Testata: Il Foglio Data: 14 giugno 2012 Pagina: 3 Autore: Carlo Panella Titolo: «Ecco perché i generali d’Israele sono in conflitto con Netanyahu». //*IC*

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/06/2012, a pag. 3, l’articolo di Carlo Panella dal titolo “Ecco perché i generali d’Israele sono in conflitto con Netanyahu”.

A sinistra, uno dei ‘passeggeri’ della Mavi Marmara.

Sullo stesso argomento, l’articolo di Giordano Stabile sulla Stampa (pag. 18)che non riportiamo. Segnaliamo, però, il fatto che Stabile si riferisca ai nove terroristi armati a bordo della Mavi Marmara come a dei semplici ‘passeggeri turchi’. Lindenstrauss ha scritto ““Vi furono errori essenziali e significativi nel processo decisionale circa la gestione della flottiglia, processo che fu guidato dal primo ministro e sotto la sua responsabilità. Il processo decisionale avvenne senza coordinamento, preparazione o documentazione, malgrado i vertici delle Forze armate e dell’intelligence avessero indicato la diversa natura della flottiglia turca rispetto alle precedenti flottiglie” Così come riportato nel pezzo di Panella, fra virgolette. Ma la Mavi Marmara è stata la prima ‘flotilla’ ad aver tentato di forzare il blocco navale di Gaza. Non si capisce quindi a quali precedenti ‘flotille’ si riferisca Lindenstrauss. Ecco il pezzo di Carlo Panella:

Carlo Panella           Bibi Netanyahu             Micha Lindenstrauss

Roma. Il rapporto del controllore dello stato di Israele Micha Lindenstrauss sulla vicenda della Freedom Flotilla del 31 maggio 2010 contiene accuse pesanti contro il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, che influiranno sul quadro politico interno e sul rapporto tra governo e vertici militari. Questa analisi impietosa segna uno dei punti più alti di attrito tra generali e governo di Israele, non soltanto su quanto avvenne al largo di Gaza – quando sulla nave Mavi Marmara partita dalla Turchia, un blitz delle forze speciali israeliane causò nove morti – ma anche sulla gestione del dossier sull’eventuale strike militare contro gli impianti nucleari dell’Iran. Il punto di straordinario rilievo politico è che il giudice Lindenstrauss, che gode in Israele di meritata fama di imparzialità, legittima in pieno le dure critiche dei vertici militari a Netanyahu e smentisce la sua versione dei fatti: “Vi furono errori essenziali e significativi nel processo decisionale circa la gestione della flottiglia, processo che fu guidato dal primo ministro e sotto la sua responsabilità. Il processo decisionale avvenne senza coordinamento, preparazione o documentazione, malgrado i vertici delle Forze armate e dell’intelligence avessero indicato la diversa natura della flottiglia turca rispetto alle precedenti flottiglie”. Il rapporto di 153 pagine rileva che il premier israeliano non riunì il gabinetto, limitandosi a colloqui personali e separati (peraltro “non documentati”) con il titolare della Difesa, Ehud Barak, e quello degli Esteri, Avigdor Lieberman. Il rapporto Lindenstrauss accusa Netanyahu di avere sostenuto il falso, avendo più volte affermato di non essere stato informato sui rischi derivanti da un raid contro la Mavi Marmara. Nel report sono enumerati i diversi allarmi lanciati dai militari israeliani, a partire dall’allora capo di stato maggiore Gaby Ashkenazi, sulla possibile risposta violenta dei passeggeri della Freedom Flotilla: un fatto che Netanyahu ha sempre negato. A due anni da quel blitz, il report di Lindenstrauss ricostruisce le motivazioni politiche che spinsero Bibi Netanyahu a presentarsi impreparato all’arrivo della Freedom Flotilla al largo di Gaza: era convinto che il premier turco, Recep Tayyp Erdogan, avrebbe bloccato l’avventura della Mavi Marmara, come si era impegnato a fare in molteplici messaggi personali. Fu un grave errore di valutazione da parte di Netanyahu, che non colse i segnali della maturazione da parte di Erdogan di un radicale “riposizionamento” della Turchia nei confronti dell’ormai ex alleato. La pluridecennale e stretta alleanza tra la Turchia e Israele che il governo dell’Akp aveva garantito dal 2002 si era già incrinata nel 2006 di fronte all’operazione “Piombo Fuso”, a Gaza, e nel 2010 fu messa in crisi da un cambiamento di strategia di un Erdogan ormai deciso a sostituire in prima persona la declinante leadership egiziana nel mondo arabo. Il progetto poi si è dispiegato con forza (e con discreti successi), ma ebbe il suo “punto di rottura” proprio nella avventuristica decisione del premier turco di creare un “casus belli” con la Freedom Flotilla. Da allora Netanyahu ha navigato a vista nei confronti della Turchia, con una progressivo deterioramento dei rapporti (fine delle manovre militari congiunte, ritiro delle delegazioni diplomatiche), culminato nel novembre del 2011 con la gaffe sulla stipula di un accordo di chiusura dell’incidente della Freedom Flotilla, concordato tra i due governi, ma non siglato all’ultimo momento da Netanyahu, che preferì allargare il fossato con Ankara, piuttosto che affrontare la crisi di governo minacciata dal ministro degli Esteri Lieberman, contrario all’accordo. La fine della garanzia fornita a Israele dall’alleanza con la Turchia e il modo confuso con cui è stato gestito questo passaggio – pur dando per scontate le responsabilità preminenti di Erdogan, sempre più portato a darsi una caratterizzazione islamica – non è l’ultimo elemento che spiega l’opposizione di parte dei vertici militari di Israele, non tanto a uno strike contro l’Iran, quanto a una rapida e imminente decisione al riguardo. E’ ovviamente impossibile comprendere quali siano i rapporti di forza nei vertici dell’Idf e dei servizi israeliani, tra falchi e colombe, riguardo all’Iran. E’ però noto che le colombe sono guidate proprio dal grande accusatore di Netanyahu sul caso della Mavi Marmara, il generale Gabi Ashkenazi, e dagli ex capi dei servizi Yuval Diskin e Meir Dagan. Pochi giorni prima del blitz, Ashkenazi era stato inaspettatamente sostituito per evidenti conflitti politici col governo Netanyahu. La legittimazione che ora Ashkenazi ottiene col rapporto Lindenstrauss e la conseguente delegittimazione di Netanyahu avranno probabilmente l’effetto di legare le mani all’esecutivo sul dossier iraniano e di dare al vertice militare dell’Idf un ancora maggiore e forse decisivo potere di decisione sullo strike. Questa posizione è ben rappresentata dal successore di Ashkenazi, il generale Benny Gantz, che garantisce la più attenta preparazione militare di Israele per un eventuale strike, ma che esprime valutazioni dubitative, allo stato, sulle reali intenzioni dell’Iran: “L’opzione militare viene per ultima, ma è la prima in termini di credibilità e noi ci stiamo preparando in modo credibile; è però certo che la pressione internazionale su Teheran sta dando i suoi frutti”. Quest’analisi è stata da lui approfondita il 6 giugno di fronte alla commissione Esteri della Knesset: “Il 2012 è un anno critico circa la decisione dell’Iran di dotarsi o no di una bomba atomica, ma non necessariamente è un anno senza ritorno; il punto è che non siamo costretti a considerare il 31 dicembre 2012 una data limite. L’Iran non ha ancora deciso di produrre armi nucleari. Però si sentono troppi discorsi pubblici sull’Iran, dicerie esagerate. Dal punto di vista sostanziale, a oggi, è impossibile sapere a cosa stia mirando l’Iran, se stia o no pianificando un attacco”.

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