Testata: Informazione Corretta
Data: 02 febbraio 2013
Autore: Giovanni Quer

La storia falsata e i dirit.ti rimestati:
il rapporto della Commissione ONU sugli insediamenti israeliani nella West Bank

Questa settimana è stato presentato il primo rapporto della Commissione di Inchiesta sugli Insediamenti israeliani nella West

Bank, nominata il 22 marzo 2012 dal Consiglio dei Diritti Umani con il mandato di stabilire l’impatto sociale, giuridico ed economico degli insediamenti sulla popolazione palestinese.
La decisione del governo israeliano di non collaborare con la Commissione rimane politicamente discutibile, ma i risultati del rapporto dimostrano in questo modo che i risultati della Commissione soffrono di un pregiudizio storico, politico e sociale anti-israeliano. Infatti, pur non avendo avuto accesso ai “Territori”, e pur non avendo confrontato i dati raccolti con fonti israeliane governative, la Commissione ha riscontrato una serie di violazioni dei diritti umani dei palestinesi a causa dell’esistenza degli insediamenti.

Dal problema della ricostruzione storica, lacunosa e parziale, seguono i problemi di interpretazione dei diritti umani.

Storia o narrativa?

Il problema principale consiste nel quadro storico, che non tiene conto dell’evidenza dei fatti, ma di una ricostruzione storica vista con le lenti della narrativa anti-israeliana.

Nella sequenza degli eventi, si cita il “Libro Bianco” del 1939 laddove prevedeva una riduzione dell’immigrazione ebraica “finché non fosse stata assorbita o accettata dagli arabi” e la limitazione dei territori destinati alla nascita di insediamenti ebraici “solo in parte e non in tutta la Palestina”.
Il “Libro Bianco”, per la prima volta, è citato come se avesse uno status giuridico, senza tener conto della sua valenza storica e politica, in quanto fu adottato nel periodo più buio delle persecuzioni anti-ebraiche in Europa con il solo scopo di far cessare le violenze arabe contro gli ebrei.

Il rapporto non considera poi che nel territorio oggi definito West Bank vi erano insediamenti ebraici prima del 1948-1949, e che la stessa denominazione “West Bank” fu introdotta dai giordani dopo l’occupazione dell’are conseguente alla Guerra 1948-1949. Pertanto, il trasferimento di popolazione ebraica nei “territori occupati” spesso è stato un ritorno ai luoghi da cui gli ebrei furono cacciati e in cui avevano legalmente costituito delle comunità secondo le aree destinate alla colonizzazione ebraica durante il Mandato Britannico.

In particolare non è condivisibile che Gerusalemme Est sia considerata parte dei “Territori Occupati di Palestina”, quando secondo gli accordi internazionali che si pensano ancora applicabili, Gerusalemme dovrebbe avere uno status internazionale. Si rileva quindi una contraddizione nel giudizio di illegalità dell’ “occupazione” israeliana secondo accordi che non vengono egualmente applicati alla parte palestinese, che considera Gerusalemme Est futura capitale dello Stato di Palestina.

Infine, il rapporto non spiega apertamente che la suddivisione della Cisgiordania in aree A, B e C è stata concordata negli Accordi di Oslo. La rimozione del contesto fa credere che questa suddivisione amministrativa sia stata imposta in un qualche modo da Israele. Egualmente, si ritengono inviolabili i “confini del 1949”, che sono solo delle linee armistiziali, che secondo gli accordi ad oggi applicabili devono esser oggetto di negoziazione per la decisione sui confini stabili e difendibili. A questo proposito è da notare anche che il par. 38 riconosce ai palestinesi il diritto di autodeterminazione e la libertà nel suo esercizio, quando invece il principio accettato nella risoluzione delle controversie territoriali è quello del negoziato.

Diritto o racconto?

Richard Falck, professione odiatore

Il secondo problema fondamentale consiste nella presunta applicazione del diritto internazionale, compresi il corpus di norme che tutelano i diritti umani e il corpus di norme applicabili ai contesti di conflitto armato e occupazione militare. Anzitutto il Consiglio dei Diritti Umani ha un mandato limitato all’applicazione del diritto internazionale dei diritti umani e non del diritto umanitario. Di poi, il rapporto raramente fa riferimento ai testi del diritto internazionale esponendo più che altro casi e presunte modalità di comportamento da parte delle autorità israeliane.

Per quanto attiene alla discriminazione dei palestinesi, il rapporto denuncia un sistema di segregazione che consiste nell’applicazione di corpus di norme diversi agli israeliani (diritto civile e penale) e ai palestinesi (diritto militare) residenti nei territori della West Bank. Ogni stato applica il proprio diritto ai cittadini e un corpus di norme più ristretto ai non-cittadini. Inoltre, ai palestinesi impiegati negli insediamenti sono applicate le stesse norme previste per i cittadini israeliani in materia di diritto del lavoro, come stabilito dalla Corte Suprema nel 2007, che ha esteso la stesso tutela prevista per i cittadini israeliani ai palestinesi dei territori. I palestinesi hanno poi accesso alle corti israeliane per svariate questioni, come testimoniano le numerose cause che vertono sulle dispute di proprietà tra arabi ed ebrei.

La trattazione delle violenze sui palestinesi da parte dei “coloni israeliani” non è adeguatamente trattata per tre motivi: anzitutto non si danno dati certi sul numero di violenze e quanti sono gli israeliani coinvolti; in secondo luogo non si analizza il reale impatto di queste violenze sui palestinesi, poiché non si quantifica la loro frequenza; infine, le fonti citate sono a dir poco inattendibili: si fa affidamento a uno studio dell’Università di An-Najah, che è stata definita “la serra dove crescono i martiri di Hamas”, in quanto luogo di reclutamento degli shahid che si arruolano tra le fila delle milizie jihadiste. Il rapporto analizza poi le violazioni ai diritti religiosi. Senza far riferimento al diritto vero e proprio si citano esempi di odio e intolleranza, come i graffiti ingiuriosi su moschee e chiese. Ancora non sono stati quantificati né frequenza né gravità, costituendo quindi degli episodi di intolleranza e non delle violazioni dei diritti religiosi.

Colpiscono però due osservazioni, che nulla hanno di giuridico.
La prima riguarda la costituzione di una comunità ebraica nel cuore delle comunità musulmane di Gerusalemme e Hebron (par. 58): questa posizione è una semplice delegittimazione dell’ebraicità delle due città centrali all’identità ebraica–Gerusalemme, è peraltro a maggioranza ebraica da almeno due secoli.
La seconda riguarda i lavori archeologici nei tunnel tra la città vecchia e il quartiere di Silwan. Anzitutto non si tiene conto del fatto che Silwan era un quartiere ebraico fino al 1949, da cui gli ebrei furono cacciati per l’occupazione giordana, di poi si denunciano i lavori archeologici per il loro intento di “sottolineare la loro valenza culturale ebraica sottovalutando o ignorando il ricco apporto di altre culture che per millenni hanno contribuito alla storia della città” (par. 59).

Il documento continua denunciando la situazione dei beduini tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim, che rischiano il trasferimento in altre zone per il piano E1.
Le parole spese per la descrizione della vita dei beduini, che manca delle minime condizioni accettabili di vita (par. 65 e 66), lasciano intendere che sia l’occupazione a fa  vivere i beduini senza acqua corrente, senza fognature e senza elettricità (non sempre), mentre non si affronta il reale problema, che è lo stile di vita semi-nomade dei beduini, che non vogliono stanziarsi preferendo vivere in caravan e tende per rispettare un sistema di vita tradizionale.

La parzialità è ancora evidente nella descrizione delle manifestazioni contro l’occupazione, che sono ritenute “non-violente”, mentre è noto ai più che sfociano sempre in sassaiole e attacchi ai soldati.

La restrizione alla libertà di espressione è riscontrata dalla commissione anche nel presunto discredito dei politici, degli accademici e dei etani dell’esercito israeliani che si battono contro l’occupazione. Quanto di più lontano dalla realtà israeliana, dove il dibattito su ogni aspetto della politica compresa la questione degli insediamenti è estremamente acceso, e vede anzi allineati gli intellettuali più in vista nelle posizioni contro la presenza israeliana in Giudea e Samaria.

L’analisi dei diritti economici dei palestinesi contiene una formulazione oscura, dalla cui interpretazione diretta consegue un’accusa a Israele per la povertà dei mezzi di coltivazione palestinese, “mentre le comunità agricole israeliane del Mar Morto impiegano mezzi ad alta tecnologia che aumentano la produttività”. Investire in tecnologia non è una violazione di nessun diritto di un popolo con cui si è in conflitto.

Il diritto internazionale del boicottaggio e della delegittimazione

Nonostante la Commissione dichiari di aver tenuto in adeguata considerazione i diritti degli israeliani che vivono negli insediamenti, non si fa alcun riferimento alla violenza palestinese sugli abitanti israeliani, che non è politicamente motivata, ma ingenerata da un odio razziale e religioso. Le raccomandazioni finali invitano le aziende che hanno rapporti commerciali con partner israeliani stabiliti nei territori ad assicurarsi che i partner commerciali negli insediamenti rispettino i diritti umani. Senza far chiaro e diretto riferimento al boicottaggio, la formulazione elegante esprime in realtà la posizione della rete di ONG che promuove il BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) contro i prodotti, le istituzioni e i cittadini israeliani.

Infine, il documento della Commissione non ricostruisce dei fatti, bensì sposa una narrativa. Tale è infatti la posizione sulle città di Gerusalemme e Hebron, che senza direttamente utilizzare la parola, rispecchiano la denuncia di “giudaizzazione” formulata dai movimenti anti-sionisti.
Il valore politico si questo documento è secondario, sia per quanto sta accadendo nel mondo, sia perché un probabile uso delle conclusioni della Commissione presso la Corte Penale Internazionale appare improbabile.

In passato i palestinesi hanno già tentato di denunciare gli insediamenti israeliani come crimini contro l’umanità, senza particolare seguito nella comunità accademica e dei pratici del diritto. Rimane comunque significativo che in un periodo in cui si acuiscono le violazioni dei diritti umani nella maggior parte degli stati del pianeta, si scelga di istituire una Commissione per 150,000 persone, ossia la popolazione palestinese sulla quale gli insediamenti israeliani avrebbero un impatto grave e consistente.

Le politiche governative adottate da certi stati per la sistematica violazione dei diritti delle donne, delle minoranze etniche, linguistiche, religiose e sessuali, la diffusa violenza tollerata se non appoggiata dai governi contro le stesse minoranze non è ragione sufficiente per istituire una Commissione di Inchiesta all’ONU, ma se si costruisce un parco giochi nel mezzo delle colline della Giudea, allora si mobilitano le organizzazioni, si scende nelle piazze, e si argomentano sofisticate quanto incomprensibili formulazioni giuridiche, sociali e politiche.

 

One Response to La storia falsata e i diritti rimestati:il rapporto della Commissione ONU sugli insediamenti israeliani nella West Bank.

  1. Quali criteri (progetto di architettura e di piano) seguite nella pianificazione urbana, in particolare quali criteri distributivi nell’ abitazione, in Israele ?

    Fatemi sapere qualcosa. Vi ringrazio con uno
    Shalom,

    nicola

    http://www.lapiazza-oce.org

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