19 Jul 2015
Ariel Shimona Edith Besozzi

L’accordo siglato dall’Europa e dagli USA con l’Iran pone la nostra società di fronte ad un problema fondamentale. Cosa siamo: una società di mercato senza alcun freno etico o una struttura politica sociale che si determina e vive anche di mercato?
Non si tratta di una domanda irrilevante perché quando parliamo di Iran oggi stiamo parlando di un regime che ha come obbiettivo dichiarato la distruzione d’Israele, degli USA e l’egemonia sull’intero medio oriente. In questo momento si sta, per l’ennesima volta, manifestando in maniera piuttosto chiara e purtroppo assai violenta, un conflitto radicale all’interno del mondo islamico, un conflitto antico e tribale che oggi però ambisce al possesso dell’arma atomica e che utilizza per esprimersi tutti gli elementi e le strutture della modernità.

L’Europa (come unione e più specificamente Germania, Francia, Gran Bretagna) e gli USA, insolitamente uniti a Russia e Cina, hanno valutato che era più importante aprirsi un mercato piuttosto che rifondare se stessi, facendo autocritica, attraverso una politica economica, e non solo, volta al contrasto diretto del terrorismo islamico. Il pretesto è stato quello di rafforzare gli sciiti in funzione anti-sunnita (anti isis) ma dovremmo sapere, per lo meno dal 11 settembre 2001 che “la campagna contro il terrore è un’operazione complessa che implica la raccolta di informazioni, azioni militari selettive, identificazione di finanziamenti, armi e linee di comunicazione, nonché metodi sofisticati per il controllo e la sicurezza” (J. Sacks). Le scorciatoie, ovvero il tentativo di rafforzare una delle parti a scapito dell’altra, già molte volte utilizzate in passato, non hanno mai dato buoni frutti.
A questo si aggiunge oggi, a distanza di 14 anni dalle Torri Gemelle, il consolidarsi di un elemento che mostra tutta la sua potenziale distruttività: la totale mancanza di un’etica alta e condivisa in seno ai paesi occidentali che possa costruire veri anticorpi al terrorismo.
Credo sia quindi necessario oggi riproporre una considerazione critica relativa a come si è strutturato il pensiero occidentale e provare a rifondarlo. Per fare questo mi servirò del modello che ci viene offerto dalla Torah. Ripercorrendo il pensiero di Jonathan Sacks.
Nella concezione platonica la verità – la realtà, l’essenza delle cose – è universale. Da questo punto di vista, ciò che è vero lo è per tutti e in ogni momento, quindi più una cultura è universale più giunge vicino alla verità. Quindi la particolarità, la specificità porta in se il conflitto. Questa idea, completamente introiettata dalla Grecia antica, da Roma antica, dal cristianesimo, dall’islam e dall’illuminismo pervade ovviamente la società occidentale. Sulla base di questa idea tutto ciò che ha a che fare con il particolare viene considerato come negativo, ostile al raggiungimento delle più alte vette. Quello che però dobbiamo considerare è che questo modello ha legittimato e continua a legittimare l’idea che chi detiene la verità ritiene di poterla imporre a chi non l’ha conferendo la base ideale e teorica che ha dato vita alle crociate, ai pogrom, alle invasioni islamiche ma anche alla Shoah.
In questi tempi di profondo spiazzamento, di perdita di valori, di paura del cambiamento (che facendosi sempre più rapido diviene spaventoso) è naturale che le certezze di alcuni fondamentalismi, siano essi religiosi o politici esercita una forte seduzione su molti, ed il relativismo proposto da una certa cultura non è certamente la soluzione ma piuttosto diviene la causa. Per questo motivo è necessario che alcuni principi fondamentali vengano posti in termini assoluti e mi sembra interessante che proprio nella Torah venga offerta una soluzione chiara ed utilizzabile, i sette precetti noachidi : proibizione di mangiare un membro o un qualsiasi pezzo di carne prelevato da un animale vivo, non pronunciare (in modo blasfemo) il nome di D-o, non rubare, è obbligatorio nominare giudici ed istituire corti di giustizia, proibizione di adorare idoli, non commettere adulterio, non uccidere. Sarebbe forse necessario approfondire ognuno di questi precetti perché hanno un valore assai ampio ma ciò che m’interessa evidenziare è che ci offrono indicazioni chiare e precise, rispetto alle quali possiamo strutturare noi stessi come persone e la società nella quale vogliamo vivere senza rinunciare alla specificità. “Questi comandamenti costituiscono un codice condiviso dell’umanità che precede e trascende la differenza religiosa. Secondo l’insegnamento ebraico, quindi, non è necessario divenire ebrei per servire D-o.”(J. Sacks)
Ciò che fa la Torah è partire dall’universale per andare nel particolare, un particolare che si determina nella propria specificità, nel proprio legame interno, con la terra e con gli altri. Questo determina una dimensione di grandissima libertà perché non costringe nessuno, e nello stesso tempo chiama ognuno ad una responsabilità assoluta nei confronti dell’altro, chiunque esso sia.
Nel momento in cui, per esempio, assumiamo che la vita è un valore assoluto stabiliamo che chi non rispetta questo valore deve essere processato e giudicato.
Ma se vogliamo ragionare in termini più profondi di disagio personale possiamo anche comprendere quanto l’impegno verso un altro essere umano, attraverso il matrimonio, per esempio, non possa essere inteso come un elemento di soddisfazione personale ma debba essere invece assunto come impegno reciproco di rispetto che sottintende uno sforzo di cura e di comprensione, per la relazione.
Siamo esseri sociali, non possiamo prescindere da norme che governino la nostra convivenza, così come non possiamo continuare ad alimentare una società che non chiede più alcun tipo di responsabilità e dovere e che pone al centro la soddisfazione personale, senza alcun filtro né limitazione.
Vi chiederete cosa centra questo discorso con l’accordo sul nucleare iraniano, si tratta del fatto che la società occidentale sta mostrando di non avere più alcun tipo di valore etico e religioso ed è attraversata da un disagio profondo da parte degli individui e dei popoli che la abitano.
Questi continui tentativi di estirpare gli esseri umani dalla propria specificità, non lasciando per esempio i popolo liberi di autodeterminarsi, in nome di un interesse unitario che non ha in sé elementi etici ma soltanto elementi di natura economica, sta creando le condizioni per il riproporsi di spinte marcatamente populiste e razziste. Se lasciamo che il “cambiamento” avvenga sulla base di un momento di forte crisi economica, come è accaduto a seguito della crisi del 1929, non possiamo attenderci esiti differenti da quelli che abbiamo visto nel secolo appena trascorso. Se desideriamo contrastare questo fenomeno e soprattutto non rinunciare alla nostra responsabilità di esseri umani, dovremmo recuperare valori etici forti e nello stesso tempo fare in modo che le specificità presenti sul territorio recuperino la propria identità creativa. A mio avviso popoli con una forte identità specifica possono relazionarsi in maniera positiva con l’alterità ed avere anche la forza di combattere derive universalistiche pervase da una totale assenza di principi etici condivisi, come sono i terrorismi.
Per fare questo però è necessario che ogni essere umano divenga consapevole di avere la possibilità di scegliere, sempre, non siamo impotenti, ognuno di noi è chiamato ad essere la migliore persona possibile, ognuno di noi è chiamato ad agire perché la propria famiglia, città, paese, fino al mondo intero siano il miglior posto possibile. Nessuno di noi può esimersi dall’agire tutto se stesso perché non prevalga la ragione del mercato sulla vita, perché non prevalga il terrorismo sulla libertà di vivere.
Avendo una forte base etica non dovremo temere la perdita d’identità nell’incontro con l’altro e nello stesso modo non dobbiamo lasciare che l’assenza di principi etici possa legittimare un regime del terrore come è l’Iran!
Il futuro non si costruisce sulle commesse di vendita di prodotti, si costruisce educando le prossime generazioni (e noi stessi) a vivere secondo una forte base etica condivisa che libera le specificità!
Ariel Shimona Edith Besozzi

 

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