23 Jul 2015
Ariel Shimona Edith Besozzi

Ho acquistato (purtroppo!), avendone letto la recensione su uno degli ultimi numeri di Pagine Ebraiche, un libro del quale non dirò il titolo perché non ne consiglio né l’acquisto né la lettura.
Credo però sia interessante condividere alcune riflessioni in merito all’argomento trattato ed anche alla modalità con la quale questo libro sceglie di trattarlo. Si tratta della relazione tra essere umano ed animale, in particolare il testo in questione sembrerebbe voler trattare di questa relazione nell’ebraismo. Ho trovato assai discutibili in particolare due elementi: il primo è quello di fare come se non esistesse, all’interno dell’ebraismo, una riflessione aperta ed articolata che dichiara e “promuove” un ritorno ad una alimentazione vegetariana (ma si potrebbe dire vegana) tentando di fare passare alcune analisi e riflessioni come assolutamente uniche, unicamente elaborate dalle autrici; il secondo elemento è quello che caratterizza il corpo centrale del testo e che determina una posizione di accusa nei confronti dell’ebraismo per tutta una serie di “atrocità” che accadano nel mondo nei confronti degli animali.

Durante il mio percorso personale di comprensione e di scelta non ho potuto, negli anni, evitare di pormi una seri di domande in merito al perché ci sono state date tantissime regole e molti limiti legati all’alimentazione. Per questo motivo ho iniziato a cercare, all’interno dell’ebraismo, ed a leggere diversi testi e questo mi ha permesso d’incontrare, per esempio, le parole di : Abraham Ibn Ezra (1092-1167), Maimonides (1135-1214), Nachmanides (1194-1270), e Il Rav Joseph Albo (morto nel 1444), Secondo Isaac Arama (1420-1494) o di studiosi più recenti, come il Rav Samson Raphael Hirsch (1808-1888), Moses Cassuto (1883-1951), e Nehama Libowitz (1905-1997), Rav Kook (1865-1935), Isaak Hebenstreit, un rabbino Polacco autore di “Kivrot Hata’avah” (le Tombe del Desiderio) del 1929 (da cui evidentemente le autrici hanno attinto a piene mani senza mai citarlo), piuttosto che Rav Yonassan Gershom, un moderno rebbe Chassidico del Minnesota, per non parlare dell’interessante lavoro di Joe Green. Ma non sarei esaustiva se dovessi omettere di ricordare quanto profondamente mi hanno influenzata nella scelta di andare verso un alimentazione vegana alcuni autori come I. B. Singer, ma anche J. S. Foer.
Ho poi avuto l’onore di conoscere Rav Stephen Fuchs, e che ha scelto di diventare vegano ( come lui moltissimi rabbini in tutto il mondo appartenenti a tutte le diverse denominazioni dell’ebraismo) proprio a partire da una profonda analisi ed uno studio specifico di Bereshit e non solo. Questo mi ha permesso di approfondire ulteriormente il lavoro prodotto (prevalentemente nel mondo anglosassone ma che coinvolge l’intero mondo ebraico) di studio ed analisi della Torah e del Talmud.
Mi è parso evidente, leggendo le opere di questi autori, che la riflessione attorno alle ricadute che le scelte alimentari e non solo, possono avere su tutto il creato, all’interno dell’ebraismo mondiale, è molto vivace e che i nostri maestri non hanno mai smesso, nel corso dei secoli, d’interrogarsi in merito.
In particolare, ricorre in molti dei commentatori citati, l’idea che l’essere umano dovrebbe tendere a tornare ad una alimentazione vegetariana, e che questo in qualche modo possa essere considerato uno degli elementi di teshuvà, di riparazione. Ciò che contraddistingue le riflessioni dei maestri è un’attenzione molto grande alla sofferenza degli animali ed il richiamo continuo alla responsabilità, individuale e collettiva, degli esseri umani in tal senso. Questo richiamo alla responsabilità viene dalle autrici completamente frainteso e considerato una forma di antropocentrismo che presuppone il controllo e l’uso della natura. I Maestri rilevano che la Torà ci insegna che se l’uomo si insuperbisce si può sempre ricordargli che perfino la zanzara è più antica di lui.
Altrettanto evidente, leggendo i testi, è il fatto che, per esempio, l’animale che soffre non può essere considerato kosher ancorché sottoposto alla macellazione rituale in maniera appropriata.
D’altro canto, sono consapevole del fatto che, all’interno dell’ebraismo, ci sono anche diversi autori e commentatori che, possono assumere posizioni molto differenti. Ciò che mi ha lasciato molto perplessa è la scelta fatta dalle autrici di concentrare tutta la loro attenzione proprio su queste ultime posizioni e non sulle altre.
Nel ragionare attorno a questo come ad altri temi, mi sembra importante ricordare che, uno degli elementi essenziali che contraddistinguono il pensiero ebraico è la discussione continua e l’assenza di dogmatismo. Cosa che le autrici negano attribuendo agli ebrei assoluta incapacità critica ed un comportamento dogmatico nei confronti delle certificazioni kosher, cosa assurda per chiunque conosca anche solo vagamente il mondo ebraico.
Si tratta di una questione delicata ed estremamente articolata, che merita sicuramente una trattazione più ampia. Ciò che però mi preme dire è che le autrici del libro in questione hanno compiuto un’operazione molto ambigua, che personalmente trovo poco stimolante per i fini che dichiarano di avere (la salvaguardia degli animali ed il rispetto per la loro vita), ma che rischia di essere invece, spudoratamente antisemita, nella misura in cui non solo sceglie di non dar conto dell’opera dei molti che stanno da secoli condizionando positivamente i comportamenti all’interno dell’ebraismo in merito alla determinazione di una scelta alimentare vegetariana ed un’attenzione particolare per la vita degli animali, ma soprattutto perché fa ricadere sugli ebrei le colpe di ogni disgrazia…
Nella prima e nella ultima parte del libro le autrici analizzano i testi e pongono molte riflessioni, già fatte dagli autori e dai maestri che ho citato sopra nel corso dei secoli, senza citare nessuno di questi e spacciando quindi come personali riflessioni che evidentemente non lo sono. Nella parte centrale invece incolpano gli ebrei d’essere responsabili della sofferenza degli animali, dell’estinzione di diverse specie in tutto il mondo, della diffusione degli ogm, nonché del morbo della mucca pazza…
Insomma un delirio. E’ delirio di onnipotenza o odio di sè?
Certamente è utile e necessario aprire una riflessione in merito alle condizioni degli animali, all’utilizzo degli ogm, alla distruzioni degli eco-sistemi che ha portato e sta portando all’estinzione di molte specie. Per fare questo trovo indispensabile e stimolante ripercorrere le parole della Torah prima di tutto, ma anche del Talmud e di molta letteratura rabbinica successiva, per accrescere la consapevolezza e stimolare ad un’assunzione di responsabilità da parte di chiunque mangi, ma da questo all’ambigua operazione posta in essere da queste autrici, ne corre!
Per porre una riflessione seria e profonda su questi temi è necessario demonizzare l’ebraismo? L’halachà? I “decisori”? Va bene, il popolo ebraico è sicuramente molto importante per tutta la storia dell’umanità, ma davvero possiamo sostenere che a causa di alcune decisioni prese da alcuni certificatori o rabbini nel mondo queste “hanno condizionato anche i non ebrei, tanto che la sorte degli animali selvatici che abitano altre regioni remote della terra è ancora più infelice.”?
Ciò che spiace, dal punto di vista di chi sceglie ostinatamente d’interrogarsi su ciò che mangia e quanta sofferenza o sfruttamento può avere generato per produrlo, da parte di chi attraverso la necessità di osservare i precetti non si accontenta del fatto che un cibo abbia un marchio che ne determini l’adeguatezza ma che analizza e controlla come e da chi viene posto il marchio kosher, ogni riflessione che potrebbe essere condivisibile e presentare uno stimolo ad una riflessione più ampia e certamente sempre necessaria si trasformino invece in manifestazioni di risentimento e di odio; fino a risultare perfino fastidiosa per chi condivide alcune delle istanze di base proposte. Non sarebbe stato forse più efficace, proprio per stimolare la riflessione e l’autocritica, proporre tutte le riflessioni e le modalità contenute nell’ebraismo, piuttosto che fingere d’aver inventato l’unico approccio attento al benessere degli animali del pensiero ebraico?!
Ci sono, disponibili anche sul web molte interessanti riflessioni condotte anche nell’ebraismo italiano da eminenti rabbini in merito che dimostrano quanto sia faziosa la posizione delle autrici. Prendendo soltanto l’ultima in ordine di tempo, si può leggere la breve intervista apparsa su la Repubblica il 1 luglio 2015, a Rav Di Segni. “Su un punto ritengo siamo tutti d’accordo: la loro sofferenza (quella degli animali) non è mai accettabile.” con questa frase chiude il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma. Leggendo le sue parole non possiamo che riconoscere in queste proprio la tradizione cui accennavo, di cui le autrici fingono di essere le inventrici.
Gli animalisti italiani, in genere, tendono ad essere piuttosto vocati all’antisemitismo, non so bene per quale ragione ma sembrano scandalizzarsi molto di più per la macellazione kasher e molto meno per quella hallal (che non presenta alcun tipo di caratteristica di attenzione nei confronti della sofferenza degli animali) e soprattutto, in proporzione, direi quasi per nulla, di quella non rituale, praticata dalla stragrande maggioranza dei macelli ( che non ha alcun livello di attenzione per la sofferenza degli animali!).
Ciò che mi chiedo ogni volta è: ma se davvero hanno a cuore la vita degli animali perché si accaniscono su una macellazione che riguarda percentualmente meno dello 0,2% del potenziale consumo da parte degli esseri umani del mondo?
Non avrebbe forse maggiore senso ragionare sulla struttura delle culture che, non avendo alcuna specifica limitazione, permettono alla maggior parte della popolazione mondiale di macellare e mangiare qualunque tipo di animale, vissuto in qualsiasi modo e a prescindere dalla sofferenza che questa scelta provoca nell’animale stesso?
Ma soprattutto, se si tratta di salvare gli animali, perché pensare sia possibile solo attraverso una “redenzione collettiva” degli ebrei e non anche attraverso chi, tra tutte le genti del mondo, sceglie un’alimentazione vegana per motivi di salute (cosa aspramente criticata dalle autrici come da tutto il mondo animalista)?
A quale pubblico si rivolgono le autrici? Si sono rese conto del potenziale uso che si può fare del loro libro?
Può essere un caso che il libro sia stato pubblicato dalla stessa casa editrice, nella stessa collana, che ha pubblicato uno dei “manifesti” del BDS in italia?
Che ci sia forse una certa perversione in questo modo di rappresentare la relazione tra ebrei ed animali?
La riflessione in merito alla relazione tra animali ed ebrei è molto vivace all’interno del mondo ebraico nel mondo, non è necessario porre la questione in questo modo perché lo sia anche in italia, un libro con queste caratteristiche di superficialità e di distorsione della realtà non alimenta una riflessione critica, distrugge invece, inutilmente!
Vorrei che tenessimo sempre presente che l’amore per gli animali non deve giungere al punto da farci perdere il rispetto per gli esseri umani. Ad un inutile “sacrificio”, quello degli animali ingiustamente trattati, non è necessario sostituire il “sacrificio” di un popolo.
Vorrei imparassimo dagli animali, come auspicano le autrici e non fanno, a non “sacrificare” la vita di nessuno!

arielshimonaedith.wix.com

 

One Response to SE L’ANIMALISMO DIVENTA FONDAMENTALISMO?

  1. Elisabetta ha detto:

    Articolo molto interessante, per me che da “autodidatta” sono una disordinata appassionata sia di cultura ebraica che di tematiche animaliste. Per me l’anello di congiunzione tra le due è stato il carissimo Paolo De Benedetti e sul piano letterario Isaac Singer. Non ho idea di quale sia il libro commentato, ma mi sembra di capire che in esso l’animalismo (orrendo -ismo cui vorrei sottrarmi) sia in realtà non un fine ma un mezzo. Spesso mi è capitato di vedere associate macellazione kosher e halal, ma per lo più per ignoranza, così come ho sentito esprimere da parte di non ebrei viva indignazione per la macellazione kosher, dimenticando le dimensioni dell’orrore che produce la fettina non kasher. Credo anche che vi sia purtroppo un nesso tra animalismo e antisemitismo per il semplice fatto che il primo come il secondo si colloca in una galassia di sinistra. Cordiali saluti, Elisabetta Noè

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