Il problema per l’Olp/Autorità Palestinese è che il mondo è radicalmente cambiato mentre loro hanno continuato ad abbracciare i terroristi sperando sempre di farla franca

Di Caroline B. Glick

Caroline B. Glick, autrice di questo articolo

L’Olp e più in generale la causa palestinese stanno affondando nell’irrilevanza, ma anziché riformare le loro politiche per ristabilire la loro posizione, hanno adottato una politica della terra bruciata che non fa altro che intensificare la loro corsa verso il basso.

All’apparenza la loro situazione non sembra poi tanto male. Il mese scorso l’Olp ha ottenuto che 128 paesi votassero a favore della risoluzione anti-americana contro il riconoscimento del presidente Usa Donald Trump di Gerusalemme come capitale d’Israele. Uno degli stati che hanno votato con loro è stata l’India. Israele è rimasto sconcertato dal voto dell’India. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu promuove giustamente la crescita dei legami bilaterali tra Israele e la più grande democrazia del mondo. La straordinaria visita in Israele del primo ministro indiano Narendra Modi dello scorso luglio ha messo in evidenza il cambiamento in corso, e la visita di Netanyahu a Nuova Delhi alla fine di questo mese cementerà la nuova alleanza. Modi non solo coltiva con entusiasmo rapporti più stretti con Israele. Si è anche avvicinato a Israele, rispetto a tutti i suoi predecessori, per quanto riguarda il conflitto con l’Olp. Nel 2015 l’India si è astenuta su una risoluzione anti-Israele al Consiglio Onu dei Diritti Umani. Poi Modi ha evitato di visitare l’Autorità Palestinese durante la sua visita in Israele. E durante la visita in India di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), capo dell’Olp e presidente dell’Autorità Palestinese, all’inizio di quest’anno, Modi si è rifiutato di dichiarare, come avevano fatto i suoi predecessori, che la capitale di un futuro stato palestinese deve essere a Gerusalemme est.

Eppure, il mese scorso all’Onu sembrava che non fosse accaduto nulla di tutto questo e che l’India fosse tornata al suo precedente atteggiamento di cieco sostegno all’Olp, unendosi al coro che attaccava l’America per aver riconosciuto che la capitale di Israele è a Gerusalemme. Dal canto loro, i palestinesi erano comprensibilmente euforici. Ora, pensavano, siamo di nuovo in sella, Trump è un’aberrazione passeggera e il mondo, India inclusa, continua a sostenerci a qualunque costo: siamo tornati al punto in cui eravamo nel 1975, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 3371 che definiva il movimento di liberazione nazionale ebraico una forma di razzismo.

Il rappresentante palestinese in Pakistan Walid Abu Ali (secondo da sinistra) esulta insieme al capo stragista islamista Hafiz Saeed (secondo da destra) durante un evento pubblico a Rawalpindi

Poi, meno di una settimana dopo il voto dell’Onu, il rappresentante dell’Olp in Pakistan, Walid Abu Ali, ha condiviso il palco di un evento pubblico a Rawalpindi con Hafiz Muhammad Saeed, il cervello degli attentati terroristici del 2008 a Mumbai. Saeed, capo dell’organizzazione terrorista islamista Lashkar e-Taibi, è ricercato dall’India non solo per il massacro di oltre 160 persone negli attacchi a Mumbai, ma anche per il suo coinvolgimento in altri attentati terroristici del 2006 nella stessa città che  causarono la morte di più di 200 persone, nonché per una sparatoria del 2001 al parlamento indiano in cui vennero uccise altre 14 persone. Il rappresentante palestinese Abu Ali non pensava che la sua decisione di abbracciare un terrorista assassino di massa potesse comportare alcuna conseguenza: è quello che l’Olp ha sempre fatto, e così ha tranquillamente postato on-line la foto di se stesso in compagnia di Saeed.

E qui si è visto che, nonostante il voto dell’India all’Onu, le cose sono realmente cambiate. E parecchio. I social network indiani sono esplosi di rabbia contro i palestinesi e l’Olp. L’umore più comune era: “Ecco come ci ripagano per averli sostenuti all’Onu abbandonando Stati Uniti e Israele”. Le immagini dell’abbraccio fra Saeed e Abu Ali sono state ampiamente e furiosamente riportate dai mass-media indiani. Di conseguenza, Abu Mazen ha dovuto precipitosamente annunciare che avrebbe richiamando il suo rappresentante Abu Ali. Ottimo, se fosse stato vero. Ma in questi giorni è giunta la notizia che Abu Ali è tornato in attività a Islamabad.

Il comportamento dell’Olp con Abu Ali e l’India indica tre cose. Primo, che l’Olp/Autorità Palestinese non è più immune dalle critiche nemmeno negli ambienti in cui ha goduto di sostegno incondizionato per mezzo secolo. Secondo, che l’Olp/Autorità Palestinese è incapace di cambiare il proprio comportamento, anche quando è ben consapevole che dovrebbe farlo. Infine, che Olp e Autorità Palestinese operano ancora nella convinzione che i paesi continueranno a sostenerli all’infinito perché sono convinti che la base di tale sostegno è rimasta invariata. Il problema per l’Olp/Autorità Palestinese è che il mondo è radicalmente cambiato mentre loro hanno continuato ad abbracciare i terroristi sperando sempre di farla franca.

Questa settimana, l’Economist ha pubblicato i suoi dati annuali sul Pil pro capite nei vari paesi del mondo. Per la prima volta, il Pil pro capite di Israele ha superato quota 40.000 dollari. Più precisamente, secondo i dati dell’Economist, il Pil pro capite in Israele è salito dai 38.127 dollari del 2016 ai 44.019 dollari del 2017. L’anno scorso il Pil è cresciuto del 4,4%. Oggi il Pil pro capite israeliano è superiore a quello di Giappone, Gran Bretagna e Francia e si prevede che negli anni a venire il divario a favore di Israele tenderà ad ampliarsi. Nel regione, i vicini di Israele rimangono un caso disperato economico e politico. Come ha notato Guy Bechor all’inizio di questa settimana, il Pil pro capite egiziano di 2.519 dollari è un diciassettesimo di quello israeliano. Il reddito pro capite della Giordania è diminuito lo scorso anno da 4.648 a 4.135 dollari e le prospettive per il 2018 non sono positive.

Lo scoop del New York Times dello scorso 6 gennaio sulla posizione dell’Egitto circa l’intransigenza dei palestinesi. Clicca la foto per l’articolo completo (in inglese)

La situazione non è molto migliore nei paesi Golfo, nonostante le loro riserve di petrolio e gas. L’Iran, per esempio, è povero e le previsioni per il futuro sono drammatiche. L’anno scorso, nonostante i 100 miliardi di dollari che il regime ha ottenuto grazie all’allentamento delle sanzioni, il Pil pro capite è passato dai 6.144 dollari del 2016 a 5.889 dollari. Le guerre in Siria, Yemen, Iraq, Libano e Gaza costano parecchio. L’Egitto, l’Arabia Saudita e altri stati arabi sono attratti da Israele non solo per le loro comuni preoccupazioni di sicurezza riguardo all’Iran. Sono anche desiderosi di ampliare i loro rapporti con Israele per avvantaggiarsi delle sue tecnologie in ogni campo, dall’agricoltura alle tecniche idriche alle comunicazioni digitali. E non intendono permettere ai palestinesi di bloccare la loro rincorsa verso Israele.

Come ha riferito il New York Times la scorsa settimana, l’ufficiale dell’intelligence egiziana Ashrag al-Kholi ha convocato quattro diversi conduttori televisivi e ha detto loro che Ramallah può andare bene quanto Gerusalemme come capitale di un futuro stato palestinese. Nella registrazione fuori-onda ottenuta dal New York Times lo si sente anche dire che i palestinesi devono scendere a compromessi per la pace. “In che modo Gerusalemme sarebbe realmente diversa da Ramallah? – ha detto al-Kholi – Alla fin fine, più avanti, Gerusalemme non sarà diversa da Ramallah. Ciò che conta è porre fine alla sofferenza del popolo palestinese. Le concessioni sono un dovere, e se arriviamo a una concessione in base alla quale Ramallah sarà la capitale della Palestina, per porre fine alla guerra e perché nessun altro debba morire, dovremo farla”. Al-Kholi ha spiegato che una nuova campagna palestinese di terrorismo contro Israele danneggerebbe l’Egitto rafforzando lo Stato Islamico (ISIS), Hamas e la Fratellanza Musulmana.

Dunque, se è vero che 128 paesi – tra cui India, Egitto e Arabia Saudita – il mese scorso alle Nazioni Unite hanno votato con l’Olp contro Israele e gli Stati Uniti, è anche vero che quei loro voti non hanno più il significato di un tempo. Ed è altrettanto vero che i palestinesi non possono continuare a mettere alla prova la loro pazienza premendo ogni giorno per far passare risoluzioni anti-israeliane come fanno da 45 anni. Infatti, mentre i palestinesi continuano coi loro vecchi trucchi, Israele sta diventando una potenza regionale e globale sempre più rilevante e le nazioni del mondo non sono interessate a indebolire Israele quando Israele le sta aiutando a sopravvivere e svilupparsi. Ma l’Olp, come dimostra il fatto che Abu Ali resta in carica in Pakistan, anziché cogliere i mutamenti sulla scena internazionale e aggiornare le proprie posizioni, diventa sempre più marginale, reazionaria ed estremista. Se l’Egitto non sosterrà più la loro guerra contro Israele, porteranno il loro circo a Teheran o nella sua satrapia libanese.

Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, alla tv Mayadeen lo scorso 3 gennaio. Clicca sulla foto per il video (con sottotitoli in inglese)

Lo scorso 31 dicembre Azzam al-Ahmad, membro del Comitato Centrale di Fatah, si è incontrato a Beirut con Hassan Nasrallah, capo dei terroristi filo-iraniani Hezbollah. Dopo l’incontro con al-Ahmad, Nasrallah ha detto alla tv Mayadeen che Fatah, sotto la guida di Abu Mazen, ha accettato di “attivare una terza intifada” ovvero una campagna terroristica contro Israele. Anche membri del parlamento dell’Autorità Palestinese hanno visitato il Libano e si sono incontrati con il primo ministro sotto controllo iraniano Saad Hariri. Domenica scorsa, la tv israeliana Canale Due ha riferito che l’istigazione al terrorismo sta aumentando vertiginosamente nei social network e nei mass-media ufficiali dell’Autorità Palestinese. Un video con la falsa scena di un’adolescente palestinese colpita a morte da un attore vestito con un’uniforme dell’esercito israeliano, è diventato virale. Migliaia di spettatori hanno reagito alla messinscena promettendo di uccidere (davvero) degli israeliani per vendicare una morte (finta).

Quando, verso la fine del mese, Netanyahu incontrerà Modi a Delhi, il voto dell’India alle Nazioni Unite e l’abbraccio fra Saeed e Abu Ali saranno sul tappeto. E ci sono buone ragioni per pensare che Modi vedrà il collegamento fra le due cose e in futuro voterà in modo diverso. Come Netanyahu, anch’egli riconosce che la causa dell’Olp è fondamentalmente sbagliata: la pace si ottiene sconfiggendo i terroristi, non portandoli al potere. E poi, la realtà economica e strategica di Israele non può essere ignorata. Modi e i suoi omologhi in tutto il mondo stanno comprendendo che i palestinesi non hanno niente da offrire, nemmeno la gratitudine. Quando una massa critica di palestinesi capirà che i trucchetti dell’Olp non funzionano più, allora faranno la pace con Israele. Fino ad allora, continueranno ad essere una molesta irrilevanza e nulla più.

(Da: Jerusalem Post, 8.1.18)

 

La corsa suicida dei palestinesi verso l’irrilevanza

 

3 Responses to La corsa suicida dei palestinesi verso l’irrilevanza

  1. ennio ha detto:

    il commento è condivisibile circa il post scriptum è poco o niente condivisibile. Tra le persone comuni alcuni sono almeno un poco pro Israele, gli indifferenti sono pari ai pro la parte di maggioranza rimanente sono contro per partito preso. Sì perché IL era considerato filo URRS per via dei Kibbuz = Kolcos ed il tipo sovietico di socialismo collettivistico. Poi l’evoluzione dei tempi ha capovolto i termini ora sono i poveri dell’OLP, di Hamas i martiri dello sterminio. Sei Milioni di umani passati per il camino sono stati cancellati da questi tipi di revisionisti negazionisti europei pro Autorita (ria) Palestinese che da ARAFAT ha imparato ad essere sempre falsa ed inaffidabile facendo dipendenza economica se ti fai saltare e salvi così la famiglia con una forma di pensione alle vedove, ai figli ed ai nipoti. Provate a vedere una manifestazione per il lavoro e contro la povertà, che ci fanno la bandiere palestinesi? A parte il diritto di espressione quale sarebbe la connessione contro la riforma Fornero o ogni altro motivo di protesta se non per fine a se stessa.

    • Claudio ha detto:

      Secondo me dici bene, quando ti chiedi cosa c’entra Israele in una manifestazione per il posto di lavoro, contro la legge Fornero. ecc.
      Una manifestazione è però solo un piccolo angolo di società.
      Ho girato sovente nelle città con un segno distintivo di Israele: una spilla con bandiera di Israele, un berretto con analoga bandiera, una maglia con la scritta in grande “Israel” anche a caratteri ebraici e una stella di Davide, borse con un’evidente bandiera israeliana, una catenina con stella di Davide e croce cristiana, e dalle mie piccole esperienze ho constatato quanto segue:
      La questione di Israele è certamente sentita. Noto che sono molto più osservato quando ho un segno distintivo di Israele con me, rispetto a quando sono anonimo. Nonostante questo, chi mi ha notato non è la maggioranza delle persone: nelle stazioni, per le strade, nei supermercati, in chiesa, negli uffici.
      Per strada, al massimo qualche sguardo poco benevolo, e devo ammettere che alcune volte ho teso a provocare un pochino.
      Riguardo ai musulmani, le reazioni sono varie: chi guarda con disprezzo, chi è assolutamente indifferente; gli uomini islamici tendono a fare silenzio, presi alla sprovvista; alcune donne con tanto di velo tendono ad allargare il giro se stanno camminando per strada.
      All’inizio del ramadan c’erano molti musulmani in giro; a un certo punto ho individuato un giovane ragazzo musulmano e mi sono diretto verso di lui con la bandiera israeliana in evidenza: è stato preso da paura, non capiva le mie intenzioni, che erano semplicemente quelle di camminargli vicino e ha fatto una mossa per fuggire, poi si è bloccato e io mi sono allontanato (chiaramente, indottrinati come sono, hanno un’idea molto distorta di Israele).
      Al contrario, la stessa mattina di inizio ramadan alla stazione del mio piccolo paese c’era solo un gruppetto di musulmani e io con la bandiera di Israele disegnata in grande su una borsa: non si sono accorti di me; dovevo solo più sventolargliela sotto il naso. Hanno dato l’impressione che non gliene importava niente.
      In un solo caso ho sentito un “vaff.” ma non ho capito se era rivolto a me senza un apparente motivo, se non perché avevo la solita borsa con bandiera di Israele in evidenza (come affermarlo però con certezza?).
      Una categoria che tende ad osservare di più è quella degli studenti: questo mi fa pensare a due cose: una positiva: a scuola si parla di shoah e si organizzano viaggi ad Auschwitz; una negativa: si parlerà sicuramente anche di questioni israeliane, probabilmente a senso unico, secondo il solito standard delle povere vittime palestinesi.
      In chiesa: mentre stavo pregando al mio posto con il solito simbolo israeliano, mi sono accorto di un giovane che è passato con un certo risolino ironico e sembrava stare attento per vedere se lo osservavo: non posso dirlo con certezza e comunque non ne conosco con precisione il motivo.
      Un giorno sono passato in mezzo ad un gruppo di uomini islamici: si sono ammutoliti, ma non hanno reagito in altro modo, anche se è vero che in altri contesti, e non presi alla sprovvista, molto probabilmente avrebbero reagito in modo diverso.
      C’è un anziano signore arabo che ormai mi conosce e si rivolge a me sempre con “ciao caro” o “ciao amico” anche quando ho la stella di Davide (magari non è musulmano).
      Alla stazione di Vicenza, mi avvicina un ragazzo senegalese, osserva la mia bandierina di israele sulla borsa e mi dice: “Bella, cos’è? Brasile?” – “No… Israele”.
      Al salone del libro di Torino mi sono soffermato ad un convegno filo-palestinese, dove il relatore si sbracciava per convincere la folta platea (circa una decina di persone annoiate e una quarantina di posti vuoti) sulle “atrocità” perpetrate da Israele verso le solite “vittime”.
      E via di questo passo.

      Quello che è fazioso è l’atteggiamento di gruppuscoli che cercano di convincere la gente sui torti di Israele. Anche qui un es. Sempre al salone del libro, lo stand gay aveva, tra gli altri libri, un testo sulle “nefandezze” di Israele contro i palestinesi. Strano, “mi domando” se anche loro non siano indottrinati a senso unico, visto che non ho trovato nulla a proposito delle persecuzioni ed uccisioni di gay nei paesi arabi: nessun libro a proposito dell’iran, dell’arabia saudita, della palestina dove i gay per sfuggire a persecuzioni e maltrattamenti devono rifugiarsi in Israele per trovare libertà e rispetto.
      Certamente non girerei in determinati quartieri di Parigi con qualche simbolo ebraico, ma non è ovunque così.

      Ho poi quest’impressione: i partiti più accaniti contro Israele sembrano essere quelli di sinistra. Non so se dico un’eresia, ma la destra moderata mi sembra molto filo-israeliana. Una sera ho sentito alla radio un conduttore, che notoriamente puzza anche un po’ di fascismo, il quale esprimeva il suo elogio verso gli ebrei; esagerava persino sostenendo la superiorità degli ebrei, non fosse altro per il fatto che tra le proprie fila hanno “prodotto” una schiera di premi nobel, valenti scienziati, ecc. ed educano i bambini allo studio con particolare impegno (aggiungo io: anziché insegnare loro a tenere un mitra o un coltello in mano, come fanno i palestinesi).

      In un senso più generale, non voglio dire che l’islam in Europa non sia un problema: anzi, esattamente il contrario e sono in linea con l’affermazione del capo-rabbino di Roma: “L’islam è un problema non solo per gli ebrei, ma per tutti”.
      Stando a quando ho letto su un quotidiano, già Giovanni Paolo II mise in guardia contro l’islam, un male peggiore dei grandi totalitarismi del novecento: comunismo e nazismo. Ora da parte ebraica l’affermazione: “Non vorrei una nuova Auschwitz!”. Come non essere d’accordo?
      Il fatto è che oggigiorno l’unico vero baluardo di contrasto all’espansione subdola all’islam è Israele e, in senso più ampio, il mondo ebraico; il mondo cattolico lo è solo in parte, alcuni cattolici a mio parere paiono un po’ degli ingenui. Quello che, secondo me, sarebbe fortemente auspicabile è un fronte unico giudaico-cristiano.

  2. Claudio (Torino) ha detto:

    Probabilmente mi ripeto, dopo tanti interventi su questo sito, e non vorrei, ma la faccenda mi sta a cuore:
    due particolari interessanti:

    – il primo è il passaggio in cui si sottolinea la differenza del pil pro-capite in Israele e negli “sbracati” stati musulmani. Un’economia florida, di cui possono godere tutti i cittadini, non ci sarà mai negli stati in cui non c’è democrazia.
    Freud suggeriva un semplice metodo (che non sto qui a descrivere) per scoprire le vere cause della propria insoddisfazione. Forse se ogni palestinese ostile ad Israele (e non tutti lo sono) lo applicasse per sé, scoprirebbe probabilmente che le ragioni del proprio tormento non sono di carattere politico-culturale-religioso, ma di invidia verso un benessere che gli israeliani hanno saputo darsi, rimboccandosi le maniche e pagando di persona. In un’economia disastrosa come quella palestinese o di certi stati arabi, dove gli uomini sembrano più pronti ad abbracciare un mitra che una zappa, i cittadini non saranno mai felici. Inutile allora cercare nei “più fortunati” la causa della propria insoddisfazione. Israele dovrebbe invece essere un esempio per molti aspetti e non solo dal punto di vista economico.

    – il secondo punto, a mio parere interessante è questo passaggio: “Un video con la falsa scena di un’adolescente palestinese colpita a morte da un attore vestito con un’uniforme dell’esercito israeliano, è diventato virale. Migliaia di spettatori hanno reagito alla messinscena promettendo di uccidere (davvero) degli israeliani per vendicare una morte (finta)”.
    A me ha richiamato subito alla mente l’infido trucco che i nazisti avevano escogitato per invadere la Polonia; praticamente una scusa per aggredire e passare da vittime. Strana analogia di metodo. Dunque metodo analogo, persone analoghe?

    —-

    P.S.: l’intolleranza, apparentemente generalizzata verso Israele, non è in realtà così diffusa: mi hanno riferito di persone non-ebree (con incarichi di una certa rilevanza), fotografati orgogliosamente con la bandiera israeliana, che sono dei veri e propri fans dello stato ebraico. Il grande “partito” è sicuramente quello “dell’indifferenza”, tuttavia, se da un lato sono poche le voci a favore di Israele, altrettanto poche sono le persone pro-Palestina, le quali digrignano i denti gridando frasi di odio verso gli ebrei: purtroppo lo fanno a gran voce, nel modo tipico di coloro che non avendo grandi ragioni, gridano forte e con rabbia quelle poche che hanno a disposizione.

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