HappyNewYear230x150-ENTestata: Informazione Corretta
Data: 04 settembre 2013
Autore: Ugo Volli

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

questa sera al tramonto, come per tutte le date ebraiche, inizia il Capodanno ebraico, Rosh Hashanà (che letteralmente significa proprio “testa” o “capo” dell’anno). E’ l’anniversario numero 5774, secondo la tradizione, non della creazione del mondo, come si usa dire, ma di quella degli esseri umani, il sesto giorno del racconto biblico.. E’ una data mitica, come del resto quella del calendario civile, che per la maggior parte degli storici non corrisponde esattamente con la data di nascita di Gesù. Anche i “giorni della creazione” non vanno presi alla lettera, per la tradizione ebraica: non c’è stato bisogno di attendere l’evoluzionismo per percepirne il carattere simbolico, cioè “mitico”. Già il massimo commentatore ebraico dei testi sacri, Rashi, scrisse più di otto secoli fa che non bisogna intenderli in senso cronologico.

E però proprio i “miti”, le narrazioni tramandate per millenni sono i luoghi dove i popoli depositano il loro senso. E il fatto di far coincidere il momento solenne di inaugurazione dell’anno al ricordo della creazione dell’”adam”, il prototipo unico dell’essere umano da cui tutti discendiamo e in nome di cui tutti siamo fratelli senza distinzioni di popoli e di etnie, come insegna esplicitamente la tradizione, è un segno forte dell’immagine del mondo che si fa l’ebraismo, insieme con l’altro fatto un po’ sconcertante che se il primo giorno dell’anno è questo, invece il primo mese capita esattamente all’altro capo del calendario. In una posizione altrettanto solenne del racconto della creazione, in quella che la tradizione ebraica considera il primo precetto (o mitzvah, come si dice in ebraico) specificamente rivolto al popolo ebraico, la Torah insegna a Mosè l’obbligo religioso di considerare il mese di Nissan, quello pasquale, come il “primo dei mesi”. Ad avere la precedenza su tutte le altre lune del calendario è così quel che è definito “il tempo della nostra libertà”: di qui deve iniziare il computo dei mesi, che in ebraico hanno una forte comunanza etimologica con ciò che è “nuovo” o “inaugurale”. La radice diurna (del giorno) da cui partire è la comune umanità, l’inizio di ogni novità (lunare) è la difficile impresa della liberazione, premessa indispensabile per la concessione della Legge che regola i rapporti etici dell’uomo col suo prossimo e con la trascendenza. Ricordo della comune umanità e memoria della schiavitù e della difficile liberazione che inaugura la specificità del popolo ebraico sono le due radici della visione del mondo di Israele.

So bene, cari amici, che la maggior parte di voi è interessata alla politica mediorientale e non a temi religiosi e che Informazione Corretta è agnostica in termini di fede. Ma per capire la politica non bastano i rapporti di forza, bisogna conoscere i valori. E nel Medio Oriente di oggi i valori ebraici sono spesso fraintesi e diffamati, o al meglio ignorati; ma sono importanti, danno senso all’azione di Israele, anche se questo non è affatto uno stato teocratico come molti sostengono e ho sentito qualche tempo fa con le mie orecchie affermare due importantissimi giornalisti, con la motivazione che lo stato ebraico non ha una costituzione – è vero, ma non ce l’ha neanche la Gran Bretagna, da cui la legislazione israeliana è derivata e che nessuno si sognerebbe di dire teocratica, anche se di diritto il capo dello stato inglese è anche capo della Chiesa di Inghilterra e pertanto deve essere anglicano; inoltre Israele ha alcune “leggi fondamentali” di diritti che hanno un peso a parte nella legislazione. Dunque darvi ogni tanto qualche frammento approssimativo di cultura ebraica può essere utile. Ma vi è un ethos che ha guidato la sua costituzione e regge la sua vita, un modo basilare di intendere il mondo, un sistema di valori che è molto diverso da quello delle culture ispirate da altre religioni, come l’Islam o il Cristianesimo, e che bisogna cercare di capire almeno un po’ per intendere la politica israeliana.

Del resto in un frammento autobiografico degli anni di formazione di Scholem che ho letto quest’estate si racconta che nella famiglia dei suoi genitori, circa un secolo fa, si usava festeggiare il Natale con tanto di albero e di regali; molte famiglie ebraiche di oggi nel mondo cristiano lo fanno e ancora di più fanno festa il 31 dicembre. Non mi sembra dunque improprio, in un’ottica di conoscenza reciproca, raccontare qualcosa della nostra festa, farvi partecipare anche chi è laico o appartiene a un’altra religione.

In realtà, solo in parte di tratta di una festa vera e propria. E’ vero che ci si fanno gli auguri, invocando un anno “buono e dolce” e materializzando questo augurio con l’uso di frutta (mele, melagrane soprattutto) e di miele per la benedizione del cibo; durante la cena tradizionale si recitano delle formule augurali accompagnandole con frutta e verdura che spesso hanno un esile legame col loro contenuto, per via di assonanze o omofonie. Ma Rosh Hashanà è anche il primo dei dieci “giorni terribili” in cui secondo la tradizione ogni persona è giudicata per ciò che ha fatto l’anno precedente. In questi giorni il suo destino per l’anno futuro viene stabilito e scritto nel “libro della vita”. Perciò si usa augurare per questa ricorrenza anche “buona iscrizione”, “ketivà tovà”. La sentenza sarà poi “sigillata” dopo il digiuno di Kippur che chiude il periodo penitenziale. E dato che secondo la tradizione ebraica l’indulgenza celeste si può ottenere solo se non vi sono conti in sospeso con gli altri uomini, in questo periodo si cerca di chiudere le controversie, di ottenere le scuse do chi avessimo offeso e di concederle a coloro che ce le chiedano.

Il suono penetrante dello “shofar”, il corno di montone che nella Bibbia accompagna i grandi momenti della storia ebraica, è per questo al centro della liturgia di Rosh Hashanà. La sua funzione è di risvegliare le anime, di creare allarme e timore per la propria condizione individuale e collettiva, insomma di indurre all’esame di coscienza e al pentimento (che in ebraico si chiama secondo l’asse semantico del ritorno o della risposta: “teschuvà”). Rosh Hashanà è insomma una delle poche ricorrenze nel calendario liturgico ebraico a non ricordare un evento della storia del popolo ebraico, ma ha comunque un significato umano, costituisce un appello per la coscienza di sé, del proprio passato e del futuro. Cade quest’anno in un momento estremamente delicato nella vita di Israele, quando le minacce si addensano. Consentitemi, cari lettori ebrei e non, di augurare a ciascuno di voi un anno dolce e buono e soprattutto di augurarlo al popolo ebraico e allo Stato di Israele: un anno di realizzazioni, di progresso, di sicurezza, un anno buono e dolce. Shanà tovà umetukà.

 

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