(Da: Jerusalem Post, 19.4.12 – israele.net,23-04-2012 )
Nella foto in alto: Reuven Hammer, autore di questo articolo.

Di Reuven Hammer.

In Israele ci troviamo ora nel breve periodo che trascorre fra Yom HaShoà, la Giornata della memoria della Shoà, e Yom Ha’atzmaut, la Giornata dell’Indipendenza: un lasso di tempo in cui passiamo in pochi giorni dalla commemorazione della peggiore catastrofe negli annali della storia ebraica alla celebrazione del più gioioso evento che sia accaduto agli ebrei negli ultimi duemila anni. Non solo queste due giornate cadono molto vicine fra loro, ma gli eventi che esse rievocano sono effettivamente avvenuti in rapida successione l’uno dopo l’altro. Suona quasi come l’adempimento della prescrizione rabbinica circa l’Haggadà di Pessach (la narrazione della Pasqua ebraica) in cui ci viene detto di iniziare con il racconto della nostra degradazione (nella schiavitù) per concludere glorificando la nostra salvezza (l’esodo). Tuttavia bisogna stare attenti a come si considera questa connessione, per non cadere nel facile errore di vedere i due eventi come correlati tra loro in un rapporto di causa/effetto. Ho sentito persino alcuni religiosi arrivare ad affermare che la Shoà sarebbe stata necessaria per portare alla creazione dello Stato d’Israele, come se tutto questo potesse far parte di un disegno divino – il Cielo li perdoni! Altri dicono che senza la Shoà non vi sarebbe stato Israele o che Israele costituirebbe una sorta di “risarcimento” per la Shoà. Bisogna invece affermare con grande chiarezza che non vi può essere alcun risarcimento per un evento orribile come la Shoà e che non è questo il senso di Israele. Al massimo si può dire che, senza la creazione dello Stato d’Israele, è difficile immaginare come il popolo ebraico si sarebbe potuto riprendere dopo la Shoà. Per dirla con le parole di Abraham Joshua Heschel, “Israele ci permette di sopportare lo strazio di Auschwitz senza cadere nella disperazione totale, di percepire un raggio dello splendore divino nella giungla della Storia”. Troppo spesso sentiamo i nemici di Israele affermare che Israele sarebbe stato creato per via della Shoà e che non è giusto che gli arabi abbiano a patire per ciò che gli europei hanno fatto agli ebrei. Purtroppo capita di frequente che anche dei politici israeliani avallino questo concetto evocando la Shoà come se essa fosse la ragione dell’esistenza di Israele. In tutti e due i casi ciò che si dimentica è che l’ideale sionista non è nato con la Shoà. È nato con la storia stessa di Abramo ed è poi continuato attraverso tutta la storia ebraica. L’antisemitismo ha rappresentato una parte, e solo una parte, delle motivazioni per il ritorno a Sion. Molti ideologi sionisti (ben prima della Shoà) videro nel sionismo un mezzo per dare nuova vita all’ebraismo sia come religione, sia come civiltà. E certamente i sionisti religiosi percepirono il sionismo come compimento della fede ebraica. Non basta. Diversi storici affermano che lo Stato sarebbe venuto alla luce persino più rapidamente se non ci fosse stata la Shoà, giacché le comunità che vennero annientate nello sterminio nazista erano proprio quelle dalle cui fila arrivavano i primi pionieri sionisti: ma quel flusso fu brutalmente interrotto quando le comunità scomparvero e la loro popolazione venne decimata. La celebrazione della Giornata dell’Indipendenza deve focalizzarsi sullo scopo centrale della creazione dello Stato d’Israele: garantire non solo un rifugio, ma un luogo – l’unico al mondo – dove gli ebrei possono vivere nella libertà come maggioranza, dove l’ebraismo e la grande cultura del popolo ebraico possono essere alla base della vita quotidiana, e dove quella cultura può rifiorire liberamente. Un ideale perfettamente espresso dalle antiche parole del profeta Zaccaria: “Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti” (4:6). Parole proferite al tempo del primo ritorno a Sion dopo l’esilio babilonese, ma che si possono ben applicare a questo secondo ritorno. Abbiamo bisogno di forza e potenza a causa di coloro che vorrebbero distruggerci, ma è lo spirito – le grandi intuizioni etiche e religiose della nostra tradizione – ciò a cui aspiriamo e che deve emergere dall’impresa sionista, se vogliamo che la sua promessa si compia.

 

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