Testata: Informazione Corretta
Data: 06 gennaio 2015
Autore: Ugo Volli

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

volli6266a sinistra, la Knesset,
il centro della democrazia israeliana

Cari amici,

i fatti pubblici più rilevanti dell’ultimo periodo intorno a Israele li conosciamo tutti, li avete letti sui giornali e anche sulla rassegna stampa di Informazione Corretta.
In primo luogo la rottura delle trattative la primavere scorsa, che ormai è chiaro sia stata provocata apposta da Abbas: c’era una disponibilità di Netanyahu, non solo della Livni, ad accettare la condizione capestro della scarcerazione dell’ultima tranche dei terroristi condannati, fra cui alcuni arabi israeliani, in cambio della ripresa delle trattative, che probabilmente avrebbe provocato una rottura del governo a destra e non a sinistra come è avvenuto poi un mese fa.

Ma Abbas annunciò il governo con Hamas e l’adesione a una serie di trattati internazionali – inizio della sua nuova strategia di sostituire i negoziati con i riconoscimenti diplomatici. Poi ci fu il rapimento dei tre ragazzi, la scoperta che erano stati presi e subito uccisi da militanti di Hamas, la repressione di queste cellule terroriste, l’attacco missilistico insistito da Gaza che costrinse il governo Netanyahu a un’operazione militare che non voleva e che interruppe appena possibile. Abbas prima criticò Hamas per l’avventurismo, poi però non ruppe il governo con loro e infine diede tutta la colpa a Israele.

Dopo l’estate l’Autorità Palestinese minacciò a lungo di tentare il riconoscimento del consiglio di sicurezza dell’Onu, una sfida aperta non solo a Israele ma agli Stati Uniti che sarebbero stati costretti a mettere il veto – e infatti l’Autorità Palestinese restò esitante per tre mesi buoni, alimentando nel frattempo il terrorismo “a bassa intensità” che esplose a un certo punto con una decina di morti negli attentati alle fermate del tram e poi in quello alla sinagoga di Gerusalemme.
Poi però, per qualche strano motivo, questo “piccolo terrorismo” (nel senso di essere compiuto da individui singoli, con mezzi semplici come coltelli, sassi, automobili, bombe molotov, non con razzi o cinture esplosive) non cessò, ma riprese il “normale” stillicidio: una bambina di undici anni bruciata viva da una bomba incendiaria oggi, un neonato mezzo ammazzato a sassate dopodomani, un militare accoltellato il giorno dopo e così via.
Sarebbe interessante avere una spiegazione di questi ritmi, che evidentemente sono decisi da qualche parte, ma nessuno ne ha tentato una spiegazione. In fondo si tratta dell’alternanza di due tattiche, sintetizzate da queste due immagini, che la propaganda palestinista ha usato negli ultimi giorni: una piramide di teschi (etichettati ciascuno con la stella di Davide perché sia chiaro di chi si tratta), sormontati da un fucile e una bandiera di Fatah (http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.635079 ); e un cappio da impiccagione accanto alla faccia di Netanyahu col marchio della corte penale internazionale (http://www.timesofisrael.com/fatah-image-shows-netanyahu-ready-for-hanging-at-icc/  )

Mentre calava l’acme terrorista, le guerra diplomatica infatti subiva un’accelerazione improvvisa: dall’inizio di dicembre si sono moltiplicati progressivamente gli annunci che l’AP avrebbe presentato la mozione al consiglio di sicurezza dell’Onu non solo per il proprio riconoscimento come stato e come membro dell’Onu, ma anche la fine obbligatoria dell’”occupazione”, cioè la pulizia etnica di Giudea e Samaria, entro un anno.
Era un testo inaccettabile, indurito fra l’altro in successive riformulazioni, che non solo andava contro gli impegni di Oslo e il buon senso, ma che avrebbe segnato se applicato la distruzione economica, politica e militare di Israele, tanto che l’amministrazione Obama, che certo non si può dire amica dello stato ebraico, annunciò da subito che avrebbe opposto il veto.

Abbas, d’altro canto, non ha neppure cercato di cavalcare la proposta anglo-francese, che più morbida su vari dettagli ed esplicitamente ripresa da certe proposte di Kerry, avrebbe certamente messo in difficoltà l’amministrazione americana, che si sarebbe vista nella necessità di contrastare due alleati importanti. Il risultato del rifiuto di Abbas è che la Gran Bretagna si è astenuta dal votare la mozione che la lega araba aveva fatto presentare alla Giordania, facendole mancare il voto decisivo (mentre la Francia di Hollande, esibendo l’odio della sinistra europea per Israele e l’antisemitismo che domina il paese, ha votato in favore. Il risultato è stato di esimere anche gli Stati Uniti dalla spiacevole necessità di mettere il veto.

Strategia suicida? Sembrerebbe di sì, anche perché se l’Autorità Palestinese non avesse premuto per far votare la sua mozione il 30 dicembre e avesse aspettato solo due (dico due) giorni, sarebbe mutata la composizione del Consiglio di Sicurezza in modo a lei favorevole e anche con l’astensione inglese avrebbe raggranellato i nove voti necessari a provocare almeno il veto americano e a poter vantare una vittoria politica.

Perché l’ha fatto? Mistero. Forse, ha detto qualcuno, proprio per non costringere gli Stati Uniti al veto e dunque per non inimicarseli troppo. Ma allora perché Abbas ha annunciato che intende ripresentare al più presto la mozione al nuovo Consiglio di Sicurezza, nonostantge l’opposizione ribadita di metà del movimento palestinista, incluso Hamas (http://www.timesofisrael.com/hamas-totally-opposed-to-abbas-plan-for-new-un-bid/ )? Altro mistero. Alcuni hanno detto che in realtà Abbas voleva avere il pretesto per fare domanda di ingresso alla Corte Penale Internazionale, dove denunciare Israele (che non ne fa parte, non avendo sottoscritto la carta di Roma) per crimini di guerra. Peccato che questa mossa, come era prevedibile, le ha provocato pesanti sanzioni economiche da parte di Israele e probabilmente anche da parte dell’America, dove l’Amministrazione Obama è legata a una legge di qualche anno fa che impedisce gli aiuti se compie dei gesti del genere. Ma almeno, sembrerebbe, in questa maniera potrà denunciare Israele. Non è così sicuro perché chi aderisce al trattato diventa querelabile per violazioni dei diritti umani da sempre, ma può fare denuncia solo su fatti avvenuti dopo l’adesione. E infatti, c’è già una buona Ong che ha denunciato i capi terroristi dell’AP (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/189528 ).

In generale chi pratica il terrorismo e lo esalta senza pudore è la parte palestinese, che farebbe molta fatica a giustificare legalmente i suoi atti, mentre Israele è uno stato democratico che ha regole di ingaggio molto severe e un sistema giuridico di autorizzazione e controllo delle azioni militari che probabilmente è il più stringente del mondo.

E non è finita qui. Dopo la reazione israeliana, prevedibile e prevista, agli atti ostili e contro i trattati che l’AP sta conducendo in sede internazionale, la stessa Autorità Palestinese, per bocca del suo capo negoziatore Erkat ha ammesso (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Erekat-hints-at-dissolution-of-Palestinian-Authority-after-Israel-withholds-tax-funds-386651 ) di non avere affatto autorità sul suo territorio (il che è incompatibile con la domanda di essere riconosciuto come stato, dato che l’autorità su un territorio definito è il primo requisito giuridico della statualità) e dall’altro ha minacciato di sciogliersi e “riconsegnare le chiavi” a Israele: ma come si fa a volere allo stesso tempo sciogliersi e far domanda di essere riconosciuti? Altro mistero.

Bisogna allora ripetere la domanda. Perché si comportano così? Vi do tre o quattro risposte, nessuna è esauriente, ma tutte assieme fanno forse capire almeno perché è impossibile la pace.
1. “I palestinesi non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione”, come ha detto Golda Meir. Cioè in concreto, non fanno politica ma propaganda, non cercano risultati ma risonanaza.
2. Strettamente legata alla prima: perché l’Europa li incoraggia a fare così, applaude a ogni loro mossa, gli piace vedere Israele messo alle strette, e degli arabi che vivono da quelle parti non importa assolutamente nulla.
3. Perché in realtà i palestinisti non vogliono uno stato loro, desiderano solo ricacciare in mare gli ebrei, possibilmente morti. La loro azione è la continuazione di quella degli eserciti arabi del ’47-’67, che cercavano la sconfitta di Israele e non si sognavano di costruire uno stato palestinese; e i futuri “palestinesi” del resto non si sognavano di ribellarsi a Egiziani a Gaza e Giordani in Giudea e Samaria, come non lo avevano fatto con la Turchia in passato, per avere uno stato loro. Gli andava benissimo un qualunque governante musulmano. Qualunque conclusione o riconoscimento richiederebbe il riconoscimento in qualche frontiera di uno stato ebraico. E questo i palestinisti proprio non lo vogliono.
4. Il problema dell’Onu o della Corte Penale per Abbas e gli altri non riguarda la politica estera ma quella interna, cioè il mantenimento del loro potere, dei privilegi, della corruzione e della dittatura, che si giustificano solo con la guerra a Israele. Quindi quel che conta è mostrare che si fa questa guerra, coi missili o con le mozioni. Se poi i loro sudditi ne ricavano solo danni, non importa, ci penserà la propaganda a dare la colpa a Israele.

Conclusione: nonostante i continui colpi di scena, non aspettatevi novità, dall’Onu o dalla Corte o dai riconoscimenti europei. Solo il tentativo continuo, violento, senza tregua, di fare più male possibile a Israele. La quale però ci è abituata e se alle prossime elezioni non farà l’errore di dare troppi voti a snob dilettanti come Herzog o voltagabbana fallite come la Livni, saprà benissimo resistere.

 

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