Dimostranti premono sul confine

“Naksa” è una parola araba che potrebbe essere tradotta con “sconfitta”. Meno drammatica di “Nakba” (“catastrofe”, che nella storia araba indica la nascita dello Stato di Israele), la Naksa è la celebrazione della disfatta di Siria, Giordania ed Egitto nella Guerra dei Sei Giorni.
Domenica, sul confine israelo-siriano, si è ripetuto quel che era avvenuto il 15 maggio nel giorno della Nakba: un’invasione “pacifica” della frontiera del Golan da parte di centinaia di militanti palestinesi. Finita nel sangue come l’altra volta: il ministero della Sanità di Damasco denuncia 23 morti e 350 feriti provocati dal fuoco dei militari dell’Idf.
Gerusalemme smentisce la notizia, ma morti e feriti si trovano tutti in territorio siriano, dunque per Israele è impossibile condurre una propria indagine. Sono affidabili le cifre fornite da Damasco? E’ significativo vedere come i media siriani abbiano dato notizie sulle vittime della Naksa, ma non abbiano neppure accennato ai 35 morti (secondo fonti dell’opposizione) provocati dall’esercito siriano nella repressione delle insurrezioni interne di questo fine settimana.
La Naksa è stata un’occasione per distrarre l’opinione pubblica interna dalla rivoluzione contro Assad. Imbarcati su numerosi autobus a Damasco, centinaia di manifestanti si sono posizionati sul Golan. Siti dell’opposizione siriana riferiscono che gli attivisti siano stati pagati 1000 dollari a testa.
Altri 10mila dollari sarebbero stati promessi alle famiglie delle eventuali vittime. A Majdal Shams, circa 150 manifestanti si sono diretti al confine con il chiaro intento di passarlo. Non hanno risposto ai numerosi avvertimenti lanciati in lingua araba dai militari israeliani e sono finiti sotto il fuoco.
L’Idf assicura che i suoi uomini hanno sparato prima colpi di avvertimento, poi ad altezza gambe. Gli ufficiali registrano 12 feriti fra i manifestanti. Un secondo tentativo di infiltrazione del confine è stato condotto a Kuneitra, da un gruppo più numeroso (dai 200 ai 300) di manifestanti anche con lanci di molotov e pietre.
I manifestanti siriani e i palestinesi avrebbero inavvertitamente provocato la detonazione di alcune mine siriane. Probabilmente è anche questa la causa delle perdite. La popolazione araba e drusa che vive entro i confini israeliani del Golan si è divisa. Mentre la comunità di Majdal Shams ha appoggiato l’incursione (sono avvenute alcune sollevazioni contro la polizia, comunque disperse facilmente), altri drusi, soprattutto, hanno contestato la buona fede dei manifestanti.
“Io sono contro Assad quando usa i palestinesi” – spiegava ieri al Jerusalem Post il cameraman Tahrir Fakheraddin – “Se li ha spediti qui per far questo, sono completamente contrario. Sono favorevole al rispetto dei loro diritti, ma contro il loro uso come pedine in un gioco”.
L’Opinione 7 maggio 2011

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One Response to Le pedine palestinesi di Assad

  1. Veronica ha detto:

    Che megamarciume.

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