mao266Testata: Informazione Corretta
Data: 10 febbraio 2013
Autore: Ugo Volli.
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
 ogni tanto fermarsi  a contare fino a dieci aiuta anche in politica internazionale. Tiriamo dunque un bel respiro, prendiamoci una pausa  e pensiamo a quel che accade sul versante sud del Mediterraneo, su cui si affaccia la nostra bella penisola – e dintorni. Se leggiamo i giornali e sentiamo i politici, ci ripetono la solita vecchia favola. C’erano fra i popoli del Terzo Mondo, felici e incorrotti, anche gli arabi poi sono venuti i cattivi imperialisti che li hanno sfruttati e maltrattati. Gli ultimi imperialisti sono gli ebrei, che hanno fondato Israele col pretesto della Shoah. In quelle terre si combatte una lotta di liberazione, che sta finalmente dando a tutti l’autogoverno e la democrazia. Basterebbe che i cattivi israeliani smettessero di occupare i poveri palestinesi e tutto si risolverebbe.
Sicuro?
L’Egitto divenne una repubblica con un colpo di stato di Nasser nel 1952, sessantun anni fa. La Siria è indipendente dal 1 gennaio 1946, sessantasette anni fa. La Libia dal 24 dicembre del ’51;  la Tunisia dal 20 marzo del ’56. I regimi si sono succeduti, i colpi di stato e le rivolte non sono mancate.
Perché questi paesi non trovano pace? Qualcuno (Francesca Paci sulla Stampa) ha scritto che la Primavera araba ha bisogno di tempo, paragonandola alla rivoluzione francese e a quella inglese del Seicento, che secondo lei avrebbero avuto bisogno di alcuni decenni per arrivare all’equilibrio.
Siamo sicuri?
Il fatto è che le lotte intestine che stanno continuando a provocare morti a decine di migliaia in Siria, ma a centinaia anche in Egitto, in Libia, in Tunisia, non sono affatto un caso isolato. Non parlo solo del terrorismo in Iraq, delle disfide interne che continuano in Iran, nella guerra fra Curdi e Turchia, dello Yemen, del Bahrein, dei conflitti tutto intorno al mondo islamico, in Cecenia, Azerbaigian, Turkmenistan cinese, Kashmir indiano, in Afganistan, in Nigeria e in mille altri posti fra cui naturalmente Israele.
Se uno guarda alla storia islamica, fin dalla vita di Maometto e subito dopo la sua morte con gli imam, morti per lo più ammazzati fra loro, con la sanguinosa serie di successioni omayadi e abbassadi, giù giù fino a oggi, tutta la storia dell’Islam è una serie interminabile di congiure, guerre civili, lotte per il potere, quasi senza meccanismi legittimi di accesso al potere.
Per cinquecento anni poi gli arabi sono stati soggetti al potere turco, non all’imperialismo occidentale, che sul Levante ha comandato per pochi decenni, fra la fine della Prima Guerra Mondiale e la fine della Seconda. Non che non abbia combinato guai, soprattutto quello inglese che ha cercato di imporsi facendo promesse un po’ a tutti e coltivando la divisione nella speranza di governare.
Ma insomma gli arabi sono quel che sono, hanno la cultura politica che dimostrano soprattutto per la loro storia. E in sostanza dimostrano di non essere in grado di evitare la violenza e l’oppressione. Qualche volta capita che si tengano elezioni in qualcuno di questi paesi, ma sono per lo più truccate e comunque chi vince non pensa affatto, com’è regola della democrazia, che il suo potere sia provvisorio e debba essere restituito all’elettorato e magari sostituito a tempo debito. Semplicemente si accomoda e fa quel che può per non essere allontanato: scrive costituzioni autoritarie come in Egitto, ammazza i leader dell’opposizione come in Tunisia, li accusa di crimini inventati come in Iraq, fa strage di chi protesta, resiste alle sollevazioni popolari con la forza delle armi come in Siria e in Bahrein. Nel caso frequente che gli oppositori arrivino a uno stallo e nessuno riesca a distruggere l’altro, si suddividono il territorio, come è accaduto con l’Autorità Palestinese, in sostanza anche con l’Iraq e sta accadendo in Siria e Libia.
Per questa ragione è prevedibile che la fase dei torbidi che la regione sta attraversando non finisca affatto presto e che gli Stati disegnati dopo la prima Guerra Mondiale sulle rovine dell’impero ottomano si frammentino in pezzi etnici o religiosi: Curdi e Alawiti, Sunniti e Sciiti, Anp e Hamas, eccetera.
Tutto ciò è alimentato dalla grande spinta islamista, che non va pensata in termini politici, come se fosse un partito, ma in termini identitari e di valori. Non vi è separazione netta fra islamisti “moderati” (la Fratellanza musulmana), “estremisti (i “salafiti”) e “terroristi (i talebani, Al Qaeda), perché i dissensi sono semplicemente di natura tattica, il fenomeno è lo stesso ed è il riflesso politico di un’identità profonda che non era stata scalfita dall’occidentalizzazione delle élites e dalle vicende politiche, ma che ora riprende il proprio cammino come ha fatto con qualche interruzione per mille e quattrocento anni: “purificando” a intervalli il proprio interno e aggredendo gli “infedeli” intorno.
La distruzione di monumenti funebri di santi islamici, spesso oggetti d’arte meravigliosi, di biblioteche e dei segni di altre culture, che avviene in questi anni dall’Afganistan a Timbuctù, passando per i musei del Cairo e la Tunisia, non è altro che la ripetizione delle spinte “purificatrici” che si sono ripetute nei secoli a intervalli regolari.
L’assalto a Israele, ma anche ai cristiani dell’Africa e della Siria, Turchia, Egitto, Iraq; l’intolleranza in luoghi una volta abbastanza aperti come l’Indonesia e il Pakistan, il tentativo, più o meno subdolo ma spesso dichiarato, di invasione dell’Europa e di cancellazione di popolazioni di confine come in Armenia e in Kossovo, la decisione di far pesare il proprio numero in tutte le sedi internazionali, l’assalto ai singoli individui visti come portabandiera di una resistenza culturale, con i numerosi tentativi di assassinio di questi anni ad autori di fumetti, romanzi, film, articoli “antislamici”: tutto questo non è altro che il rinnovamento con mezzi nuovi di una spinta espansiva che si esercita con qualche pausa nei secoli da mille e quattrocento anni.
L’Islam non manda missioni religiose, non converte come il Cristianesimo. Procede con eserciti, impone la sua legge e sa che le conversioni seguiranno.
E’ ingenuo al limite dell’ottusità pensare di limitare questo fenomeno con buone parole e solenni trattati. Anche su questo l’Islam è chiarissimo: con gli infedeli non possono esserci paci, solo tregue. E le tregue durano finché conviene all’Islam, cioè fino a che l’avversario appare più forte. Questo spiega l’esplosione di violenza attuale: non è l’imperialismo o l’oppressione che provoca la rivolta e la guerra, ma la debolezza dell’avversario, la sua irresolutezza, la sua stessa offerta di pace.
I governanti attuali farebbero bene a leggere qualche storia dell’impero bizantino, che resistette ai musulmani per sette secoli, contraendosi progressivamente, a volte riprendendosi, a volte perdendo rovinosamente (magari grazie alla collaborazione degli eserciti europei che lo assalivano alle spalle).
Costantinopoli ha retto per quanto era forte e disposto a combattere; alla fine ha ceduto. E in un mondo che era al novanta per cento cristiano (l’Anatolia, il Levante, la Mesopotamia, l’Egitto, il Nordafrica, Costantinopoli stessa, per mille anni la più grande e gloriosa città cristiana del mondo) oggi non restano quasi più popolazioni non musulmane.
A parte qualche minoranza sotto attacco in Libano e in Egitto, qualche piccola isola in Iraq e in Siria. E naturalmente gli ebrei in Israele, che hanno avuto il torto terribile agli occhi dell’Islam di volersi riprendere la loro terra già conquistata dall’Islam e colonizzata dagli arabi.
Per questo Israele è così odiata, perché è il segno di una resistenza possibile, della non irrevocabilità della conquista musulmana, della presenza forte della modernità occidentale, della libertà, del pluralismo in una terra destinata, dal punto di vista islamico, alla sottomissione. Gli israeliani da subito scelsero di lavorare la terra direttamente, di non essere colonialisti nel senso di sfruttatori del lavoro di altri popoli. Hanno comprato la terra che abitano; è ridicolo solo pensare che “rubino la terra” agli arabi, dato che vivono su circa 25 mila chilometri quadrati (l’Italia ne ha 300 mila circa) su circa 13 milioni dei paesi arabi circostanti.
Il problema è la differenza. E la resistenza. Di questo oggi si tratta, su questo oggi si lotta.
 

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