(Da: Jerusalem Post, 3.6.12-israele.net,05-07-2012 )

 

Nelle foto a sinistra: nei dintorni di Ramallah, ville della élite palestinese arricchita con gli aiuti internazionali.

Di Barry Rubin.

Dice il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad che il suo governo è a corto di fondi. Nel frattempo un lettore mi chiede: “Può spiegarmi per favore come mai, vent’anni dopo Oslo e dopo miliardi di dollari in aiuti, l’Autorità Palestinese non ha ancora costruito dei moderni ospedali? Meglio ancora, come mai i paesi donatori continuano a riversare soldi all’Autorità Palestinese senza aspettarsi nemmeno qualche risultato che salvi la faccia?” Bella domanda. E breve risposta: conti bancari in Svizzera. In altre parole, un’enorme quantità di denaro è stata semplicemente rubata. Non c’è niente di più disgustoso del vedere i governanti di un popolo, specie di un popolo povero, che si lamentano delle sofferenze patite dalla loro gente e allo stesso tempo se ne approfittano. Naturalmente, quando qualche osservatore straniero vede le povere condizioni dei palestinesi ne dà la colpa a Israele, e in questo modo non fa che favorire ancor di più la causa di quegli stessi dirigenti che, con le loro politiche intransigenti, si garantiscono che la situazione attuale si protragga all’infinito. La ricchezza personale del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) viene stimata intorno ai 100 milioni di dollari. Vi si aggiungano altri milioni di dollari per un grande numero di alti funzionati dell’Autorità Palestinese e di Fatah, e ci si può fare un’idea. Ho visto le ville dei capi dell’Olp a Tunisi e dei dirigenti dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Ho seguito nei dettagli la saga non solo dei beni accumulati da Yasser Arafat, ma anche di come utilizzò la corruzione per esercitare il suo controllo politico (Barry M. Rubin, Judith Colp Rubin, “Yasir Arafat: A Political Biography”, trad. it. “Arafat: l’uomo che non volle la pace, Mondadori, 2005). E sono per lo più i suoi eredi che continuano a gestire il movimento palestinese. È facile scordare che l’Autorità Palestinese esiste ormai da diciotto anni e che da circa sedici anni governa su praticamente tutti i palestinesi. Si tratta di un bel po’ di tempo. E per quanto si possa accusare Israele di molestare la vita dei palestinesi con i suoi posti di blocco, la parte che Israele gioca in tutto questo è ormai molto limitata. In realtà le azioni di Israele che ostacolano l’economia dell’Autorità Palestinese nascono sempre come risposta diretta ad attentati terroristici, sconti violenti o atti di guerra aperta avviati dalla parte araba. L’Autorità Palestinese ha ricevuto più aiuti in denaro pro capite di chiunque altro nella storia. Eppure i risultati rimangono straordinariamente insignificanti. I suoi capi hanno saccheggiato il denaro e l’hanno usato per elargire ricompense politiche allo scopo di comprarsi clientele. Intendo, ad esempio, rimunerare le forze di sicurezza proporzionalmente enormi che proteggono l’Autorità Palestinese e che garantiscono posti di lavoro ai suoi sostenitori e molti benefit ai suoi supporter politici. Si noti che negli ultimi anni gli aiuti finanziari sono andati per lo più alla sola Cisgiordania, sebbene in parte vengano usati dall’Autorità Palestinese per pagare i suoi dipendenti nella striscia di Gaza governata da Hamas allo scopo di mantenerli fedeli, anche se si tratta di gente che se ne sta semplicemente a casa. Di fatto, quindi, mentre il livello degli aiuti è rimasto costante, il numero di persone assistite si è generalmente ridotto della metà. Ciononostante l’Autorità Palestinese non riesce a creare posti di lavoro per la maggior parte della sua popolazione, né a edificare buone istituzioni. Aumentano gli appartamenti di lusso, ma non si vedono ospedali, scuole, né miglioramenti delle infrastrutture. Anche se l’economia dell’Autorità Palestinese va bene – come potrebbe non farlo, data la marea di aiuti che riceve? – il regime non riesce nemmeno a far rispettare la sua legge che proibisce ai palestinesi di lavorare negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Lo fanno a migliaia. Il primo ministro Salam Fayyad è rispettato in occidente come persona moderata, competente e relativamente onesta, che cerca di arginare le ruberie. In termini politici, però, è del tutto privo di potere. I capi di Fatah cercano incessantemente di sbarazzarsi di lui per poter avere di nuovo accesso illimitato al bottino, ed anche Hamas lo vorrebbe cacciare. Solo la volontà dei donatori finanziari occidentali mantiene Fayyad in carica. Ma fino a quando potrà durare? Perché il mondo non presta attenzione al furto massivo, all’inefficienza, alla malversazione? Semplice. I soldi non vengono donati per favorire lo sviluppo, ma per scopi politici: per tenere in piedi l’Autorità Palestinese e garantirsi che Hamas non prenda il controllo anche in Cisgiordania. Ecco perché il presidente Barack Obama, con l’accordo del governo israeliano, ha appena scavalcato il Congresso per sbloccare ancora più aiuti per l’Autorità Palestinese. E non obietta al fatto che l’Autorità Palestinese usi quel denaro per pagare i suoi ex burocrati nella striscia di Gaza, avvantaggiando indirettamente anche Hamas. Dare soldi all’Autorità Palestinese dovrebbe presumibilmente sostenere la causa della pace, e dunque in occidente viene considerata cosa sacrosanta anche se l’Autorità Palestinese non sta affatto negoziando per la pace. Dal cinico punto di vista dei leader occidentali, si può dire che per lo meno quei fondi servono a mantenere le cose relativamente tranquille rispetto alle tante altre questioni problematiche che affliggono la regione. E così si preferisce trascurare l’accordo di partnership fra Autorità Palestinese e Hamas – che in ogni caso non funziona granché bene – e si rimane passivi fino alla fine circa la violazione che l’Autorità Palestinese fa del propri stessi impegni quando cerca di ottenere alle Nazioni Unite un’indipendenza unilaterale (senza negoziato né accordo con Israele). Mass-media e università, sotto l’egemonia dei “pacifisti”, non amano Israele e in generale si rifiutano di criticare l’Autorità Palestinese perché essa viene rappresentata come la vittima “moderata” e “desiderosa di pace”. I palestinesi dopotutto vengono percepiti come i non-cristiani, i non-occidentali e insomma – nella stravagante caricatura della realtà oggi tanto diffusa – come i “non-bianchi”. E così il contribuente occidentale devolve denari, i dirigenti dell’Autorità Palestinese rapinano i denari o li usano per i loro scopi politico-clientelari, e il palestinese della strada patisce più per questa situazione che non per la famigerata “occupazione israeliana”, in gran parte da tempo estinta. Se, come sembra, Fatah riuscirà infine a strappare il controllo sui soldi dalle mani di Fayyad, il cui grande peccato è quello di gestirli con serietà, allora la situazione potrà solo peggiorare.

 

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