Testata: Corriere della Sera Data: 10 settembre 2012 Pagina: 17 Autore: Cecilia Zecchinelli Titolo: «Israele, il giornale dei laici in mano ai religiosi».

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/09/2012, a pag. 17, l’articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo “Israele, il giornale dei laici in mano ai religiosi”.

Una prima pagina di Maariv, Haaretz, Yediot Aharonot

Shlomo Ben-Zvi, nuovo proprietario di Maariv

In Israele la crisi dei giornali stampati è comune a quella di tutto il mondo occidentale. Un aspetto tutto israeliano, però, è lo straordinario successo di Israel Hayom, diffuso gratuitamente in tutte le città israeliane. E’ un giornale diverso dalle free press occidentali, che si sono rivelate un esperimento fallito per via della scarsa qualità dei contenuti. Israel Hayom, invece, ha un’informazione ricca anche di contenuti. Ci scrivono analisti politici famosi di provenienza bipartisan, anche se, va detto, il quotidiano è vicino a Bibi Netanyahu. Haaretz ha chiuso il supplemento politico settimanale ‘HaShavua’ questa settimana. Yedioth Aharonot è in calo di tiratura pur mantenendosi il più diffuso tra i quotidiani in vendita. Di Maariv si aspettava la chiusura visto il crollo pressochè totale delle vendite. La nuova proprietà lo porterà su posizioni vicine ai religiosi, anche se non ultraortodossi. La verità è che gli israeliani si sono stufati dell’indottrinamento arrogante della sinistra. Questo spiega le batoste elettorali e, oggi, il calo delle vendite dei giornali, i tre che abbiamo citato, tutti con la stessa linea anti governativa. Il titolo dell’articolo è riduttivo. Il vero problema della stampa israeliana è quello che abbiamo descritto. Ecco il pezzo:

GERUSALEMME — La crisi della carta stampata, dei media tradizionali non risparmia Israele. E a farne le spese è ora il quotidiano di centro Maariv, che in ebraico significa «sera» — pur uscendo ormai da decenni al mattino —, un’icona apprezzata o criticata, ma comunque rispettata come parte della storia di questo Paese. Fondato nel 1948, come lo Stato ebraico, è stato travolto dai debiti e dal calo di lettori, complici la stampa gratuita e la concorrenza di Internet. Uno scenario già visto in tutto il mondo. Maariv non chiuderà, ma passerà per l’equivalente di 21 milioni di dollari a un nuovo proprietario: il «falco» miliardario Shlomo Ben-Zvi, che già controlla il piccolo tabloid Makor Rishon («fonte primaria»), d’orientamento religioso e decisamente a destra, a destra cioè del partito Likud, prodotto in economia ma apprezzato soprattutto dai lettori meno sofisticati, in gran parte coloni. La crisi di Maariv non è recente, né questo è il primo cambio di proprietà negli ultimi anni. Quotidiano più letto in Israele fino alla fine degli anni 70, le vendite poi erano calate e la concorrenza aumentata. A lungo aveva conteso il primo posto con Yedioth Aharonot («ultime notizie», pure di centro), perdendo infine la gara; entrambi però avevano fortemente subito l’arrivo nel 2007 di un giornale gratuito, Israel Hayom («Israele oggi») diventato in breve il quotidiano più diffuso grazie ai potenti mezzi del suo proprietario, un altro miliardario con la passione della stampa, ovvero l’americano-israeliano Sheldon Adelson, molto vicino al governo. Al di là delle classifiche e delle preoccupazioni per gli oltre 2 mila dipendenti di Maariv (se andrà bene solo un quarto conserverà il posto), la notizia della cessione del «venerabile» quotidiano, come qualcuno qui lo definisce, fa discutere per le possibili conseguenze politiche. «Già Israel Hayom è il giornale di Netanyahu, ora temiamo che anche Maariv si sposti a destra, sulle posizioni del governo», dice al Corriere Roni Shaked, giornalista di Yedioth Aharonot. «Maariv è un rivale del quotidiano in cui lavoro ma non posso certo essere soddisfatto per quanto sta accadendo. L’importante per me e il Paese è che ci siano molte voci critiche, o a farne le spese sarà la democrazia. Ho invece paura che da domani il pluralismo della stampa verrà fortemente ridotto». Su Internet, come negli altri Paesi, i siti di notizie coprono l’intero arco politico ma, aggiunge Shaked, «per quanto in crisi, i giornali di carta sono quelli che contano e formano l’opinione pubblica, alimentano il dibattito. Chi legge un sito di solito non ne guarda altri, è chiuso nel suo mondo, i quotidiani “veri” sono una ricchezza nazionale». Ben-Zvi, nato a Londra 47 anni fa, un passato di studi religiosi e militari e un presente da colono (abita nell’insediamento di Efram), non ha scoperto le carte. Non si sa quali sinergie attuerà tra il quotidiano acquistato e il suo tabloid, nemmeno se li fonderà in un solo giornale, né soprattutto come si muoverà politicamente. Qualcuno ricorda che, pochi giorni prima dell’annuncio della vendita, Maariv aveva ventilato l’abbandono della carta per passare alla sola edizione online, cosa che non dovrebbe più succedere e questo è positivo. Ma come titolava ieri Haaretz («Il Paese», di sinistra), «questa operazione potrebbe scuotere l’intero mondo editoriale d’Israele e avere un forte impatto sui suoi equilibri politici».

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