono verificati due fenomeni concomitanti: il progressivo ampliarsi dei luoghi e delle forme in cui la persona ha potuto esprimersi e trovare un immediato riconoscimento (l’ambito della famiglia, della coppia, delle realtà associative, politiche sindacali, culturali, proprie delle società democratiche) e lo sviluppo complementare del sistema di norme, regole e pratiche proprie delle società organizzate sotto forma di democrazia.

L’indebolimento odierno di vincoli sociali e comunitari non comporta, per questo, una crisi totale della morale, anche se risulta presente il rischio della caduta nelle forme più radicali di integralismo religioso. Il problema che ne scaturisce non è evidentemente nella esigenza di avere una fede ma nella radicalità con cui può essere vissuta l’appartenenza. È viceversa possibile trovare nella religione una risposta a quella ricerca di “comunità” che, come si è detto, si accompagna al desiderio di libertà e autonomia. Presumibilmente la tendenza alle “conversioni” o ai ritorni alla fede di molti ragazzi e ragazze che ricercano una “famiglia” e delle “regole” è figlia della imprescindibilità di ciascuno di definire se stesso in relazione con altri.

Da ciò un paradosso alla base di una sostanziale “turbolenza” nei processi identitari e nelle forme della società civile. In contesti di sempre più ampio confronto tra diversità etniche, religiose, culturali, il percorso di definizione di molteplici forme di appartenenza, le modalità di autoidentificazione recuperano la dimensione “religiosa” come riferimento “sicuro”, in antitesi con altri e teso a stabilire una gerarchia tra le religioni. Il maggiore elemento di difficoltà nelle società occidentali appare, non a caso, quello di definire le finalità complessive dei sistemi educativi, delle competenze necessarie per l’inserimento professionale e, nel contempo, la natura dei saperi e dei valori propri della società civile.

L’educazione e il modo con cui delinearne il carattere vanno, per tutto ciò, affrontati come parte di un processo più ampio: la prospettiva attuale è quella di guardare all’azione culturale e pedagogica, come strumento che con il sapere rafforzi la propria identità conoscendo le proprie radici nella relazione con altre fonti di valore storicamente evolutesi. Ciò è indispensabile per consolidare la capacità di fronteggiare, a livello individuale e collettivo, l’incertezza legata alla vulnerabilità, reale o presunta, rispetto al sistema di regole, valori, ideali con cui fare fronte alle difficoltà del presente.

Solo così l’educazione può contribuire a far sì che la persona sia in grado di superare la crescente incapacità a conservare il filo della propria narrazione individuale, di concepire, cioè, la propria biografia nella continuità di un sistema di relazioni, affetti: processi di acquisizione ed elaborazione del sapere e di costruzione della propria identità sono intimamente legati e decisivi nel consentire alle giovani generazioni di affrontare il futuro.

* Presidente Istituto Superiore della Formazione

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.