Il 4 gennaio scorso Avvenire pubblica un articolo d’antan di Giuseppe Dossetti dal titolo emblematico, “Antisionista non significa antisemita”. Perché lo fa? Evidentemente perché si riconosce nelle posizioni espresse dall’autore, le quali ruotano intorno a certi topoi immarcescibili di coloro i quali-siccome essere antisionista non significa essere antisemita-sarebbero autorizzati a utilizzare contro lo Stato ebraico tutto il repertorio nero e criminalizzante che per secoli è stato usato contro gli ebrei, e al quale la Chiesa, nella sua lunga storia, ha dato un contributo devastante. Ma ascoltiamo la voce dell’autore:

“Alcuni dei dogmi più indiscussi su cui sinora si è fondata l’opinione occidentale relativa al conflitto mediorientale, debbono proprio essere rifiutati. Si deve rifiutare, per esempio, che lo Stato sionista, così come è nato e sinora si è configurato, possa tollerare nel proprio interno l’esistenza di una popolazione araba. È ora che proclamiamo chiaramente che questo non è possibile. Sinora noi stessi, per venti e più anni, su questo punto siamo stati reticenti. Ci siamo anche noi lasciati intimidire nella memoria dell’Olocausto e dal ricatto che qualunque manifestazione di antisionismo equivale all’antisemitismo, del quale i cristiani si sono resi più volte colpevoli. Anche noi, alla fine, non siamo arrivati a separare il puro dall’impuro. Cioè ben altro è il piano dell’ebraismo in quanto religione dei Padri; e invece il piano di una concrezione politica, il «sionismo realizzato», intrisa di grossolani errori, di smisurate violenze e ingiustizie, e adesso di sacrilegi sanguinosi”.

Dossetti, con affermazione perentoria, si sottrae al “ricatto” che eserciterebbe la memoria della Shoah, ovvero che non sia possibile criticare Israele dopo di essa perché se no si verrebbe accusati di antisemitismo.

Deve davvero essere stato un ricatto di scarsa presa se fin da subito, dopo la Guerra dei Sei Giorni, dal 1967 in poi, Israele è stato costantemente fatto oggetto, fino ai nostri giorni, di una demonizzazione senza pari rispetto a qualsiasi altro stato democratico, demonizzazione confezionata dagli stati arabi con l’ausilio dell’Unione Sovietica e di cui l’ONU è stato cassa di risonanza assai efficace. Fu lì, infatti, che, dietro ben altro ricatto, quello subito dall’Europa da parte dei potentati arabi con la crisi petrolifera del 1973, Yasser Arafat venne legittimato come unico portavoce della “causa palestinese” e invitato a parlarci nel 1974, durante una seduta plenaria in cui, riferendosi a Israele in modo denigratorio come l’”entità sionista” lo presentò al pubblico come il frutto guasto dell’imperialismo e del razzismo. E da allora si è poi provveduto, in un orgia apicale di diffamazione a trasformarlo in stato razzista, nazista, genocida, praticante l’apartheid. Ora, tutto questo, probabilmente non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, tuttavia gli assomiglia molto, basandosi com’è sul suo stesso presupposto base, la colpevolezza dell’ebreo e la sua mostrificazione. Dossetti stesso, finalmente sottratto al ricatto, ci aiuta a “separare il puro dall’impuro”, nobilitando l’ebraismo biblico come “religione dei Padri” e bollando il sionismo come impresa criminosa, “intrisa di grossolani errori, di smisurate violenze e ingiustizie e adesso di sacrilegi sanguinosi”.

Il Lutero di “Gli ebrei e le loro menzogne” avrebbe annuito. Ma certamente Dossetti non era antisemita, si limitava solo a traslare su Israele le accuse e le invettive che la Chiesa ha rivolto agli ebrei nel corso di secoli e secoli. Nel suo caso si deve essere trattato di azione irriflessa, di pregiudizi inconsci. Tuttavia, come si può non pensare nel leggere il riferimento ai “grossolani errori” al fondamentale e gigantesco errore teologico dell’ebraismo, secondo la prospettiva cristiana, nel non avere accettato la messianicità di Gesù? e “le smisurate violenze” e i “sacrilegi sanguinosi”, come fanno a non evocare le accuse di omicidio, avvelenamenti, profanazioni e sacrifici umani, nello specifico quelli nei confronti dei bambini cristiani che, costituendo vere e proprie leggende nere, ricorrevano nel Medioevo come accuse rivolte agli ebrei? Accuse che oggi, sono ancora in voga nell’ambito della pubblicistica antisemita islamica che le ha fatte proprie ereditandole in blocco dall’antisemitismo occidentale.

Quindi sì, si può essere antisionisti, riciclando con disinvoltura quello stesso vocabolario dell’antigiudaismo cristiano classico, sottraendosi al “ricatto” esercitato (questo non è dichiarato ma è implicito) dagli ebrei e dalla loro pressione sull’opinione pubblica. Pressione come si è visto, assai tenue, visto l’enorme successo conseguito dalla diffamazione perpetua di Israele. E’ vera tuttavia una cosa, essere antisionisti non significa automaticamente essere antisemiti. Basta un accorgimento per evidenziarlo, che però Dossetti evita, e Avvenire pure nel riciclare questo suo scritto. Basterebbe, per esempio, affermare che il sionismo come movimento di emancipazione di un popolo al fine di configurarlo come nazione autonoma, non sia legittimo in quanto tale e che gli ebrei avrebbero dovuto restare sempre confinati alla diaspora. Bisognerebbe poi spiegare perché avrebbe dovuto essere loro negato di tornare a vivere pacificamente su una terra che gli ha dato origine come popolo e a cui culturalmente, storicamente e spiritualmente sono sempre stati legati. Ma questo è un altro discorso e non è quello di Dossetti legittimato da Avvenire, una mera foglia di fico.

progettodreyfus.com

 

One Response to Avvenire e l’antisemitismo in maschera: un vecchio articolo di Giuseppe Dossetti riproposto ultimamente dal quotidiano cattolico

  1. Claudio ha detto:

    A volte mi sembra che parte del mondo occidentale e non solo, ragioni in questo modo:
    “Ma perché, voi ebrei, volete avere uno stato vostro? in fondo state bene nei paesi dove vi trovate, siete accettati, sufficientemente integrati e benvoluti. Rinunciate dunque alla terra di Israele e lasciatela ai palestinesi”.
    Non è che queste persone dimenticano che gli ebrei nella storia (anche per colpa di certo clero corrotto e di un determinato mondo cattolico) hanno subìto massacri, persecuzioni, uccisioni, campi di concentramento, disprezzo, umiliazioni come cittadini di serie B, sono stati costretti ad abitare i ghetti o sono diventati capri espiatori nella ricerca di un colpevole quando scoppiavano epidemie. Ancora in tempi recenti sono stati cacciati da molti paesi di matrice islamica. E siamo poi così sicuri che oggi gli ebrei siano ovunque benvoluti anche nel mondo occidentale? Che dire delle violenze nei loro confronti soprattutto da parte di facinorosi islamici? Il ragazzo ebreo torturato ed ucciso da coetanei arabi a Parigi, gli attentati occasionali alle sinagoghe, l’uccisione di un bambino ebreo anni fa in occasione di un attentato a Roma, il portatore di handicap ebreo buttato a mare da squallidi terroristi palestinesi. Che cosa devono ancora subire per avere diritto ad una propria terra?
    A qualcuno tra noi cattolici non sorge il dubbio che chiunque al posto degli ebrei desidererebbe una terra dove sentirsi a casa e protetti? Perché un italiano deve avere una sua patria e un ebreo no?
    Di cosa dobbiamo scandalizzarci? Dell’esistenza di Israele o della violenza perversa perpetrata da islamici e palestinesi? Cari amici cattolici (come me), è troppo facile fare i deboli con i violenti (islam) e i forti con i pacifici(ebrei): sappiamo bene che a critirare Israele non si corrono rischi, … perché non provate a lanciare qualche accusa all’islam, invece di quel troppo frequente ossequioso ed ipocrita comportamentei di servilismo.

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