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WAJERÀ

(Genesi XVIII – XXII)

ABRAMO E LA SOCIETÀ DEL SUO TEMPO

La storia di Abramo che abbiamo visto essere ampiamente svolta nella Parashà precedente, continua in quella che ora illustriamo. Anche in questa, è la figura di Abramo che domina il racconto, è la sua personalità che emerge dal complesso dei vari episodi di cui è intessuta questa lezione biblica: qui, però, va sempre più delineandosi il carattere specificatamente ebraico della persona di Abramo, il carattere della sua vita e delle sue idee; qui ormai Abramo è già entrato nell’orbita di quel patto che il Signore ha solennemente concluso con lui e, attraverso lui, con la sua discendenza; qui ormai Abramo non è più un Noachide, un membro, cioè, della società del suo tempo, ma è ormai, come dice il suo nome, Avraam, cioè ” padre di una moltitudine di genti”. Il distacco tra Abramo e la società in cui egli vive, il distacco tra la sua discendenza e quella delle altre genti, appare sempre più evidente e sempre più insito nel carattere stesso della missione spirituale abramitica. Questo distacco che poi diventò un contrasto, si rivela chiaro e assoluto nei primi capitoli della nostra Parashà che ci presentano, da un lato, il quadro della vita di Abramo, dall’altro il quadro della corrotta società del suo tempo. Abramo è ancora un forestiero nella terra di Canaan; egli la percorre – secondo l’ordine di Dio – in lungo ed in largo, ma preferisce non prendervi dimora stabile, preferisce mantenere il suo isolamento e condurre una vita che si allontana dai centri delle città corrotte e depravate; Abramo sceglie l’ombra dei terebinti di Mamrè e l’amicizia di pochi personaggi, ormai entrati nel raggio della sua spirituale propaganda, ed ama la dimora della tenda che gli permette dì approfondire le sue esperienze spirituali e di ricevere il messaggio della volontà divina. È un quadro di vita semplice, ma pura, quello che ci presenta la Bibbia nella vita di Abramo; è soprattutto la vita di colui che, come aveva detto il Signore, ” cammina innanzi a Dio “, procede integro e puro nelle sue vie; è, dunque, una vita ispirata all’amore e alla fratellanza verso il prossimo ed è sotto questo aspetto che la Parashà ci presenta Abramo, mentre attende, con zelo impareggiabile, al dovere dell’ospitalità, così trascurato, anzi così ignorato, proprio nelle città che alzavano le loro costruzioni a così breve distanza dal luogo ove Abramo era accampato. E questo dovere dell’ospitalità, dell’accoglienza fraterna e buona, che rappresenta una delle caratteristiche essenziali della vita ebraica, è nell’adempimento di questo dovere che Abramo imprime il suggello alla vita della sua famiglia e della sua discendenza.

E per contro, nella vicina Sodoma, quale stridente contrasto con la vita di Abramo! Quale corruzione e depravazione, quale misconoscenza dei più elementari doveri della vita umana, quale enorme distanza fra la concezione della vita di Abramo e quella di Sodoma! Proprio gli stessi personaggi che hanno esperimentato l’ospitalità di Abramo, che hanno riposato all’ombra delle sue tende e delle sue querce, proprio quegli stessi personaggi esperimentano ora, la violenza xenofoba degli abitanti di Sodoma.

Non è certo a caso che la Torà ha collegato con un’arte narrativa impareggiabile i due episodi che ci presentano in modo netto e preciso il divario insanabile tra questi due mondi: uno dei quali appena sorgente all’alba della vita, l’altro sull’orlo dell’abisso e della catastrofe ove viene trascinato dall’imperdonabile depravata condotta di coloro che ne sono i protagonisti. A chi bene intenda il significato profondo della semplice narrazione il quadro di questi due mondi, l’uno in rovina, l’altro in ascesa apparirà semplicemente grandioso: mentre la vita si annuncia alla soglia della tenda di Abramo, mentre una nuova vita sta per sorgere, l’ombra della distruzione si delinea nel cielo della Pentapoli: il tramonto di Sodoma sta dinanzi alla tenda di Abramo! La vita di questi due mondi è dominata dalla presenza di quegli esponenti della divina volontà che presiedono alla vita degli uomini: sono gli angioli, gli stessi angioli, gli stessi messaggeri dalla cui bocca Abramo riceve l’annuncio della continuità della stirpe, sono gli stessi angioli che portano a Sodoma la condanna della città peccatrice; è la stessa volontà di Dio che regola gli avvenimenti, anzi v’è di più: la Parashà solleva anche il velo del tragico destino di Sodoma agli occhi di Abramo, la Parashà presenta, al centro dei due episodi terreni – ad elemento coordinatore di entrambi – il colloquio tra Abramo e lo Spirito della Universale Giustizia, quel colloquio dal quale emergono i criteri che sono alla base di quella Giustizia e che rendono indifferibile la distruzione di Sodoma.

Abramo deve conoscere, deve penetrare – per quanto è possibile all’umano intendimento – nella visione della giustizia di Dio che si solleva infinitamente al di sopra di quella degli uomini. Abramo deve conoscerla, perché lui e i suoi figli dovranno un giorno percorrere le vie di questa giustizia, applicarla, seguirla, diffonderla: “e osserveranno la via del Signore operando carità e giustizia” (Gen. XVIII, 19).

Ed ecco che da questa visione, balza con evidente rilievo la funzione dell’uomo giusto, degli uomini giusti nella società; la funzione di quello ” Zaddiq ” che Abramo dovrà incarnare e perpetuare: può Sodoma salvarsi dal destino e dal decreto che ormai è sospeso e prossimo ad attuarsi? Solo i giusti possono salvare una città peccatrice, solo una piccola collettività di uomini puri, può con la sua forza, con la sua attività, col suo merito, salvare una società condannata. Il giudizio di Dio non è, dunque, il giudizio del mortale; esso abbraccia in uno sguardo universale la condotta degli uomini, ma questa condotta non è considerata sotto l’aspetto individuale, ma nei rapporti e nelle ripercussioni che ha in mezzo alla società. La funzione dell’uomo giusto è vasta e profonda, essa si estende e penetra nel complesso della società del suo tempo per vie che sono nascoste allo sguardo degli uomini, ma che si disvelano allo sguardo di Dio; se la forza o il merito degli uomini giusti sono da Dio giudicati sufficienti a rigenerare e sanare la collettività, Iddio può salvare questa collettività in vista della futura rigenerazione.

Questo deve sapere Abramo, questo deve sapere la discendenza di Abramo che avrà un destino simile a quello accennato nella visione. L’esempio di Sodoma è soltanto il quadro esemplificatore di quella giustizia Divina che Abramo deve imparare a conoscere: nel fuoco celeste che distrugge la città peccatrice, Abramo vede la conferma di quella legge di giustizia che gli è stata rivelata: egli vede inabissarsi un mondo, ma sa che un altro dovrà sorgere e sarà quello che egli è chiamato a creare.

 

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