Tel Aviv per pezzoDi Ariel Shimona Edith Besozzi

Ricordo la prima volta che mi ci sono trovata, era pieno di bandiere, la luce dell’alba rendeva la terra rosa, l’aria ancora fresca profumava di mare. Mi sono sentita immediatamente a casa, ed è così ogni volta. Percorro l’aeroporto e sono a casa, immediatamente sento crescere dentro di me un’energia morbida e accogliente, non ho bisogno di essere diversa da chi sono, posso finalmente lasciarmi essere. Mi ritrovo a sorridere e riconosco nella traccia che i miei muscoli descrivono esattamente la gioia dell’infanzia, quella che non hai bisogno di dire perché c’è e nessuno te la può portare via, arriva così per un motivo che non conosci e ti allarga gli occhi, alza gli angoli della bocca.

Eccola qui, cielo azzurro, palazzi bianchi, alte torri e case basse a tratti un po’ incasinate, la spiaggia morbida e larga.
A Tel Aviv sembra che tutti pratichino sport, chiunque corre, per lo più con il telefono agganciato al braccio per verificare l’allenamento, non ci sono limiti d’età o di dimensione, si corre in scioltezza.
Incontro anche coppie di religiosi, giovanissimi passeggiano mantenendo una prudente distanza, hanno visi così fiduciosi ed aperti, mi viene da credere che il loro non possa che essere un incontro perfetto, preludio di un matrimonio riuscito.
I parchi verdi, i locali, le gallerie d’arte, i negozi, i palazzi di metallo accanto ad edifici piccoli che raccontano come questa città sia nata all’inizio del secolo scorso dalle dune di sabbia del deserto che incontravano il mare. Giovane e vitale riesce a raccontare l’ostinazione israeliana forse meglio di Gerusalemme. Tel Aviv descrive esattamente cosa succede quando l’identità ebraica della diaspora s’incontra con la possibilità di divenire una città. Raccoglie tutti i pregi e tutti i difetti di tutto il mondo ma ciò che davvero fa la differenza sono le persone che la abitano. Non so se sia perché tutte le ragazze fanno il servizio militare o se sia perché sono abituate a minacce ben più grandi ma ciò che trovo bello è la scioltezza e la tranquillità con cui una ragazza minuta e molto più giovane di me affronta la presenza molesta di un uomo un po’ fuori di testa che poco prima mi si è avvicinato mandandomi a fan-culo in inglese per essere certo d’essere compreso, spaventandomi nonostante non fossi sola. Parlando con alcune donne israeliane mi rendo conto che non hanno paura, o meglio, hanno paura di cose delle quali non si può non avere paura come una pioggia di razzi sulla testa, il fatto che i loro figli siano al fronte, che i bambini possano non essere al sicuro all’asilo… ma non hanno paura degli altri. Non hanno paura dell’altro comunque si mostri loro, questo rende estremamente sicura Israele. Sembra un paradosso eppure girare di notte nelle città israeliane è molto più sicuro che girare di notte in qualsiasi città piccola media o grande italiana.
Nel corso di questo viaggio, per la prima volta, sono andata al museo costruito in memoria di Rabin, ho trovato molto interessante la possibilità che questo luogo offre di ripercorrere in maniera sinottica la storia mondiale, quella d’Israele e quella di Rabin. La dolorosissima vicenda dell’uccisione di quest’uomo così importante per Israele ha aperto una spaccatura, ha segnato profondamente la coscienza, la vita, la dimensione di questo paese. Fino a quel momento nessun uomo politico aveva mai avuto alcun tipo di protezione, per chiunque era sempre stato possibile incrociare i capi di stato, i membri del governo per la strada, parlare con loro come si fa con chiunque altro. In Israele si era convinti che mai un ebreo avrebbe ucciso un altro ebreo e questo offriva alla società una dimensione di condivisione e di cooperazione assoluta.
Rabin ha fatto qualcosa di sicuramente grandioso ma, per farlo ha dovuto affrontare qualcosa di altrettanto incomprensibile per molti: ha trattato con Arafat, con un terrorista, con il mandante e l’esecutore di moltissime stragi che avevano colpito cittadini israeliani ed ebrei fuori e dentro Israele. Rabin, come accade ai veri grandi leader ha fatto qualcosa di storico in anticipo sui tempi, talmente in anticipo che il processo da lui avviato non si è ancora concluso. Attraversando le sale del museo ho raccolto la possibilità di guardare all’uccisione di Rabin da più punti di vista ed il dolore per la perdita della sua vita, per l’assurdità del gesto compiuto si è raccolto attorno al dolore ancora più grande per il cambiamento che questo ha prodotto nella società israeliana.
Nel pensare a se stessa Israele si confronta con questo episodio così come si confronta con ogni singola azione compiuta, spesso anche con azioni che non ha compiuto cui però le viene chiesto di rispondere.
Israele è una nazione giovane ed antichissima, questo la rende vigorosa e saggia ma anche fragile e pesante. Ciò che la rende viva ed energica è la capacità di essere tutte queste cose e molte altre senza paura, la profondità della radice e la volontà di andare avanti non lasciarsi fermare dal dolore dalla fatica, farne tesoro, farne la propria forza senza rinunciare mai alla gioia, ai colori, alle contraddizioni, alle differenze.
Non credo si tratti di una nazione perfetta, non credo che il popolo israeliano sia un popolo di santi o di super uomini e super donne.
Siamo una nazione, forse questo davvero ci rende differenti, la nazione più antica del mondo….
Shanà Tovà che il 5775 sia un anno di vera gioia nelle mitzvòt per tutta Israele.

Ariel Shimona Edith Besozzi

 

One Response to Israele comincia a Tel Aviv, precisamente al Ben Gurion.

  1. ennio ha detto:

    condivido pienamente, ero con loro. ho visto sui loro volti la gioia di essere in Israele e di visitare il Cedntro Rabin con annotata la sua storia che è la storia di un Paese illustre e democratico. Eè vero che tutto si può migliorare ma occorre uomini di buona volontà ed idee che siano condivise, ma sopratutto che siano ben radicate in noi

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.