http://temi.repubblica.it/limes/avorio-loro-bianco-del-jihad/55207

un articolo di Massimiliano Ferraro

Il contrabbando di zanne di elefanti prospera grazie alla grande  richiesta proveniente dalla Cina e dal resto dell’Asia. Per la fortuna  di alcuni dei gruppi terroristi più pericolosi dell’Africa, da  al-Shabaab ai Janjaweed.
[Carta di Laura Canali tratta da Limes 10/13 “Il circuito delle mafie“]

In Africa subsahariana l’avorio è diventato una merce preziosa contrabbandata da terroristi, bande criminali e contadini alla disperata ricerca di una fonte di sostentamento.

A farne le spese sono gli elefanti africani, abbattuti per le loro zanne al ritmo di 30 mila esemplari ogni anno e ormai sull’orlo dell’estinzione.

Lanciando l’allarme sulle dimensioni assunte dal fenomeno, il New York Times ha pubblicato lo scorso marzo un lungo reportage dalla Cina, che per via della forte domanda interna rappresenta la principale destinazione dell’avorio illegale.

«I cinesi hanno in mano il futuro agli elefanti» – ha dichiarato Iain Douglas-Hamilton, fondatore dell’organizzazione Save the Elephants  – «perché se non cambieranno le loro abitudini riguardo all’avorio, molti paesi africani potrebbero veder presto scomparire questa specie».

 

Se il 70% delle zanne trafugate finisce sul mercato cinese, il motivo è soprattutto culturale. La Cina ha alle spalle una lunga tradizione nella lavorazione dell’avorio, che viene trasformato in sculture, suppellettili, anelli, spille, tazze, pettini eccetera.

 

Un business divenuto irresistibile per gli estremisti islamici di al-Shabaab, come per le milizie Janjaweed del Sudan e per i guerriglieri ugandesi del Lord’s resistance army (Lra). Sono loro che, per soddisfare la richiesta asiatica, si stanno imponendo a suon di mitragliatrice come i principali protagonisti del commercio illecito, provocando un’ecatombe di elefanti mai vista da quando negli anni Ottanta venne introdotto il divieto internazionale sul commercio di avorio.

 

La situazione appare talmente disperata da far nascere una semplice quanto inquietante domanda: fino a quando la Cina sarà disposta a rimanere legata a una tradizione che, sterminando gli elefanti, finanzia indirettamente il terrorismo?

 

Tutto per il maledetto avorio

 

Se lo chiamano “oro bianco” ci sarà un perché. Il prezzo di un chilo di avorio sul mercato nero può raggiungere i 3 mila dollari. Significa che il valore di una sola zanna d’elefante equivale a circa 10 volte il salario medio percepito dai cittadini di molti paesi africani. Sono dati di fatto che hanno portato a risultati impietosi: nel solo 2011 sono state sequestrate in tutto il mondo quasi 40 tonnellate di avorio, che certificano l’uccisione di almeno 4 mila elefanti per mano di bande armate che agiscono impunemente in molte riserve africane.

 

Questi numeri non rivelano che la parte emersa di questo grave problema. Il mercato sommerso dell’avorio è infatti infinitamente più grande e il suo sviluppo non mette in pericolo solo la fauna africana.

 

La sicurezza globale è infatti legata a doppio filo all’andamento di questo commercio illegale, più che raddoppiato dal 2007 a oggi. Al-Shabaab, Janjaweed e Lra si contendono il controllo del contrabbando tra Africa e Asia, sfruttando la corruzione dilagante dei funzionari pubblici. Come per la droga, per spostare da un continente all’altro centinaia di chili di zanne, i trafficanti utilizzano navi mercantili in partenza soprattutto dai porti di Mombasa, in Kenya, e Dar es Salaam, in Tanzania.

 

«Cambiano costantemente le rotte e il modo in cui muovono la merce per beffare la legge» ha spiegato al New York Times Tom Milliken, direttore dell’Elephant Trade Information System, un progetto nato per monitorare il commercio mondiale di avorio. I professionisti del terrore sembrano aver capito che è più redditizio dare la caccia agli elefanti piuttosto che ad altri uomini armati.

 

L’avorio è perfetto per finanziare il terrorismo, perché per averlo c’è chi è disposto a pagare molti soldi, ma all’occorrenza può essere anche utilizzato come merce di scambio per ottenere armamenti e viveri. Così terroristi e guerriglieri sfoderano sempre più spesso i mitra nella savana e nelle riserve, dove le poche guardie, mal pagate e mal armate, non possono arginare il loro strapotere.

 

Falcidiando i pachidermi con sventagliate di proiettili, fanno diventare lo sterminio una routine: gli AK-47 dei bracconieri-terroristi mirano agli animali più piccoli, ben sapendo che gli esemplari anziani, invece di scappare, non esiteranno a mettere a rischio la loro vita per cercare di proteggerli.

 

I mammiferi più imponenti crollano a terra solo dopo diversi colpi. Muoiono infine tra immense sofferenze, quando l’ultimo atto della barbarie sta per essere compiuto: la testa degli elefanti viene amputata con i machete per avere le zanne. In questo modo sono scomparsi centinaia di  branchi di elefanti africani.

 

Le zanne del terrorismo

 

Al-Shabaab, il gruppo islamista somalo legato ad al Qaida divenuto tristemente noto per l’assalto  al centro commerciale Westgate a Nairobi costato la vita a oltre 70 persone, si finanzia anche con il bracconaggio. Una stima fornita dall’Elephant action league (Eal) indica che l’uccisione degli elefanti assicura ad al-Shabaab «fino al 40% dei fondi necessari per la sua attività criminale». Il dato non può essere verificato. Tuttavia, secondo l’Eal, il reddito mensile della milizia islamista ottenuto dal contrabbando di avorio si aggirerebbe tra i 200 mila e i 600 mila dollari.

 

Una cosa è certa: la preoccupazione degli ambientalisti per i risvolti incontrollabili del bracconaggio è condivisa anche da Barack Obama, che ha recentemente firmato un ordine esecutivo che innalza il livello di attenzione sul commercio di fauna selvatica.

 

Il fenomeno è stato descritto dalla Casa Bianca come una «piaga internazionale che continua a crescere», che genera «miliardi di dollari di ricavi illeciti ogni anno, contribuendo all’economia illegale, alimentando l’instabilità e minando la sicurezza». Ottanta milioni di dollari sono stati stanziati dall’amministrazione Usa per combattere il bracconaggio e il traffico di avorio, visto ora come una minaccia diretta agli interessi degli Stati Uniti.

 

Paese che vai massacro che trovi

 

Nel suo complesso, il mercato nero delle specie selvatiche (elefanti, rinoceronti, grandi felini, scimmie e altri animali meno conosciuti) vale 19 miliardi di dollari all’anno. Sono stati proprio gli elefanti ad aver subito negli anni la più veloce e inesorabile decimazione.

 

L’associazione keniota David Sheldrick wildlife trust sostiene che ogni 15 minuti, in Africa, un elefante viene ucciso per le sue zanne. La Cina rimane senza dubbio il paese più affamato di avorio illegale, ma la smania di “oro bianco” ha contagiato anche la Thailandia, le Filippine e gli stessi Stati Uniti.

 

Ecco perché sono in molti a volersi spartire i guadagni di questo crudele commercio milionario. Oltre ai già citati gruppi criminali, sono impegnati nel bracconaggio vari soggetti che bramano questa insperata fonte di ricchezza, come alcune frange degli eserciti regolari ugandesi, congolesi e del Sud Sudan, che si convertono per soldi in cacciatori di frodo. E se in Tanzania anche molti semplici contadini diventano bracconieri attirando in trappola gli elefanti con delle zucche avvelenate, in Gabon la miseria trasforma i ragazzi del luogo in spietati cacciatori, assoldati al volere dei clan che speculano sull’avorio illegale.

 

Lo sterminio degli elefanti interessa ormai quasi tutto il continente. Sono stati 650 gli elefanti uccisi in Camerun nel 2012, mentre in una sola notte nel sud del Ciad sono stati uccisi lo scorso marzo ben 89 animali, tra cui 30 femmine in stato di gravidanza. In Kenia, nei primi 8 mesi del 2013, sono stati sterminati 190 pachidermi, che arrivano quasi a mille se si estende il calcolo agli anni compresi tra il 2009 e il 2013. Ne deriva che in meno di 30 anni la popolazione di elefanti che abita il paese è passata da 167 mila ad appena 35 mila esemplari.

 

La Tanzania ha perso in 3 anni la metà dei suoi elefanti. Oltre 2.500 esemplari sono finiti preda dei bracconieri in Mozambico negli ultimi 4 anni e altri mille sono stati trucidati nella Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Kinshasa ha riferito che gli elefanti rimasti allo stato selvatico nelle foreste del paese non sono più di 7 mila: erano 100 mila nel 1980. In Sierra Leone e Senegal le cose vanno anche peggio: l’avidità dei trafficanti di oro bianco ha già portato gli elefanti all’estinzione.

 

L’esercito dei “poveri” bracconieri

 

Una somma che va dai 50 ai 100 dollari al chilogrammo è la ricompensa che spetta ai cacciatori impegnati in prima linea. Tantissimo per la povertà in cui sono costretti a vivere molti individui in Africa, un’inezia se si pensa all’incremento di prezzo che l’avorio subisce man mano che si avvicina all’ultimo compratore.In Zimbabwe ad esempio, dove è avvenuto il peggior massacro di elefanti del 2013 (oltre 300 esemplari sterminati nel Hwange National Park), i clan di bracconieri sono in grado di vendere le zanne sottratte agli animali uccisi a 482 dollari al chilo.

 

A questo punto la via dell’avorio insanguinato porta in Sudafrica, dove secondo il tribunale che sta indagando sull’orribile episodio avvenuto nel Hwange Park, le stesse zanne possono essere rivendute per oltre mille e 600 dollari al chilo, prima di finire nuovamente sulla piazza in attesa di un compratore, solitamente asiatico, disposto a pagarle ancora di più.

 

Nell’ultimo anno, ben 150 cittadini cinesi sono finiti sotto accusa in vari paesi africani per aver acquistato dell’avorio frutto di contrabbando. Se la caveranno, così come i bracconieri sorpresi in flagranza di reato, con delle piccole multe o delle brevi pene detentive. Proprio come nel caso di Ghislain “Pepito” Ngondjo, boss dei cacciatori di elefanti congolesi, condannato per aver ucciso centinaia di animali ad appena 5 anni di reclusione.

 

La guerra è guerra…

 

L’avvenire degli elefanti africani è cupo. Le stime non concordano, ma confermano che la conservazione della specie è sempre più a rischio.

 

Tra gli ambientalisti c’è chi ritiene che questi mammiferi scompariranno dal loro ambiente naturale nel giro di 50 anni e chi afferma che la caccia illegale anticiperà la loro estinzione al 2025. La variabile che potrebbe anche raddoppiare o triplicare il tasso di mortalità degli elefanti è la mancanza di misure idonee per arginare la piaga del bracconaggio. Per John Scanlon, segretario generale della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, è necessario «trattare i crimini compiuti ai danni della fauna selvatica come dei reati gravi, al pari del traffico di stupefacenti e di armi».

 

Pene più severe fin da subito dunque. In alcune parti dell’Africa, dove quella ai trafficanti d’avorio è una guerra vera, c’è persino chi propone misure shock. La proposta di Khamis Kagasheki, ministro del governo della Tanzania, è quella di permettere alle guardie forestali di «sparare per uccidere» i bracconieri «sul posto». Tra chi appoggia l’iniziativa, vista come un deterrente necessario, e chi si oppone per timore di un inasprimento della violenza, emerge un altro lato del problema finora non considerato.

 

Il ministro ha spiegato che i provvedimenti da lui richiesti al governo Dar es Salaam non avrebbero come unico scopo quello di frenare la strage di elefanti, ma anche e soprattutto di proteggere l’incolumità degli agenti attivi contro i bracconieri. Nella sola Tanzania, infatti, sono morti nei conflitti a fuoco circa mille guardie forestali negli ultimi dieci anni.

 

Esseri umani ed elefanti, entrambi vittime della guerra per l’oro bianco.

(11/12/2013)
 

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