Parigi 13 novembre 2015

La disperazione non è mai stata per noi una giustificazione.

Hanno distrutto il nostro santuario di Gerusalemme e ci hanno portato in catene nelle strade di Roma. Ci hanno buttato nelle arene per fare divertire gli spettatori mentre i leoni ci sbranavano vivi. Ci hanno bruciato negli autodafé, chiamati marrani, maiali, ci hanno proibito di accendere le candele al venerdì sera e di pregare nella lingua dei nostri padri. Ci hanno cacciato dalla Spagna, costringendoci a cercare nuovi paesi che ci accogliessero. Ci hanno massacrati nei pogrom, devastato le nostre sinagoghe, arruolato i nostri figli in eserciti da cui non sarebbero mai più ritornati. Ci hanno tolto il diritto di lavorare, di possedere, di votare, di parlare. Ci hanno spogliato della dignità di cui ogni essere umano dovrebbe godere per diritto alla nascita, strappandoci i denti d’oro dalla bocca e marchiandoci a fuoco come bestie al macello. Ci hanno urlato per secoli ‘tornatevene nella vostra terra’ e ora che ci siamo tornati ci urlano ‘andatevene’.

Eppure noi ebrei siamo parte indissolubile del tessuto della storia del mondo.

La presenza ebraica è il comune denominatore per la maggior parte dei paesi sulla cartina geografica.

In ogni posto della terra dove siamo approdati abbiamo generato poeti, matematici, fisici, scrittori, politici, scienziati, medici, inventori.

Anche quando ci chiudevano nei ghetti, abbiamo continuato a produrre. Non abbiamo smesso di scrivere, di riflettere, di discutere e di cercare di infondere il bene .

Non abbiamo messo la nostra vita in standby nemmeno per un istante.

Non ci siamo coperti la testa di cenere per migliaia di anni.

Ci hanno cacciato, derubato, privato, spogliato, ucciso, massacrato.

Abbiamo caricato in spalla il nostro destino e nel cuore l’eredità spirituale dei nostri avi e siamo andati alla ricerca di un nuovo posto in cui ricominciare a respirare.

Non c’è tempo né voglia di piangersi addosso per chi cresce sapendo che ogni istante in questo mondo è la ricchezza più grande che si possiede, per coloro a cui viene insegnato che la vita è un regalo da sfruttare in ogni istante che ci viene regalato.

E non c’è nemmeno spazio per il rancore.

Siamo tornati in Germania, in Italia, in Francia senza più genitori, fratelli, mogli e figli. Ci siamo messi sotto alle finestre a guardare altri vivere nelle case che prima della guerra ci appartenevano.

Ci siamo alzati le maniche, scoprendo numeri impressi a fuoco nel braccio e nell’anima e abbiamo ricominciato da capo.

I paesi invasi dalle ondate migratorie dovrebbero studiarsi la storia ebraica e il nostro modello di integrazione.

Ovunque siamo andati, abbiamo fatto attenzione a non scivolare sulle nostre lacrime.

Non abbiamo aspettato la pietà, la compassione dei paesi che ci accoglievano. Abbiamo detto grazie e, dal primo istante, cercato di integrarci nel tessuto sociale del luogo che ci ospitava donando i nostri talenti e il nostro potenziale per lo sviluppo e l’avanzamento. Per il futuro nostro e degli altri.

C’è chi usa la disperazione per giustificare i massacri di innocenti.

E chi cerca di accantonare la disperazione nel cassetto dei ricordi e risalire la china concentrandosi sulle nuove opportunità offerte.

Gentile Hillary Clinton, politici europei e italiani che cercate una ragione, un motivo dietro alla trasformazione di questi esseri umani in schegge mortali.

Anche se scopriste una loro situazione personale tragica, seppure in molti casi queste persone abbiano in un tenore di vita allineato con la società in cui vivono, anche se così fosse, nulla, nulla, può giustificare la violenza cieca contro altri esseri umani. Nulla, nulla, può dare il diritto a un individuo di privare un altro del suo domani.

E andare alla ricerca di giustificazioni significa preparare un terreno fertile per i prossimi atti.

Mai un popolo è stato trattato peggio dalla storia come quello ebraico.

Eppure, ovunque ci abbia portato il vento dell’odio, ci siamo integrati, abbiamo imparato la lingua del posto, studiato a memoria Foscolo, Quasimodo e Leopardi.

Abbiamo ideato le lasagne al ragù senza latte, sappiamo che sta a noi doverci inserire nel luogo dove viviamo. Non abbiamo mai domandato che fosse il paese che ci accoglieva ad adeguarsi alle nostre usanze.

Dina demalchuta dina, la legge del posto deve diventare la tua legge, dice il Talmud.

Ai leader che vanno alla ricerca di giustificazioni per atti assassini e criminali, forse sarebbe il caso di offrire qualche lezione di storia ebraica.

L’integrazione vera, anche dei più disperati della storia del mondo, è possibile e può diventare realtà. Ma dipende innanzitutto dai valori che trasmettono la religione e la famiglia dei nuovi arrivati. E dalla loro volontà di entrare a far parte in maniera positiva e costruttiva della società che li accoglie.

Gheula Canarutto Nemni

gheulacanaruttonemni.com

 

6 Responses to Cari Hillary Clinton e leader del mondo, la disperazione non è mai una giustificazione

  1. Dante ha detto:

    Chiedo scusa… se siete così bravi, come mai venite perseguitati da migliaia di anni!? E, ripeto, se siete così bravi, come mai continuate a rubare terra alla Palestina!?

    Anche gli USA dicono di essere bravi e democratici… ma nessuno li crede. Perché mai dovremmo credere a voi che fate le stesse cose che fanno loro!?

    Un’ultima cosa: in ogni paese del mondo c’è qualcuno che genera un filosofo, uno scienziato, un economista, ecc ecc. Perché mai quelli vostri dovrebbero essere “migliori” degli altri!?

    Chiarisco subito un punto: non incito né all’odio etnico e né alla morte; per me, nessuno ha il diritto di togliere la vita a nessuno e men che meno le ingiustizie; ma! ad un certo punto, bisognerà pur domandarsi: “come mai sto sul cazzo da così tanti secoli!?” Ci sarà un motivo?! Siamo troppo bravi? Siamo troppo stronzi!? Siamo troppo chiusi?! Siamo troppo espansivi?!

    Prima ci si risponde – in modo oggettivo e dimenticandosi di essere figli di Israele o figli di Italia o altro e poggiando una mano in testa ( non dico sul cuore perché il cuore è un muscolo che pompa sangue, non produce ragionamento ) – e meglio è.

    • Claudio ha detto:

      Ma se “stanno sul cazzo a qualcuno”, il problema di chi sarà? di quelli che stanno sul cazzo o di coloro ai quali gli ebrei stanno sul cazzo? A me gli ebrei/israeliani non danno nessun fastidio e non li ho mai visti fare stragi come fanno alcuni musulmani, né mi risulta che abbiano creato regimi come quelli nazista e fascista (e non mi si venga a dire che Israele oggi è intollerante: tanto per citare un singolo aspetto, alla Knesset siedono parlamentari arabi; nei territori palestinesi agli ebrei è concesso di sedere al parlamento? Può darsi che io non sia ben informato, ma non mi risulta). Se c’è qualcuno che si è definito “superiore” agli altri, non sono certo gli ebrei. E io non sono ebreo.

    • Claudio ha detto:

      Dimenticavo:
      io sono gay. Lo sai che oltre 1000 “froci” come me hanno dovuto abbandonare i territori palestinesi per fuggire in Israele e molti di loro sono già stati accolti. Per loro una speranza di vita normale. Sarebbero sicuramente rimasti volentieri con la loro gente, ma di fronte alle persecuzioni a cui sono soggetti, se non alle uccisioni, hanno preferito affidarsi alla DEMOCRAZIA ISRAELIANA.
      Se poi spaziamo oltre i confini della Palestina-Israele, e ci spostiamo in Iran, lì i froci li ho visti io appesi ai bracci delle autogru, solo perché gay. Questa è tolleranza?
      Yëhi Israel ledor vador!

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