L’occidentale – 19-21 Settembre 2011

 

 

 

 

Il mondo arabo non si faccia abbindolare da Erdogan “l’affabulatore”

di Souad Sbai – 21 Settembre 2011

Il problema di Israele è il mondo arabo, non la Palestina

di Nino Orto – 19 Settembre 2011

Erdogan alza i toni con Israele per mettere le mani sul suo gas

di Andrea Doria – 17 Settembre 2011

Le mire sulla Primavera araba

Lo abbiamo capito chiaramente. Erdogan sta cercando di mettere la sua ipoteca sulla Primavera araba (o almeno su ciò che ne emerso e rimasto). Ma perché, si chiederanno in molti, vista la sua sovraesposizione negli ultimi giorni e soprattutto la recrudescenza dello scontro con Israele per la vicenda della Freedom Flotilla? La pretestuosità della richiesta di scuse relativamente a quell’episodio increscioso si deduce facilmente dal tempo che è passato. Un po’ troppo per chiedere ora, pena la rottura delle relazioni, delle scuse che in ogni caso non avrebbero comunque sanato una diatriba complessa, che deriva da questioni afferenti all’annosa questione palestinese.

Certo, non sfugge come usare l’argomento palestinese sia un’arma efficace per mettere mano alle difese inibitorie del mondo arabo, così scosso dai moti rivoluzionari, dalle repressioni e dall’arrivo roboante dell’estremismo di palazzo e di piazza. Ma è solo undéjà vu. Cosa vuole Erdogan? Cosa cerca in queste sue scorribande? Semplice: una volta esplosa la crisi economica, proprio in quell’Europa alla quale aveva supplicato fino a ieri di aderire, ora il suo sguardo si volge ad est, a quel mondo in cerca di una guida. L’aria da conquistatore l’ha assunta con grande disinvoltura, tanto da sembrare a proprio agio nelle vesti di “nuovo eroe” del mondo arabo, come qualcuno lo ha ribattezzato.

Ricordo sempre con una certa simpatia la teoria dei “corsi e ricorsi storici” di Vico, perché so che non sbaglia mai, nemmeno quando i tempi, come oggi, cambiano talmente tanto da rendere l’analisi più difficile. Ecco che torna – senza però l’assenso del popolo turco che è assai più moderato e lungimirante di Erdogan – quella volontà di potenza e di egemonia che pervase tutto il quadrante arabo in anni bui e che certo la storia non ha cancellato. Gli arabi non hanno dimenticato e spero non si faranno abbindolare da questo affabulatore, che ancora mette mano alla Palestina come punteruolo mediatico e popolare di piazza.

Ci tengo a sottolineare che qui siamo dinanzi a una volata tutta personale di Erdogan, che addirittura minaccia lo stop alle forniture se Cipro dovesse assumere la presidenza semestrale dell’Unione europea nel secondo semestre del 2012. Mi chiedo, ma Erdogan sa che l’Europa è ancora un continente di uomini e donne liberi? E che nessuno qui accetta o tantomeno sponsorizza i suoi diktat? La Turchia sarebbe anche pronta per entrare in Europa, ma senza Erdogan, che dietro la faccia della legalità e della tradizione, nasconde un’anima dura, che non guarda certo alla moderazione come stella polare della sua azione di governo. Lo schiaffo rifilatogli dal suo popolo in occasione della tentata riforma della costituzione in senso religioso è testimone di cosa abbia in mente da sempre. Il mondo arabo non si faccia irretire dalla dialettica libertaria ben costruita del despota turco, perché dietro di essa si cela una volontà assai diversa…

 

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Opinioni

Il problema di Israele è il mondo arabo, non la Palestina

di Nino Orto – 19 Settembre 2011

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Neo-ottomanesimo e energia

Erdogan alza i toni con Israele per mettere le mani sul suo gas

di Andrea Doria – 17 Settembre 2011

 

Si potrebbe parlare a lungo del perché la Turchia di Recep Erdogan stia portando il suo paese a diventare un avversario (alcuni già parlano di ‘nemico’) di Israele, dopo essere stato a lungo l’unico vero alleato di Gerusalemme nella regione. Certo i due Stati hanno potuto contare lungo tutta la metà del Novecento, in piena guerra fredda, sull’intermediazione, sugli sforzi diplomatici e militari, e sul potere di dissuasione degli Stati Uniti in funzione anti-sovietica.

Crollata l’Unione Sovietica, le relazioni israelo-turche sono mutate, perché in mutazione era ed è il contesto globale e con esso, quello regionale mediorientale. Le relazioni tra Turchia e Israele non hanno retto l’urto dell’arrivo di Erdogan al potere, portatore di un neache tanto velato progetto islamo-nazionalista. Tre gli eventi maggiori che hanno condizionato gli ultimi dieci anni e più di relazioni israelo turche: il ritorno del discorso religioso nell’agorà islamica (Giustizia e sviluppo, il partito di Erdogan, è un buon esempio in questo senso); la mancata adesione della Turchia all’UE; e in ultimo la presidenza Obama, la più anti-israeliana di tutte le presidenze statunitensi degli ultimi trent’anni, in un quadro ove l’America si ritrova molto indebitata, e in sostenuta perdita di potere relativo su scala globale.

Se la rottura israelo-turca non è ancora definitiva, almeno pubblicamente, ci siamo molto vicini. Il neo-ottomanesimo di Recep Erdogan – che è esattamente un islamo-nazionalismo mirante a mettere Ankara in condizione di dire la sua su una zona geopolitica e geoeconomica che va dai Balcani al Turkmenistan – spingerà la Turchia a tentare di imporre le sue politiche su tutta la regione (e l’Europa Mediterranea è avvertita). Il progetto neo-ottomano passa certo per la ‘distruzione’ delle relazioni tra Ankara e Gerusalemme, ma anche per la conquista dei cuori e delle menti arabe come testimonia il tour diplomatico di Erdogan nei paesi della sempre meno ‘primavera araba’ (meno Siria, ça va sans dire). In questo nuovo corso c’è anche spazio per la promozione di un soft power turco sulla ‘nazione’ araba – a cui i Turchi, vale la pena ripeterlo, non appartengono – e, infine, c’è anche un pò di bramosia per il controllo dei mari: il Mar Nero, il Mediterraneo Orientale (e domani forse quello Occidentale) e domani il Mar Rosso.

L’alzata di toni di Erdogan sulla questione della Freedom Flotilla ha poco a che vedere con l’empatia nei confronti delle genti musulmane della “grande galera” Gaza, peraltro condizione enfatizzata a dismisura dalla stampa araba e comunque avente a che fare più con la natura del governo della Striscia che col blocco navale imposto da Israele per ragioni di sicurezza. Non è da escludere che la Turchia voglia anche mettere in discussione la protezione navale israeliana sui suoi giacimenti di gas e petrolio individuati non lontano dalle coste israeliani, privando così Israele di status energetico e potenzialmente mettendo a repentaglio molti dei entroiti economici, come suggerisce il sito Debkafile.

Ma l’aggressività politica di Erdogan è soprattutto parte di un progetto di risveglio della potenza ottomana, che passa per il piegamento dei propri competitor nella regione. Israele ha potuto contare su un vantaggio strategico sugli altri attori della regione per molti anni, grazie al sostegno di Washington. Adesso che la Casa Bianca ha deciso di pendere dalle labbra di Erdogan, come ha ricordato Michael Ledeen durante un suo intervento alla Fondaziona Magna Carta lo scorso Giugno (gli americani sperano di ottenere il permesso di Ankara all’installazione di missili anti-balistici sul territorio orientale turco in funzione anti-iraniana), questo vantaggio di Israele è a rischio.

E poi c’è il fattore demografico. Number matters. La popolazione turca è dieci volte tanto quella israeliana; la Turchia sta vivendo il suo miracolo economico ed è poco indebitata. C’è da aspettarsi che Ankara possa investire sempre di più in difesa e aumentare il proprio potere relativo nella regione. Israele si rassegni: scuse o meno sulla Flotilla, questa Turchia non sarà ammansibile.

 

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