Truppe speciali all’assalto della Maginot di Hamas
Strage fra le case-bunker
Cronaca di MAURIZIO MOLINARI – La Stampa
87 vittime civili, i miliziani uccidono 13 soldati. Netanyahu: avanti

MAURIZIO MOLINARI
INVIATO A GAZA
È Shejaiya il teatro della più cruenta battaglia di terra fra Israele e Hamas dall’inizio dell’operazione «Protective Edge». Sono passate da poco le 22 di sabato quanto le navi a largo di Gaza e le artiglierie sul confine iniziano il fuoco incrociato sui quartieri orientali di Shejaiya. Durano tutta la notte. Said Jaber, 23 anni, si rintana con i 17 componenti della sua famiglia in due stanze della casa.
«È stato un inferno, schegge ovunque, tremava tutto attorno a noi», racconta.

Le fortificazioni di Hamas
Il bombardamento si concentra sulla prima linea di difesa creata da Hamas. Si tratta di case trasformate in bunker, dalle quali si accede a tunnel che penetrano fino in territorio israeliano o si diramano verso la Striscia. Dalla fine di «Pillar of Defense» nel novembre 2012 il comandante militare di Hamas, Mohamed Deif, ha scelto di creare qui, come in altri quartieri esterni alle aree abitate, una rudimentale linea Maginot disseminata di trappole per gli israeliani. Obici e missili dal cielo servono per spianare la strada ai Golani. La «Prima brigata» dell’esercito israeliano entra con centinaia di soldati che procedono in fila indiana attraverso i campi, affiancati da carri armati e blindati.

Trappola per i Golani
È questo il momento che Deif aspettava per colpire. Sono le unità armate di lanciagranate e rudimentali missili anti-tank a sparare ad alzo zero sui soldati. Gli scontri sono cruenti, ravvicinati. Raslan Alan, il primo comandante druso dei Golani, viene ferito e 13 suoi soldati vengono uccisi. I feriti sono almeno 40. Per le radio di Hamas «sono caduti in una trappola» perché «i nostri eroi li hanno spinti su un campo minato». Altre fonti palestinesi parlano di «successo dei missili anti-tank» che riescono a bucare le corazze dei blindati leggeri, come il «Puma». È già avvenuto nei giorni scorsi. Ma questa volta si lega al bilancio più pesante per le truppe israeliane dall’inizio delle operazioni. Per evidenziare la «vittoria militare» Hamas diffonde i «trofei catturati»: un fuoristrada squarciato e due mitra nemici fotografati sullo sfondo di una bandiera inneggiante ad Allah. E nella notte annuncia la cattura di un soldato, spiegando che si tratta di Shaul Aron, il cui numero di matricola è 6092065, spingendo migliaia di persone in piazza a festeggiare.

La grande fuga
L’avanzata di Tzhal attraverso campi, trappole e case-bunker trasformate in cumuli di macerie è sostenuta dai tank che sparano verso l’interno di Shejaiya procedendo lungo Mansura Street. La parte alta della strada è trasformata in un deserto. Almeno 35 mila persone sono in fuga verso Ovest, si spostano come possono verso Jabalya, il più grande capo profughi a Nord della Striscia dove le Nazioni Unite aprono le scuole per accoglierli. Si ripete lo scenario della scorsa settimana, quando almeno 20 mila persone avevano lasciato Beit Lahiya. Sono già 81 mila i palestinesi che hanno lasciato le loro case. Abu Hammer, 30 anni, da Beit Lahiya era andato da parenti a Shejaiya ma ora deve fuggire ancora. Assieme a lui Esam Hahhiag, 17 anni, Rami Halil, 16 anni. Ripetono solo una frase: «Noi non siamo di Hamas, con questa guerra non c’entriamo». Camminano assieme verso Ovest circondati da famiglie su carretti, macchine che corrono ad alta velocità stracariche di persone e bagagli, anziani circondati da figli e nipoti. Fuggono perché l’esercito israeliano fa di tutto per spingerli ad andare via. Il capo di Stato Maggiore, Benny Gantz, lo spiega così: «Gettiamo volantini, telefoniamo, mandiamo sms, vogliamo che si allontanino per evitare di coinvolgerli negli attacchi».

La roccaforte dei razzi
Da Shejaiya sono partiti almeno 140 dei 1800 razzi lanciati contro Israele negli ultimi 13 giorni, i genieri hanno già trovato 14 tunnel, dozzine di accessi e depositi di armi sotterranei. «Shejaiya è una roccaforte di Hamas» spiega Ariye Shalicar, portavoce militare, sottolineando che «è da zone come questa che i terroristi attaccano le nostre città». A confermarlo è il monumento al razzo a lungo raggio M-75 che Hamas ha scelto di dedicare proprio in questo quartiere ad Ahmed Jabari, il comandante militare eliminato da Israele nel 2012 considerato il regista del rapimento del caporale Gilad Shalit. Conquistare questo quartiere rientra nella tattica di «Protective Edge» che Yossi Melman, analista militare, descrive così: «Le truppe stanno creando una fascia di sicurezza, o una zona cuscinetto, larga fra 1 e 3 km lungo l’intero confine con Gaza, che è lungo 50 km». È un’operazione che mira ad allontanare i miliziani di Hamas dalle città israeliane, spingendoli a ritirarsi verso i centri più densamente popolati a ridosso della costa. Verso mezzogiorno Hamas chiede il cessate il fuoco per evacuare morti e feriti. Tzhal accetta la sospensione temporanea degli scontri e le autoambulanze della Mezzaluna Rossa raccolgono almeno 87 salme e 288 feriti, portandoli in gran parte all’ospedale Shifa di Gaza. L’intesa è per 120 minuti di silenzio ma dopo 45 minuti Hamas riprende il fuoco. Israele prolunga comunque la scelta unilaterale fino alle 17.30. «Ogni ora che passa si indeboliscono» assicura il generale Gantz, avvertendoli: «Non ci fermeremo».

Un diluvio di ordigni
Con l’arrivo della sera i bombardamenti riprendono. Navi, artiglieria ed F-16 – che sfrecciano bassi nel cielo – rovesciano un diluvio di ordigni sulle posizioni tenute da Hamas al centro di Shejaiya nascosto da nuvole di fumo nero visibili a decine di km di distanza. Ma i miliziani sono sottoterra, sparano da bunker che accedono a gallerie grazie alle quali possono spostarsi, ricevere rifornimenti e continuare a lanciare razzi. Che in effetti segnano il cielo, decollando verso le città del Sud di Israele: Beersheva, Ashkelot, Netivot. Se le truppe di Tzahal combattono in superficie, i miliziani di Deif da sottoterra. È un conflitto asimmetrico non solo per la diversità di armamenti – jet contro razzi – ma per il terreno di battaglia. Hamas è convinto di poter prevalere perché «continuiamo a sorprenderli militarmente e non sono in grado di sopportare perdite», dice Sami Abu Zuhri, portavoce del leader Islail Haniye. Fra le vittime a Shejaiya c’è uno dei figli del leader di Hamas, Khalil al-Hayya, assieme a moglie e due figli. Per Abu Zuhri «queste azioni sono crimini di guerra che il mondo non può tollerare». La replica arriva dal premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Il nostro unico obiettivo sono i terroristi, andremo fino in fondo».

 

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