8 giugno 2015

La subdola campagna BDS
Il movimento per il boicottaggio di Israele convince molte persone benintenzionate con argomenti che sembrano plausibili e morali
di Ben-Dror Yemini

bds-israele-boicottaggio-focus-on-israelLa campagna “Combattere il boicottaggio” lanciata da Yedioth Ahronoth ha suscitato numerose reazioni e domande, alcune stimolanti e rilevanti. Esse attestano l’importanza della sfida posta dal movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) contro Israele. In parte coloro che pongono queste domande non sono pregiudizialmente anti-israeliani o antisemiti: una parte dei sostenitori del movimento BDS è composta da persone che semplicemente si fanno convincere dagli argomenti del movimento che possono apparire a prima vista plausibili e morali. Proviamo dunque a rispondere ad alcune di queste domande, giacché sono le domande che si pongono molte brave persone, persuase dalla retorica della campagna BDS non per odio verso Israele o gli ebrei, ma perché credono sinceramente ai diritti umani, alla non violenza e alla necessità di correggere il mondo. Meritano delle risposte.
Non è che il problema sta nell’occupazione anziché nella campagna BDS? E’ l’argomento probabilmente più usato da coloro che capiscono, spiegano e giustificare il boicottaggio. In un’intervista del 2010 (tutt’ora reperibile on-line) fu chiesto a Omar Barghouti, uno dei fondatori del movimento BDS:

“La fine dell’occupazione porrà fine alla campagna?”. “No”, fu la sua risposta senza mezzi termini. Non è un caso se la campagna BDS non venne sospesa neanche per un momento quando Israele parlava con la voce di Ehud Olmert e Tzipi Livni: loro volevano porre fine all’occupazione, ma non giovò a nulla.

Un accordo con i palestinesi metterebbe a tacere il movimento BDS?
Al contrario. I promotori e i leader della campagna si oppongono a un accordo di pace basato sul principio “due stati per due popoli”. Il loro principio-guida è il cosiddetto “diritto al ritorno”, che significherebbe la fine di Israele. E uno dei loro principali slogan recita: “La Palestina sarà libera dal fiume al mare”. Quindi bisogna battersi per raggiungere un compromesso e un accordo e la pace, e questo è esattamente il motivo per cui bisogna anche contrastare la campagna per il boicottaggio.

Non è che la campagna BDS si sta intensificando perché Israele respinge le proposte di pace?
All’inizio del 2001 Yasser Arafat andò alla Casa Bianca e rifiutò la proposta di pace di Bill Clinton. Nel 2008 Abu Mazen respinse una proposta analoga avanzata da Ehud Olmert. E nel marzo 2014 Abu Mazen ha detto nuovamente no, questa volta a una proposta elaborata dal Segretario di stato americano John Kerry. Per quanto la menzogna dell’intransigenza israeliana venga ripetuta mille volte, rimane una menzogna.

Il fatto che Israele continui a costruire insediamenti non è forse la prova che non vuole la pace?
Gli insediamenti sono al centro di un intenso dibattito pubblico all’interno di Israele: non è che ogni singola critica alla politica di Israele sia demonizzazione, e la critica agli insediamenti non è certamente demonizzazione. In ogni caso, le attività edilizie israeliane in Cisgiordania si svolgono quasi esclusivamente all’interno dei maggiori blocchi di insediamenti esistenti, quelli che anche in base alla proposta di Clinton, come di ogni altra proposta di compromesso, sono destinati a rimanere israeliani. Una critica giustificata è una cosa; il pretesto degli insediamenti usato da movimento BDS è tutta un’altra faccenda.

Non vale la pena tentare l’approccio non violento BDS, alla luce del fallimento degli sforzi diplomatici e della lotta armata?
Una campagna condotta da persone che negano il diritto di Israele ad esistere non può nascondersi dietro il paravento di “una campagna non violenta”. Negare il diritto di Israele ad esistere è “politicidio”, annientamento politico: una lampante violazione del diritto internazionale. Qui non si tratta di una lotta per i diritti, ma piuttosto di una lotta volta a prendere di mira e negare il diritto all’autodeterminazione di una particolare nazione.

La pressione internazionale non è forse un mezzo legittimo per raggiungere obiettivi politici?
La pressione internazionale è uno strumento legittimo. Dunque, per quanto spiacevole possa essere, l’Unione Europea ha il diritto di fare pressione su Israele sulla questione degli insediamenti etichettandone i prodotti e cose simili. Ma non si faccia confusione. C’è una grande differenza tra la pressione internazionale volta a promuovere un accordo di pace e la campagna BDS, il cui obiettivo dichiarato è quello di opporsi a qualsiasi accordo di pace basato sul principio “due stati per due popoli”.

Solo perché Iran e Corea del Nord violano i diritti umani, questo significa che Israele può fare altrettanto?
La violazione dei diritti umani è ingiusta in sé, a prescindere da chi la pratichi. Il problema è che, mentre vi sono decine di paesi implicati in conflitti e spaventose violazioni dei diritti umani, una campagna internazionale di questo genere e di questa portata viene condotta quasi esclusivamente contro un solo paese: Israele. Questo dice tutto su chi anima quella campagna, e solo quella. L’ipocrisia non è moralità. La doppia morale non è morale. Le condanne dirette sempre e solo contro Israele non sono critica: sono pregiudizio razzista.

E il blocco di Gaza?
Israele si è ritirato dieci anni fa dalla striscia di Gaza. Non voleva nessun blocco. Il blocco non è contro gli abitanti della striscia: è contro l’enorme sforzo da parte di Hamas di acquisire armi. Una striscia di Gaza fiorente e prospera è nell’interesse di Israele. Il movimento BDS e Hamas hanno a cuore ben altri interessi.

(Fonte: YnetNews, 7 Giugno 2015)
Emanuel Baroz

 

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