In uno dei suoi libri più belli, L’eredità di Auschwitz, Georges Bensoussan scrive, “Oggi, la shoah è talmente commemorata da generare insofferenza. Essa, infatti, rappresenta la parte indicibile della memoria europea, la sua parte vergognosa, e illumina nella maniera più cruda la storia della lunga assuefazione allo sterminio degli ebrei. Il suo insegnamento mette in discussione quel ‘corso delle cose’ che, abbandonato a se stesso, come scriveva Walter Benjamin, conduce sempre alla catastrofe”.

L’indicibilità della memoria di cui parla Bensoussan è anche quella che continua a restare tale per la sua intollerabilità, per l’impossibilità di potersi confrontare effettivamente con essa. In questo senso il ricordare, il commemorare rischiano di diventare pura formalità, un automatismo istituzionalizzato in cui la retorica e la demagogia la fanno da padroni. Tutto l’apparato memoriale diventa allora scenografia dolorista e sentimentale in cui si ripetono formule stantie, si ritualizza un “dovere” di ricordare che suona sempre lo stesso spartito riducendolo all’insignificanza. Diventa dunque primario riflettere su ciò che sta a monte della catastrofe, ragionare sulle cause che l’hanno resa possibile, perché solo in questo modo il ricordo, il protendersi verso i morti, diventa realmente azione civile e politica, ancorata al presente e non a un passato definitivamente sepolto. Cosa significa? Significa essere consapevoli che ciò che è stato e si è dato con una potenza di distruzione senza pari nei confronti di un popolo per il solo fatto di essere quel popolo, di appartenere genealogicamente, religiosamente e culturalmente a una storia umana e a nessun’altra diversa da essa, non ha esaurito la propria possibilità di essere. Non significa vivere nella paura di un’altra shoah, sotto la cupa ombra di una minaccia, ma nemmeno pensare che tutto è stato per sempre liquidato.

L’attualità, la tetra attualità che ci racconta ogni giorno di un odio mai sopito per Israele e di un ravvivarsi dell’antisemitismo in Europa, sta come segno e ammonimento che i presupposti che hanno già agito nella storia molte volte e nella shoah hanno raggiunto il loro apice più spaventoso in virtù della potenza inaudita della tecnica messa al servizio dei mezzi di distruzione, quei presupposti esistono ancora, sono vivi.
L’assassino vuole che gli siano forniti alibi in modo da sentirsi più libero di agire e il corso delle cose abbandonate a se stesse di cui parla Benjamin è la condizione primaria della colpa. Quella dei testimoni, dell’opinione pubblica. La negligenza, la sottovalutazione, l’indifferenza. In altre parole, la mancanza di attenzione. E’ nella mancanza di attenzione che il male trova il terreno più fertile per crescere. Se non si vuole fare solo del teatro per i buoni sentimenti del momento, il ricordare non può essere disgiunto dalla consapevolezza, e la consapevolezza dalla vigilanza e la vigilanza dall’azione.

 

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