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Le ricorrenze ebraiche, o feste maggiori prescritte dalla Torà, si dividono in tre gruppi:
1. Yamìm Noraìm (giorni solenni), che comprendono i giorni di Rosh Hashanà e Kippùr e i 10 giorni di penitenza intercorrenti;
2. Shalòsh Regalìm (tre pellegrinaggi), che comprendono: Pésach, Shavu’òth, Sukkòth, Sheminì Atzeret e Simchà Torà
3. Vi sono le feste minori, che sono: Chanukkà, Tu Bishvàt, Purìm, Lag Ba’òmer.
4. Infine vi sono ricorrenze recenti : Yom Hashoà e Yom Haatzmaùth,

Rosh ha-Shanà
È il Capodanno ebraico ed è con Yom Kippùr, la ricorrenza più solenne per il nostro popolo. È una ricorrenza alquanto diversa da tutte le altre perché ha un minore significato storico e nazionale e riguarda invece, in modo particolare, il singolo individuo. Ciascuno di noi infatti, in questo giorno, medita sulla proprie azioni e chiede a Dio perdono dei suoi peccati promettendo di diventare migliore.
Rosh Hashanà cade il I ed il II giorno di Tishrì, primo mese del calendario, anche se, nella Torà, è considerato il VII (Primo è infatti Nissàn perchè gli ebrei, in esso, ritrovarono finalmente la libertà e divennero un vero popolo, dopo la lunga schiavitù in Egitto.)
Per la tradizione ebraica il giorno di Rosh Hashanà prende altri tre nomi:
1) Yom Hadìn, giorno del Giudizio: in questo giorno, infatti, il Signore giudica le azioni di ciascuno di noi; per questo dobbiamo fare un esame del nostro operato e chiedere al Signore di perdonarci se non sempre abbiamo agito bene.
2) Yom Hazikkaròn, giorno del Ricordo: si commemora infatti la creazione del mondo e la sovranità del Signore su di esso; si ricorda anche la creazione di Adamo, la nascita di Abramo, Isacco, Giacobbe e Samuele. In questo giorno Giuseppe fu liberato dalla prigione, in Egitto.
3) Yom Teru’à, giorno del suono dello shofàr: in questa ricorrenza, infatti, si suona lo shofàr, simbolo dell’eterno richiamo all’uomo perché si rivolga al Signore; esso ci ricorda la Rivelazione della Legge a Mosé, sul Monte Sinai, e l’episodio dell’ ‘akedà (legatura) di Isacco, che ci dimostra la prontezza e la fede di Abramo nell’offrire a Dio perfino il suo diletto figlio – Ma, poiché non sono graditi al Signore i sacrifici umani, Egli mandò un ariete, dalle corna ricurve, che prese il posto del ragazzo.
I suoni prodotti dallo shofàr si chiamano: teki’à, shevarìm, teru’à. Essi sono emessi diverse volte, in note ora brevi, ora lunghe. Una tradizione spiega che queste note, differenti tra loro, sono emesse in onore dei tre Patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe. Se il I giorno di Rosh Hashanà cade di Sabato, non si suona lo shofàr.
Il suono dello shofàr (fatto come un corno di ariete) ha lo scopo di suscitare una rinascita spirituale in ciascuno di noi, e la selichà da parte del Signore. Così Maimonide commenta il suo suono: “Destatevi, o voi che dormite, e pensate a quello che avete fatto, ricordatevi del vostro Creatore e tornate a Lui in penitenza. Abbandonate le vie del male e tornate al Signore in modo che Egli possa avere pietà di voi”.

Kippur
Yom Kippùr, o giorno dell’espiazione, cade il 10 di Tishrì. È il giorno del perdono, il più sacro dei dieci giorni di contrizione, il più importante di tutta la liturgia. In questo giorno chiediamo al Signore di perdonarci per tutti i nostri peccati e di iscriverci nel Libro della Vita, della Pace e della Benedizione. E il Signore in questo giorno “suggella” la Sua decisione.
A Kippùr ogni lavoro è assolutamente proibito e, secondo l’istruzione biblica (Levitico 23-32): “Voi affliggerete le vostre persone”, ci si deve astenere da ogni cibo e bevanda per 25 ore, dalla vigilia fino alla fine del giorno dopo. Il digiuno, infatti, ci aiuta a far teshuvà ma da solo non basterebbe: occorre, soprattutto, il nostro vero pentimento e la promessa di comportarci sempre bene. E non solo al Signore dobbiamo chiedere perdono, ma anche a tutte le persone a cui abbiamo recato offesa.
Mentre a Rosh Hashanà il suono dello shofàr è prescritto dalla Torà ed è l’elemento principale della festa, a Kippùr lo shofàr è suonato solo a conclusione della giornata.
Il sabato tra Rosh Hashanà e Kippùr si chiama shabbat teshuvà, sabato di penitenza. Si legge l’haftarà di Osea in cui il Profeta dice: “Ritorna, o Israele al Signore tuo Dio”. Quasi per esprimere la propria fiducia in un lieto futuro, molte persone, finito Kippùr, iniziano la costruzione della sukkà.
Kippùr si basa su tre concetti fondamentali:
Esame di coscienza (cheshbonòt néfesh)
Confessione delle nostre colpe (viddùi)
Espiazione (kapparà) e Perdono (selichà)

Pesach
“Il primo mese, il 14° giorno del mese sarà la Pasqua in onore dell’Eterno. E il 15° giorno di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane senza lievito” (Bemidbàr XX, 8). Pésach inizia il 15 di Nissan e dura, in golà, otto giorni, i primi due e gli ultimi due sono moèd e quelli di mezzo, chol hamoèd. È la grande festa della libertà; commemora infatti l’emancipazione dalla lunga schiavitù in Egitto e l’esodo da questa terra, dopo 400 anni, dove, come si legge nella Torà, gli ebrei si erano stabiliti, chiamati da Giuseppe.
Più tardi, divenuti forti e numerosi, furono resi schiavi dal Faraone, obbligati a durissimi lavori e ad una vita piena di sofferenze e di stenti. Ma sorse una guida, Mosé, che, per ordine del Signore, condusse fuori dalla terra d’Egitto gli ebrei che da questo momento, diventarono un vero popolo libero. Ecco perché la festa di Pésach è così importante e lo stesso mese di Nissàn, in cui cade, settimo mese del calendario, viene invece considerato come primo, nella Torà. La parola Pésach deriva dal verbo pasàch (passò oltre) e ricorda quando l’angelo del Signore, mandato a colpire i primogeniti degli egiziani, “passò oltre” le case degli ebrei, le cui porte erano state segnate col sangue di un agnello. Infatti, per ordine del Signore (libro di Shemòth), gli ebrei avevano dovuto sacrificare un agnello ( korbàn Pésach) che poi avrebbero mangiato prima della partenza, con matzà ed erbe amare (le tre parole che dobbiamo pronunciare durante il Séder:
Pésach, matzà, maròr
Pésach è, con Shavu’òth e Sukkòth, una (la prima) delle feste dette shalosh regalìm cioè dei “tre pellegrinaggi”, perché anticamente, gli ebrei si recavano in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme, portando i prodotti dei loro campi.
Di yom tòv sono proibiti i lavori come di Shabbàth, ma si può accendere il fuoco, purché da un fuoco già esistente. Il 14 di Nissan, vigilia di Pésach, si fa il digiuno dei primogeniti, in ricordo della morte dei primogeniti egiziani.
Durante Pésach la Torà prescrive l’astensione da ogni cibo lievitato e composto di frumento, orzo avena, spelta, vecce. Non possiamo neppure tenere in casa tali cibi, per cui, prima della sera del 14 Nissàn, devono essere state fatte le pulizie in tutte le nostre case, quindi si fa la ricerca del chamètz. È bello vedere i bimbi che seguono il loro papà, per controllare, al lume di candela, che non vi sia chamètz in qualche angolo! La mattina seguente si bruceranno gli ultimi residui. È obbligatorio mangiare le matzòth nelle prime due sere e facoltativo nel resto della ricorrenza.
All’uscita dei giorni di festa solenne, si recita l’havdalà. Le prime due sere si fa il Sèder (ordine) durante il quale si legge l’Haggadà in cui è raccontata la liberazione dei nostri padri dalla schiavitù d’Egitto.

Il Séder (ordine)
In nessun periodo dell’anno la nostra casa è tanto gioiosa come nella sera del Séder e ognuno di noi ricorda, con nostalgia, anche i Sedarìm a cui ha partecipato quando era piccolo, circondato dai familiari. Il Séder contiene tutto: cerimonia, canzoni, storia, momenti seri e momenti di gioia, di lode al Signore. Ognuno di noi, nel prendere parte al Séder, rivive di persona l’antica storia della liberazione degli ebrei, dalla schiavitù d’Egitto. Questa cerimonia unisce famiglie ed amici ed in essa, anche durante le persecuzioni, ogni ebreo si sentì libero.
Prima della cerimonia si prepara il piatto del Séder. In esso si pongono:
1. Tre matzòth sovrapposte
2. Una zampa d’agnello arrostita (secondo il rito italiano).
3. Un uovo sodo.
4. Erbe amare.
5. Lattuga.
6. Charòseth.

1. Le matzòth sono tre, e per tre ragioni. Esse rappresentano infatti l’unità del popolo di Israele: Kohèn, Levì, Israèl. Inoltre quella di mezzo viene divisa in due parti, (una delle quali rappresenta l’ Afikòmen, simbolo del sacrificio Pasquale) per cui si recita l’hammotzì sulle due matzòth intere (come due sono le chalòth del sabato, in ricordo della duplice razione di manna raccolta nel deserto). Ricordano anche le tre misure (seìm) di farina che Abramo ha c onsigliato a Sara per preparare le matzòth.

2. La zampa: ricorda il sacrificio pasquale.
3. L’uovo sodo: è il simbolo dell’eternità della vita, per la sua forma, e di lutto, per la distruzione del Tempio. (Nota: Il giorno di Tish’à Beàv e il I giorno di Pésach cadono sempre nello stesso giorno della settimana. Si dice: “Come l’uovo, nel cuocere, diventa sempre più duro, così Israele diventa più saldo nella sua lealtà verso il Signore, dopo ogni persecuzione”).
4. e 5. Erbe amare e lattuga: ci ricordano l’amarezza della schiavitù in Egitto.
6. Charòseth: è una specie di marmellata che ci ricorda la malta con cui i nostri padri preparavano i mattoni per le costruzioni del faraone. Si mangia insieme all’erba amara per addolcirla un po’ e per ricordarci che, dopo tante sofferenze, viene la gioia.
La cerimonia inizia col kiddùsh che esprime al Signore il ringraziamento per averci eletto fra i popoli e per le festività e la gioia che ci procurano. Ognuno ha il suo bicchiere e se ne riempie anche uno “per il profeta Elia” legato alla redenzione del popolo ebraico. Si passa a lavarsi le mani ( urchàtz) e quindi alla cerimonia del karpàs (sedano) intinto nell’aceto, amaro come le lacrime versate durante la schiavitù. Il Midràsh dice che la parola karpàs, letta al contrario, (= 60 duro lavoro) simboleggia i 600 mila adulti, usciti dall’Egitto. Il sedano, così umile, nato dalla terra, diventa un elemento importante, al Séder. Questo è una lezione per ognuno di noi: il Signore, con la Sua misericordia, può innalzare chiunque, dalla profondità alla redenzione. Con yachàtz, il papà spezza la matzà di mezzo e ne nasconde una parte (l’Afikòmen), che sarà ricercata alla fine del pasto. “Ognuno deve sentirsi come se lui stesso fosse uscito dall’Egitto”. Con magghìd, si riempie il II° bicchiere di vino e si inizia la narrazione. “Questo è il pane dell’afflizione…chi ha fame entri e mangi”: la nostra casa è aperta a tutti, miseri pellegrini e forestieri e a chi non ha potuto procurarsi il necessario per il Séder. Si chiude con l’augurio “L’anno venturo in Israele, liberi”.

Vorrei trovare
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Shavu’ot
“Conterete cinquanta giorni fino all’indomani della settima settimana ed allora presenterete al Signore un’offerta farinacea nuova (di frumento nuovo)”. “È la festa della raccolta, alla fine dell’anno, quando avrai raccolto dai campi i frutti del tuo lavoro” (Esodo XXIII, 16).
Il 6 di Sivàn (questa data non è scritta nella Torà) cade la festa di Shavu’òth (festa delle settimane), secondo dei shalòsh regalìm. Commemora la rivelazione del Signore sul Monte Sinài, per cui si chiama anche zemàn mattàn toraténu (tempo in cui ci fu data la Torà). In questo giorno Israele ha trovato, nella Legge, la sua vera libertà.
La festa dura due giorni di festa solenne (uno in Israele) e ci si arriva con un cammino di 7 volte 7 giorni, da Pésach; molti usano passare la prima notte leggendo testi biblici e le hazaròth (esposizione dei 613 precetti, 248 positivi e 365 negativi, della Torà; 248 come le membra del nostro corpo e 365 come i giorni dell’anno).
A Shavu’òth si mangiano latticini, perché la tradizione dice che lo studio della Torà ha il sapore del latte e del miele. Si dice anche che, come il bebè ha bisogno del latte per nutrirsi, così il popolo di Israele, che è “appena nato”. Nella Torà, inoltre, subito dopo la prescrizione della festa di Shavu’òth, viene quest’altra: “Non cucinerai l’agnello nel latte di sua madre” (concetto ripetuto nelle parashòth di Mishpatìm, Ki Tissà e Sheminì) Così gli ebrei si cibavano di latte, per non trasgredire alla legge.
Questi sono i Dieci Comandamenti che il Signore diede a Mosé, sul Monte Sinài. Essi sono leggi fondamentali che stanno alla base di ogni civile convivenza.

I Dieci Comandamenti

“Il terzo giorno, come fu mattina, cominciarono dei tuoni e dei lampi, apparve una fitta nuvola sul monte e s’udì un fortissimo suono di tromba… Ora il monte Sinai era tutto fumante, perché l’Eterno v’era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo ne saliva come il fumo di una fornace e tutto il monte tremava forte”. (Esodo)
Allora Dio pronunciò queste parole, dicendo:
I) Io sono l’Eterno tuo Dio, che ti trasse dalla terra d’Egitto, dal luogo ove eri schiavo.
II) Non avrai altro Dio che Me; non ti farai o adorerai alcuna immagine o figura.
III) Non pronunciare il nome di Dio invano.
IV) Ricorda e osserva il giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tua opera e nel settimo, shabbàth (cessazione), per il Signore Dio tuo non fare alcun lavoro perché in sei giorni fece il Signore il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò nel settimo giorno e affinché si riposino i tuoi animali e tu non dimentichi che tu stesso fosti schiavo in Egitto e il Signore ti liberò dalla schiavitù.
V) Onora tuo padre e tua madre affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra.
VI) Non uccidere.
VII) Non commettere adulterio.
VIII) Non rubare.
IX) Non fare testimonianza falsa.
X) Non desiderare niente di ciò che appartiene ad altri.
Nei primi quattro comandamenti (verticali) sono indicati i nostri rapporti con Dio, a Cui ognuno deve rivolgere il suo pensiero e il suo spirito.
Nel V sono indicati i rapporti fra l’uomo e la famiglia. Dal VI al X invece, sono indicati i rapporti fra l’uomo e la società che lo circonda. (orizzontali)

Sukkot, Sheminì Atzeret e Simchà Torà
Sukkòth è la festa delle capanne (sukkà = capanna) e incomincia il 15 di Tishrì. “Il quindicesimo giorno del VII mese, quando raccoglierete i prodotti della terra, festeggerete la festa del Signore per sette giorni” (Levitico XXIII).
Dei sette giorni i primi due sono di festa solenne (mo’èd – in Èretz Israèl solo il I) e gli altri di mezza festa (chol-hamo’èd).
Sukkòth ci ricorda le capanne in cui abitarono i nostri padri, per quaranta anni, nel deserto, dopo essere usciti dall’Egitto. La capanna è il simbolo della precarietà della vita ma, soprattutto, della protezione del Signore sui figli di Israele. Infatti, pur così fragile e col suo tetto di fronde, attraverso le quali si vedono le stelle, ha sempre protetto gli ebrei da ogni pericolo. Sukkòth è la festa per eccellenza.
Tre volte troviamo scritto nella Torà “…e ti rallegrerai” “…e allora sarai lieto” “…e vi rallegrerete davanti al Signore”. È chiamata, per questo, anche zemàn simchaténu (festa della nostra gioia), perché è la festa della benedizione del lavoro, della fatica umana e della fede nel Signore. Si festeggia infatti con la gioia di chi è giunto felicemente alla fine della stagione agricola. Infatti, dopo un anno di lavoro e di lotta contro gli elementi della natura, il contadino ha ora i granai, i magazzini, le cantine pieni del suo raccolto. Conclusione, quindi: è felice.
Sukkòth si chiama infatti anche Chag Heasìf (festa del raccolto). Con Pésach e Shavu’òth, Sukkòth è una (l’ultima), delle feste chiamate Shalosh Regalìm (tre pellegrinaggi), perché anticamente si andava al Santuario di Gerusalemme.
La prescrizione più importante, in questa festa, è di “sedersi” nella sukkà almeno per i pasti, se non si può dormirci.

La Torà prescrive, per quesa festa, anche il lulàv. È un ramo di palma (lulàv) a cui sono legati due rami di salice (‘aravà) e tre di mirto (hadàs); a questi si aggiunge un cedro (etròg). La palma dà un frutto dolce, ma senza profumo; il salice non ha né sapore né profumo; il mirto ha profumo ma non sapore; il cedro ha sapore e profumo.

Il Lulav
L’ultimo giorno di Sukkòth si chiama Hoshaanà Rabbà (grande invocazione di aiuto), che rappresenta la chiusura definitiva di tutto il periodo di pentimento, iniziato con Rosh Hashanà. Si usa fare sette giri intorno alla tevà e battere e sfogliare i rami di salice, per simboleggiare come il perdono, accordatoci dal Signore, annulli tutte le nostre colpe.
Sheminì Atzéreth e Simchàth Torà
Terminato Sukkòth arriva un altro giorno di festa solenne che fuori di Israele, sono due: Sheminì Atzéreth e Simchàth Torà. A Simchàth Torà (gioia della Torà) si legge l’ultima parashà dell’anno (la 54», dal Deuteronomio, Devarìm) e la I parte di Bereshìth (Genesi), che sarà letta, al completo, il sabato seguente.
La persona che legge la fine della Torà si chiama chatàn Torà (sposo della Torà) e quella che legge il principio, chatàn Bereshìth (sposo del principio della Torà).
La lettura della Torà non può finire mai. Alla sera, i Rotoli della Torà sono portati in giro (hakafòt) per il Tempio, tra balli e canti. Uno dei canti descrive una scena nel Cielo, con gli Angeli, sorpresi di vedere un uomo fra loro: Mosè che riceveva la Torà.

Channukkà
Il 25 di Kislèv cade la festa di Chanukkà (Inaugurazione) che dura otto giorni. Si chiama anche Chàg Haneròth (festa dei lumi), Chàg Haurìm (festa delle luci) e Chàg Hamakkabìm (festa dei Maccabei). Era l’anno 165 a. E.V. Quando Giuda, figlio del sacerdote Mattatià e soprannominato Maccabeo, dalle iniziali delle parole della frase: “Mi Kamòkha Baelìm Adon-i?” (Chi è pari a Te, o Signore?) entrò nel Tempio di Gerusalemme, a capo dei suoi valorosi seguaci, sapeva bene quale fosse il suo primo compito: riconsacrare il Santuario al Signore e abbattere gli idoli, fatti installare dal re Antioco IV Epifane di Siria, sotto il cui governo era caduta Èretz Israèl. Antioco, infatti, voleva che gli ebrei abolissero completamente l’osservanza della Torà e seguissero la religione e la cultura greca, secondo le quali egli stesso era cresciuto. Molti ebrei morirono piuttosto che tradire la loro fede e ne è esempio, tra gli altri, il sacrificio di Anna e dei suoi sette figli. Ma col passare del tempo, gli animi erano giunti all’esasperazione e quando il vecchio Mattatià, appoggiato dai suoi figli, diede il segno della rivolta, molti non indugiarono a seguirlo.
Le forze di Israele, sotto il comando di Giuda, riuscirono finalmente ad affrontare e sopraffare il nemico, entrando a Gerusalemme. Il Talmùd racconta che quando gli Asmonei riconsacrarono il Tempio, trovarono una piccola ampolla di olio puro, col sigillo del Sommo Sacerdote. L’olio poteva bastare per un solo giorno, ma avvenne un grande miracolo: l’olio bruciò per otto giorni, diffondendo una bellissima luce e dando così la possibilità ai Sacerdoti di prepararne dell’altro nuovo. Allora fu proclamato che il 25 Kislèv si festeggiasse l’avvenimento, per tutti i tempi. Ancora oggi accendiamo i lumi per otto sere, in ricordo non solo del miracolo dell’olio, ma soprattutto del miracolo che pochi ebrei, con l’aiuto del Signore, riuscirono a sconfiggere l’esercito potente dei siriani.
• Accensione della lampada: La prima sera si accende un solo lume, a partire dal lato destro della lampada; ogni sera, per otto sere, si aggiunge un lume in più, accendendo da sinistra a destra. I lumi devono rimanere accesi per almeno mezz’ora.
La lampada di Chanukkà è formata da otto lumi che devono essere tutti in fila, più uno, a sé stante, che è chiamato shammàsh (servitore); questo ci serve non solo per accendere tutti gli altri, ma anche per darci una luce in più di cui possiamo usufruire. Infatti, nell’accendere la lampada, noi recitiamo “Haneròth hallàlu” in cui si dice che: “Questi lumi sono sacri e non ci è permesso di servircene ma solo di guardarli, al fine di rendere omaggio al Signore per i miracoli e i prodigi e le vittorie da Lui operate”.

I bimbi giocano con le trottole (sevivòn), come usavano fare, a quel tempo, i bimbi ebrei; essi studiavano la Torà di nascosto e, all’arrivo delle guardie del re, facevano finta di stare giocando con le trottole. Di Chanukkà si usa scambiarsi doni, regalare soldi ai bimbi, e mangiare tante buone frittelle.

Tu Bishvat
Rosh Hashanà lailanòt o Capodanno degli alberi cade il 15 di Shevàt e per questo la festa è chiamata anche Tu Bishvàt. Il valore numerico della lettera tet è 9 e della lettera vav è 6; per questo 9+6=15. Nell’antico Stato ebraico questo giorno era festeggiato perché segnava il confine tra due anni agricoli. In questo periodo, in Israele, gli alberi iniziano la fioritura e il primo a destarsi è il mandorlo, con i suoi fiori candidi.
Si festeggia questo giorno facendo un séder, mangiando anche la frutta delle sette specie di cui era rinomata Israele: (grano, orzo, olive, datteri, uva, fichi, melagrana ecc.) Durante il séder (ordine) si leggono brani della Torà, di Ezechiele e dei Salmi, si mangiano cibi secondo un ordine particolare e si bevono quattro bicchieri di vino: il I bianco; il II bianco, con gocce di rosso; il III metà bianco e metà rosso; il IV tutto rosso. Il vino bianco e il vino rosso simboleggiano l’inverno e la primavera e quindi l’avvento della primavera sull’inverno. Simboleggiano anche il peccato e la teshuvà, (ritorno, pentimento) quindi il prevalere della tendenza verso il bene e la vita, sul male. Per prima cosa si recita la preghiera per gli alberi, perché il Signore li faccia crescere e germogliare e produrre frutti in quantità, che procurano salute al nostro corpo e luce per lo spirito. Poi si mangiano i vari frutti e si beve il vino.
Gli Ebrei, sparsi nel mondo intero e nonostante le persecuzioni e mille sofferenze, non hanno mai dimenticato Èretz Israèl. In questo giorno, in modo particolare, ci sentiamo più vicini alla nostra terra e ci uniamo, col pensiero, ai nostri fratelli lontani. Che le colline desolate si trasformino in fitte foreste e che il nudo deserto rifiorisca!
Una dolce primavera abbia sempre il sopravvento sul rigido inverno. In Israele, in questo giorno, si festeggia piantando nuovi alberi.

Purim
Purìm, che cade il 14 di Adàr, è la più allegra di tutte le feste. Solo Simchàt Torà può esserle paragonata, per la gioia. A Purìm, ci rallegriamo per lo scampato pericolo ed esprimiamo la nostra infinita fiducia nel Signore, perché sempre siamo sopravvissuti a tutti gli Hamàn, in qualsiasi epoca. Per questo si dice che, se anche tutte le nostre feste fossero cancellate, sempre ci dovremo ricordare di Purìm.
La storia di Purìm (sorti) accaduta circa 2500 anni fa, ci viene raccontata nella meghillàth Estèr, che si legge due volte, una alla sera e una alla mattina. Si legge che Assuero, re di Persia e di Media, regnava su 127 province. Un giorno preparò un magnifico banchetto per tutti i notabili del paese. Al banchetto invitò la regina Vashtì, che però, avendo rifiutato l’invito a presentarsi, fu bandita dalla corte. Vennero allora convocate le più belle ragazze del paese e fra queste fu scelta una ragazza ebrea, Estèr che andò sposa ad Assuero, diventando la nuova regina. Primo ministro del re era Hamàn; questi pretendeva che, al suo passaggio, tutto il popolo si inchinasse davanti a lui. Ma Mordekhài si rifiutò di obbedirgli e, quando Hamàn seppe che era un ebreo, chiese ed ottenne dal re che tutti gli ebrei del suo grande regno fossero uccisi, in un giorno che sarebbe stato tirato a sorte ( pur). Fu così tirato a sorte il giorno 13 di Adar e allora “Furono inviate lettere, con l’ordine di sterminare e di distruggere tutti gli Ebrei”.
Appena Mordekhài seppe ciò, corse da Estèr, sua nipote, e la convinse a parlare al re, in difesa del suo popolo. Dopo alcune esitazioni, perché il re ignorava che ella era ebrea, Estèr si decise e mandò a dire a Mordekhài: “Io digiunerò con le mie ancelle, quindi mi presenterò al re” (Estèr 4-16). Estèr informò il re sulle malvagie macchinazioni di Hamàn e supplicò di salvare il suo popolo e lei stessa. Fu proprio per merito della saggia regina se una volta ancora gli ebrei, con l’aiuto del Signore, riuscirono ad ottenere la libertà.
Il re ordinò che Hamàn fosse impiccato e che grandi onori fossero attribuiti a Mordekhài che, per di più, l’aveva salvato da un malvagio complotto. Permise anche agli ebrei di difendersi, il fatale giorno 13. Gli ebrei furono pronti a combattere, tanto che il giorno 14 poterono celebrare la loro grande vittoria.
Nella capitale Shushàn, però, la battaglia durò due giorni. Ecco perché, ancora oggi, nelle città circondate da mura ai tempi di Giosuè, (vedi Gerusalemme), Purìm viene festeggiato il giorno 15 e si chiama Purìm Shushàn.
Negli anni embolismici (con un mese in più) Purìm viene festeggiato in Adàr Shenì perché l’intervallo, fra questa festa e Pésach, deve essere di circa trenta giorni.
Il giorno 13 è giorno di digiuno ( ta’anìth Estèr) in ricordo appunto del digiuno fatto da Estèr per invocare l’aiuto del Signore.

Lag Ba ‘omer
La seconda sera di Pesach, secondo il dettato della Torà, si doveva fare un’offerta delle primizie del raccolto; offerta che doveva essere ripetuta sette settimane dopo, in relazione alla festa di Shavuot. I grani di orzo del nuovo raccolto, fino a che esisteva il Santuario, non potevano essere consumati se non dopo l’offerta; dopo la distruzione del Santuario è rimasto il precetto di contare i giorni che separano Pesach da Shavuot. Tale periodo si chiama “periodo dell’Omer”. E’ un periodo che viene considerato di lutto, durante il quale non si celebrano matrimoni. In origine la parola Omer indicava un covone, ma viene inteso come unità di misura.
Il trentatreesimo giorno del periodo viene festeggiato Lag Ba-Omer, una festa allegra, che spezza il lutto. Secondo un’interpretazione segna l’inizio in cui la manna iniziò a cadere nel deserto, secondo altri la fine di una epidemia che aveva colpito i discepoli di Rabbì Akiva o un successo durante la rivolta in epoca romana. A Lag Ba-Omer viene venerata la tomba di Shimon Bar Yochai, a cui fu attribuito lo Zohar, il più importante testo di mistica ebraica.

(tratto dal sito dell’UCEI-Unione delle Comunità Ebraiche Italiane)

Yom ha Shoà
Il nome completo del giorno che commemora le vittime ebree delle persecuzione nazifasciste é “Yom Hashoah Ve-Hagevurah”, letteralmente “Giorno (del ricordo) della Shoà e dell’eroismo”.
Il termine ebraico Shoà si traduce con “disastro, tragedia, distruzione”.
È invece respinto il termine “Olocausto” che ha un’accezione religioso-sacrificale ritenuta non adatta.

La Knesset – il Parlamento israeliano- durante la seduta del 12 aprile 1951 scelse la data del 27 di Nissan come giorno dedicato alla celebrazione ed al ricordo di questo evento.
Esso cade una settimana dopo la fine della festa di Pesach e una settimana prima di Yom Hazikaron – in memoria dei soldati di Israele caduti in guerra –.
Quest’ ultima ricorrenza è immediatamente seguita da Yom Haazmauth – festa dell’Indipendenza dello Stato d’Israele –
Il 27 di Nissan è il giorno (18 aprile 1943) in cui iniziò l’eroica rivolta degli ebrei confinati nel Ghetto di Varsavia.

Yom ha Atzmaut
Il 5 Iyàr 5708, 14 maggio 1948, Davìd Ben Guriòn proclamava solennemente l’indipendenza dello Stato Ebraico, coronando l’opera meravigliosa di Teodoro Herzl che per primo aveva detto “Im tirtzù en zo aggadà” (se lo vorrete, non rimarrà un sogno).
“Padre nostro che sei nel cielo, rocca di Israele, benedici lo Stato di Israele che rappresenta il risorgimento della nostra libertà” Dopo tanti anni di esilio, dopo secoli di persecuzioni, di lotte e di sacrifici, il sogno di Israele si avverava: aveva di nuovo la sua terra, la terra promessa da Dio ai suoi padri.
Gli inizi del sionismo. Il Sionismo e’ da sempre parte integrante del Giudaismo e del Pensiero Ebraico. Nasce, all’interno dell’Ebraismo, da Avraham Avinu. Nasce dalla speranza del Popolo di Israele di ritornare nella sua Terra Promessa, Eretz Israel. Questa speranza ha origini lontanissime nel tempo e la Torah ne e’ la prova. Si pensi ad Abramo che segui il comando di D-o di andare nella Terra che avrebbe dato al suo Popolo. Si pensi ai Patriarchi e alle speranze di Israele di ritornare in Eretz Israel durante la schiavitu’ in Egitto; per non parlare poi della deportazione in Babilonia, fino ad arrivare alla Diaspora del 70e.v. e la distruzione del Secondo Tempio. Il Sionismo e’ prima di tutto religioso solo alla fine del XIX secolo diventera’ anche politico. In sostanza direttamente o indirettamente la matrice del Sionismo politico e’ sempre stato il Sionismo religioso. In pratica il Sionismo politico non e’ altro che la trasposizione pratica di una speranza plurimillenaria, collegata all’idea di redenzione messianica, che e’ alla base dell’Ebraismo. La Divina provvidenza e l’iniziativa umana combinate insieme (come avviene per ogni Mitzva compiuta da un Ebreo) hanno dato origine allo Stato Ebraico di Israele, che e’ appunto il principio della fioritura della nostra Redenzione.
Il seme del movimento sionista è gettato quando gli ebrei partono da Gerusalemme per la Babilonia nel 586 a. E.V. Da allora i loro pensieri e le loro preghiere terminano con le parole: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”. E sono proprio le continue persecuzioni e lo stato di avvilimento in cui vivono gli ebrei, a destare in molti grandi uomini il pensiero della necessità di ridare una patria al popolo ebraico. Già molti ebrei nell’800 si dirigono dalla Russia e dalla Romania in Palestina. Vi si reca anche Elièzer Ben Yehùda che insiste sulla convinzione che l’ebraico deve essere la lingua parlata dagli ebrei e rinnova così il vocabolario di questa lingua.
Il fondatore del Sionismo Mondiale è Teodoro Herzl che nel 1897 convoca il I congresso a Basilea, annunciando che la mira del Sionismo è di dare agli ebrei una patria. Dopo la I Guerra Mondiale e vari accordi col governo inglese, nel 1917 si arriva alla famosa “Dichiarazione Balfour” con cui l’Inghilterra si dichiara favorevole alla nascita di un nuovo Stato ebraico nell’allora Palestina. Aumenta così l’’alià in Èretz Israèl, sorgono belle città tra cui Tel Avìv, le paludi vengono bonificate, i campi coltivati. Viene creata l’Haganà, organo di difesa e nucleo del futuro esercito israeliano.
I nostri pionieri, provenienti da tutte le parti d’Europa creano nuove colonie che difendono valorosamente, anche a costo della vita. Lo stesso fondatore dell’Haganà, Yosèf Trumpeldor, cade nel difendere la colonia di Tel Chài, assalita dagli arabi. Dopo la II Guerra Mondiale migliaia di superstiti dei campi di sterminio vedono, come unico posto di salvezza, la lontana terra di Israele. L’Organizzazione Sionistica chiede che venga riconosciuto definitivamente lo Stato di Israele. Gli ’olìm continuano a recarsi in Israele nonostante i molti ostacoli, decisi a tutto pur di riavere la patria. Gli arabi attaccano da ogni parte con grandi forze, ma gli ebrei sono decisi a tutto; e la vittoria, con l’aiuto di Dio, non li abbandona. Dopo 20 secoli, il 14 maggio 1948, 5 Iyàr 5708 risorge lo Stato di Israele.

 

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