Testata: Informazione Corretta
Data: 17 marzo 2015
Autore: Ugo Volli

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

democracyA sinistra: Israele al voto.

Cari amici,

quando questa cartolina sarà online, gli israeliani staranno votando. E’ un’elezione importantissima, come vi ho illustrato nei giorni scorsi. Gli exit polls si conosceranno poco dopo le nove italiane, i risultati completi nel corso della notte. Dato che è probabile che anche dopo il voto continui la disinformazione di coloro (l’amministrazione Obama, l’Unione Europea, i media “autorevoli”, i politici “progressisti”) che stanno cercando da anni di “domare” Israele e per farlo sanno di dover eliminare Netanyahu, penso sia utile darvi delle informazioni sul funzionamento del voto.


Falchi e colombe: chi ha più chances di sopravvivere nella polveriera del Medio Oriente?

Intanto non vi sarà un vincitore o uno sconfitto, o almeno questo non sarà particolarmente importante. Le elezioni israeliane sono come quelle italiane, non come quelle americane o inglesi. Non viene fuori cioè un Presidente o un Premier (che è automaticamente il capo del partito più forte in Gran Bretagna), bensì un parlamento. Tocca al Presidente dello Stato, come da noi, attribuire un incarico al politico che gli sembra possa più facilmente ottenere la maggioranza in parlamento. E’ già accaduto nel 2009 che Peres (che certo non lo aveva in simpatia) dovette assegnare l’incarico proprio a Netanyahu, anche se le elezioni le aveva vinte “Livni” (cioè aveva avuto più voti, ma non aveva i partner per governare). Come vedremo, la stessa situazione potrebbe ripetersi ora.


Quanti minuti ha da vivere la colomba accanto al falco che sta per mangiarla ?

Quando parliamo di vittoria, poi, dobbiamo intenderci. Il sistema elettorale israeliano è proporzionale puro, a collegio unico, una soglia di ingresso in parlamento bassa (occorre il 3,25 %, in Italia è il 5) con la sola correzione della possibilità di recuperare i voti non utilizzati fra partiti che si apparentano. Si prende il totale dei voti dei partiti che hanno superato la soglia (gli altri sono eliminati), la si divide per 120 (il numero dei deputati alla camera unica, la Knesset): quello è il quoziente elettorale. Si dividono i voti di ogni partito per il quoziente e si ottiene il suo numero di eletti (più eventualmente un recupero con i resti insieme al partito apparentato). Non ci sono preferenze, i posti sulla lista sono decisi da ogni partito, con trattative o per lo più elezioni primarie). I partiti che si presentano questa volta sono una ventina, molti di loro in realtà coalizioni di partitini più piccoli, quelli che probabilmente avranno eletti sono undici. Ai primi due partiti, il Likud di Netanyahu e quella che in maniera piuttosto ingannevole Herzog e Livni hanno chiamato “lista sionista” la maggior parte dei sondaggi attribuiva dai 21 ai 25 seggi. Sono cioè intorno al 20% dei voti ciascuno, separati da uno o due punti percentuali. Non certo le condizioni di una vittoria vera. Nessun partito potrà governare da solo, neanche mettendo i primi due si potrebbe; ce ne vorrebbero almeno tre, ma è probabile che le coalizioni per funzionare siano fatte da cinque o sei partiti. Il che naturalmente richiede molte trattative, incontri, rotture, drammatizzazioni, e anche un certo “mercato delle vacche”: il governo difficilmente uscirà prima di un mese dalle elezioni, probabilmente per la fine di aprile. Prima d’allora quel che conta è la scelta del Presidente dello Stato sul primo nome cui dare l’incarico; c’è un tempo fisso per il suo tentativo, dopodiché si passa a un secondo nome e se anche questo fallisce si torna alle urne.


Israele verrà governato dalla colomba ? Il falco se lo augura…

Bisogna anche capire com’è strutturata questa situazione. C’è un blocco patriottico (il Likud, cui si attribuiscono fra i 21 e i 24 seggi), la “Casa Ebraica” di Bennett (cui se ne attribuiscono 11-14), Israel Beitenu di Libermann (5-7), non però così sicuro. Il totale è intorno ai 38-42 seggi. Poi c’è il blocco religioso: Shas sefardita (7-9), UTJ askenazista (7-8) Yachad scissione da Shaas (4-5). Il probabile risultato complessivo è di 18-19. Questi partiti hanno dichiarato, con più o meno entusiasmo, di sostenere Netanyahu. Il totale è fra i 56 e i 60 seggi (la maggioranza è a 61). A sinistra c’è la “lista sionista” (22-25), l’estrema sinistra di Meretz (4-5), Yesh Atid di Lapid (9-12) Il totale è di 38 seggi. A parte c’è la lista araba, che unisce precariamente un partito nazionalista vicino all’Autorità Palestinese, uno islamista succursale di Hamas e uno comunista vecchio stile. Le vengono attribuiti 12 o 13 seggi, che sembrano tanti, ma sono la metà rispetto alla proporzione dei cittadini arabi di Israele, il che testimonia di una rappresentatività limitata. Infine in mezzo fra i due blocchi c’è Kulanu, guidato dal transufuga del Likud Moshé Kahlon, con un elettorato di destra ma impegnato in un’agenda sociale.

Risulta chiaro che se non ci saranno colpi di scena nelle urne o tradimenti postelettorali, il successo di Netanyahu è assai più probabile di quello di Herzog. Piaccia o no, un governo di sinistra si può fare solo col consenso dei partiti arabi nemici dello stato ebraico. Dovrebbe mettere insieme il superlaico Lapid coi religiosi, che dichiarano che non ci staranno mai (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/192693#.VQcWFI6G9Qd), fare inghiottire a nazionalisti come Liberman l’appoggio degli arabi, mettere assieme le tendenze protezioniste e neosocialiste del suo elettorato con un sistema economico che ha bisogno del liberismo per funzionare, le asserite attenzioni alla sicurezza con la subordinazione a Obama e l’accordo con Abbas che dice di voler ricostruire. Insomma non solo è un cammino pieno di insidie e di veti che gli renderanno difficile costruire una coalizione, ma anche se ce la facesse, lo porterebbe a dibattersi nelle contraddizioni e a deludere l’una o l’altra parte del suo elettorato: una sciagura per Israele.

Questa è la situazione, ora la parola è agli elettori. Vedremo questa sera e nelle prossime settimane dovre avranno indirizzato lo Stato di Israele che, come diceva qualche giorno fa Deborah Fait, è il solo che c’è, la cosa più preziosa della storia ebraica da molti secoli.

 

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